A volte sarebbe meglio non crescere, e continuare a guardare lo sport con gli occhi ingenui di un bambino, di chi fa il tifo indipendentemente dalla squadra o dai colori, e davanti a sé vede solo ventidue tizi rincorrere un pallone o altrettanti a bordo di un’auto. Nello specifico, la Formula Uno la si scopre anno per anno, gara dopo gara, giro dopo giro, finché non diventa una passione o una specie di fissa, e tra introiti e regolamenti vari, diviene ormai necessario iniziare a capire come funziona davvero. È il caso di fronte al quale ci siamo trovati circa un mese fa, da quando Marussia e Caterham sono finite sotto amministrazione controllata e, per i mancati fondi, hanno deciso di non prendere parte ai gran premi di Austin e Interlagos, in attesa di un improbabile forte investimento da fuori e con la possibilità di riscendere in pista solamente ad Abu Dhabi.
L’appuntamento della settimana prossima, ultimo in cui si deciderà il mondiale, vedrà, invece, il ritorno di uno solo dei due team: la Caterham, che nel giro di una sola settimana è riuscita a raccogliere ben 2.350.000 sterline, pari all’ammontare necessario per partecipare al gran premio. Una cifra pazzesca, se si pensa sia solo il risultato di un’ incredibile operazione di crowdfunding o, per farla sembrare meno imponente, una raccolta fondi a cui hanno partecipato migliaia di fan da tutto il mondo.
“Ci siamo imposti una sfida grandissima, ma ce l’abbiamo fatta. – ha detto Finbarr O’ Connell, rappresentante degli amministratori del team Smith & Williamson– In una sola settimana i tifosi hanno reso l’impossibile possibile. Non ci sono abbastanza parole per dire quanto gli siamo grati. Ora siamo già con la testa ad Abu Dhabi, per mostrare che il duro lavoro e la positività di un gruppo possono assicurare un futuro alla squadra”.
Intanto, se da un lato gli uomini in verde fanno festa, dall’altro, in casa Marussia, si proclama il fallimento ufficiale del team e il conseguente licenziamento di ben oltre duecento dipendenti. È comunque ancora presto per poter dire addio al marchio, perché l’inserimento nella lista dei partecipanti al mondiale 2015 della Manor F1, ex Junior Team della Marussia e militante al momento nella Gp3 Series, potrebbe lasciare intendere il suo prossimo approdo in F1. In tal caso naturalmente acquisterebbe i diritti del team madre ormai a pezzi, rimpinguandone così le tasche e permettendo all’amministrazione di ripagare i creditori.
La Formula Uno si è dimostrata ancora una volta un paesaggio inospitale, dove bisogna sviluppare i dovuti meccanismi di autodifesa per sopravvivere il più a lungo possibile, e dove addirittura, a dispetto di quanto si possa dire sulla ripercussione degli introiti, anche un team apparentemente milionario un giorno rischia di chiudere i battenti, e l’altro lo passa a farsi aiutare per evitarlo. È un caso isolato quello della Caterham, anche se potrebbe ben presto riguardare altri piccoli team che non vivono sicuramente in condizioni economiche di gran lunga migliori. Sarebbe il caso di Sauber, Force India e Lotus, che quest’anno non hanno particolarmente brillato nei risultati in gara, e per questo riceveranno solo un modesto premio alla fine dell’anno. E se per modesto intendiamo un valore di diverse decine di milioni di dollari, la domanda su quanto guadagnino esattamente i team di F1, si traduce necessariamente nel cercare di capire come, invece, spendano quanto incassano.
Il denaro in F1 circola ordinariamente, e gli introiti vengono ridistribuiti solo dopo la fine del campionato. Attualmente poiché la CVC Capital Partners, di cui Ecclestone fa parte, detiene circa i due terzi di Formula One Group, il Circus guadagna al netto poco meno di un team di media classifica. Nel 2010, ad esempio, tolti gli introiti da distribuire, ha guadagnato solo 50 dei 137 milioni di dollari avanzati dalla ripartizione e il resto è finito nelle tasche di Ecclestone e soci. Inoltre, ogni anno i team vengono pagati secondo un preciso insieme di regole, il quale ha da sempre favorito i veterani e concesso poco spazio ai nuovi iscritti. La Ferrari, infatti, nonostante i deludenti risultati degli ultimi anni, oltre a quanto le spetti in base ai piazzamenti in classifica costruttori e al suo passato nello sport, ha sempre diritto ad una fetta privilegiata pari al 2,5% del guadagno totale come clausola contrattuale, e ad ogni modo risulta sempre fra le più ricche. Solo nel 2013 la scuderia di Maranello ha guadagnato ben 171 milioni di dollari, a fronte dei 162 della Red Bull e 80 della Mercedes. A questo punto, pare ovvio come le scuderie minori vengano continuamente penalizzate, in un sistema in cui le spese si sono moltiplicate soprattutto per l’ingresso dei nuovi motori ibridi nei regolamenti.
Fonte statistiche: Gazzetta dello Sport, formulapassion.it
Fonte immagine in evidenza: f1grandprix.com
Nicola Puca