“L’arte o è plagio o è rivoluzione”: lo affermava Paul Gaugin, uno degli artisti più influenti della corrente post-impressionista. Nel corso degli anni l’arte ha sempre dimostrato di avere in sé la capacità di sintetizzare gli aspetti peculiari di un mondo sempre più difficile da capire, dove l’artista è chiamato ad operare mosso da un profondo impegno etico. È il caso della street art, la quale nasce come evoluzione di quello che veniva comunemente definito “graffitismo”. Alcuni writer, ad esempio il famoso quanto enigmatico Bansky, dotati di una sensibilità particolare, che avevano trovato il loro spazio espressivo nel graffitismo duro e puro, hanno maturato l’esigenza di evolvere il proprio stile di comunicazione, di sostituire il desiderio di mero appagamento estetico con qualcosa di più profondo, di più meditato. La street art, dunque, pur avendo sicuramente le sue solide basi nel graffitismo, sceglie una via di comunicazione diversa, meno legata al culto del bello, ma finalizzata piuttosto all’espressione di concetti, con l’obiettivo di scardinare gli orrori della società contemporanea, dove il vero non è più norma di sé. È proprio in merito alla grande forza comunicativa di questo stile artistico che il PAN di Napoli sceglie di dar vita alla mostra “Banksy e la (post) street art”, la collettiva dedicata al movimento artistico underground, che ha esordito il 23 dicembre e terminerà il 16 febbraio 2020. La mostra coinvolgerà, oltre alle opere del famosissimo Banksy, anche quelle di Mr. Brainwash, di Obey e di Mr. Savethewall.
L’obiettivo della mostra che ha sede al PAN di Napoli, curata da Andrea Ingenito, è fornire ai visitatori tutti gli strumenti interpretativi per rispondere a una domanda che da anni attanaglia il mondo dell’arte: la street art è arte a tutti gli effetti? E se lo è, la street art può trovare posto nei musei senza perdere il senso più profondo del suo messaggio? La street art “muore” nelle gallerie e nelle case d’asta ? E la sua “morte” paradossale, ovvero la sua conservazione, è essa stessa una rinascita oppure mera operazione commerciale che delineerebbe la definitiva appropriazione del mercato?
La mostra ha sede al PAN di Napoli, e ospita circa 70 opere provenienti da collezioni private e da gallerie italiane e straniere, si apre proprio con un manifesto della (post) street art nella sala interamente dedicata a Banksy, per poi proseguire il percorso con l’esuberante Mr. Brainwash e ai lavori di Obey che fungono da anelli di congiunzione tra le prime due sale, per poi concludere il percorso con l’artista italiano Mr. Savethawall, vendendo provocazioni e raggiungendo cifre a sei zeri.
Fonte: Forbes.it
Alla luce della sempre crescente curiosità nei confronti del famoso writer Bansky, il percorso si arricchisce di una seconda sala a lui dedicata. Con questa nuova sala il discorso sulla valenza di Bansky nell’evoluzione dell’arte di strada prende nuova linfa e pone maggiore importanza sull’interiorità dell’artista e sulla sua capacità espositiva nell’atto stesso di fare arte, congiungendo alla propria sensibilità la capacità di esporre le criticità dell’attuale scenario politico mondiale. Nel 2010 si ha la sua prima misteriosa apparizione nella città di Napoli, nonché in Italia, con il murales rappresentante l’Estasi di Santa Teresa, che fu in seguito danneggiato. Postuma è la rappresentazione in piazza dei Girolamini della “Madonna con la pistola”.
Fonte: napoliflash24
Proprio come impone la street art, e più specificamente come insegna la modalità artistica proposta dal writer inglese, anche la cultura napoletana fa dell’ironia e dell’irriverenza la sua personale risposta a quelle che reputa ingiustizie da parte del sistema. In questo contesto, fra gli artisti in esposizione al PAN di Napoli, Mr. Brainwash rappresenta invece l’evoluzione della figura dello street artist, mondano e verypopular, OBEY sceglie il termine “Obbedire” come provocatoria risposta ai dettami imposti dai mass-media. Diventa così celebre con i suoi “manifesti – non autorizzati” diffusi durante la campagna elettorale di Barack Obama. È il più “politicamente-impegnato” tra gli street artist. Mr. Savethewall, l’unico artista italiano, recepisce gli stimoli provenienti dai linguaggi utilizzati dai suoi colleghi rielaborandoli con personale ironia e spirito critico, attraverso una tecnica a basso impatto ambientale che riserva il muro da danni permanenti.
Fonte: waterfront.com
C’è da dire però che l’arte di strada, amata e controversa, divide il pubblico tra detrattori e ammiratori. I detrattori, in particolare, parlano di commercializzazione di opere nate come prodotto di una cultura sub-urbana e alternativa, una cutura-contro poi inglobata da quella tradizionale. E proprio il distacco da una poetica sociale in virtù della celebrità priverebbe le stesse opere del linguaggio di contestazione politica che ne è alla base.
Il dato di fatto è che la street art piace e va di moda, ed è probabilmente grazie al suo radicarsi alla sensibilità e alla ricettività comuni, così come (quasi) tutte le manifestazioni artistiche, che si avvale del potere di rispondere in maniera concreta alle questioni sociali, esplorando i paradossi del mondo sensibile e ottenendo così il diritto di conciliabilità del concetto di fare arte ed essere artista, del vivere l’arte e vivere d’arte.
Mena Trotta