The King è il film TV prodotto da Plan B e distribuito da Netflix che narra le vicende del Re Enrico V, il sovrano che nel 1415 riuscì a farsi incoronare erede al trono di Francia dopo aver riportato la sua Inghilterra fra le potenze europee.
Insomma si parla di storia, romanzata. E la difficoltà di tante produzioni cinematografiche quando si trovano a raccontare l’Inghilterra medievale, è quella di riuscire a cogliere lo stile, l’atmosfera distintiva, di quell’epoca. Spesso infatti non si sa se si è in Inghilterra oppure in Francia, non si capisce se ci si trova nel Basso o nell’Alto medioevo: tutti i re sono uguali, i costumi identici, i personaggi creati con lo stampino. Cosa che non accade, ad esempio, con le rappresentazioni dell’epoca vittoriana questa sempre ben descritta anche nelle produzioni più recenti e ricca di spunti artistici in molti casi.
The King, il film che vede protagonista Timothée Hal Chalamet, sembra fin da subito cascare in questo errore partendo da una storia, o meglio, un dramma shakesperiano, costruendoci attorno tutto l’impianto di costumi e personaggi imbalsamati risultando un lavoro da manuale che segue, in maniera corale e cronologica, una narrazione scolastica. Ma fortuna che i film non durano solo per metà. Perché nella seconda ora di The King arriva una sterzata: il film cambia pelle, o forse si rivela per davvero. Entrano in scena nuovi personaggi chiave, il percorso del protagonista tocca messaggi interessanti avvolgendosi di un’atmosfera e di dialoghi geometrici che palleggiano fra gli originali del bardo e alcuni creati ex novo dagli autori del film.
E allora comprendi che il vero problema, forse l’unico, di The King è nell’impostazione della storia: una scelta che portato a rispettare fin troppo pedissequamente la linea teatrale dell’opera madre (certi personaggi chiave entrano in scena a metà film o addirittura alla fine) una scelta che mozza l’empatia verso quello che è mostrato su schermo – a volte in maniera anche gloriosa. Trattandosi di un film si poteva osare e raccontare tutto in un taglio cinematografico, almeno quanto concerne il montaggio e la narrazione con il film ne avrebbe sicuramente giovato.
Nonostante questa debolezza, The King risulta un ottimo film per sceneggiatura, scenografie, messinscena, con spunti pop interessanti che gli permettono di tracciare una strada tutta sua e gli permettono di ricavare uno stile proprio le cui caratteristiche sono due: solenne ed epico. Un’epica medievale, del tradimento e della cospirazione, che non cede totalmente alla poetica Shakespeariana ma ha dire qualcosa di suo, salvo per la grammatica narrativa che – ripetiamo – non è mai messa in discussione.
Un prodotto solenne perché è dannatamente e geneticamente elegiaco in quanto racconta con taglio drammatico le gesta di un uomo, Enrico V, costretto a vivere una vita che mai avrebbe voluto. Un uomo costretto a scendere a patti con il mondo e il contesto, che cerca di preservare i suoi valori e il suo modo d’intendere la vita scontrandosi contro la sporca realtà. Non ci riuscirà. O almeno, non totalmente.
E in come tante opere di Shakespeare, Enrico V è solo un altro personaggio-metafora di sistemi molto più grandi e di messaggi rivelatori (anzi, anticipatori). Nel caso di Enrico V, si parla dell’uomo moderno e delle sue paure, della voglia di emanciparsi dai ruoli rigidi imposti dalla società. Shakespare, o chiunque abbia scritto quelle parole, nasce proprio a cavallo dell’età moderna, nella transizione umana e culturale fra le più significative. Lui, con la lucidità che appartiene ai grandissimi, riesce a cogliere tutte le inquietudini e le incertezze antropiche di quel preciso momento storico. Parla di cose umana, semplici, ma ci costruisce attorno tutto un impianto e narrativo raffinato, che The King è bravo a cogliere, almeno in parte.
Chiosa finale e di lode verso Robert Pattinson, attore il cui screentime ridotto al lumicino ma che riesce a dare, comunque, una lezione di recitazione che arricchisce e non poco il film.
A dir la verità è tutto il film una lezione e ci insegna come si possa senza un budget da colossal fornire un prodotto ispirato, curato e magnificente. Quello da prodotto da Plan B è, infatti, una dichiarazione d’amore al cinema di genere e noi da spettatori non possiamo che apprezzarlo.
Enrico Ciccarelli