Probabilmente nessuno in Italia dimenticherà Giulio Regeni finchè non verrà trovato il responsabile del suo brutale omicidio: infatti, il ricercatore rapito e ucciso tra gennaio e febbraio scorsi non ha ancora ottenuto giustizia.
È stato necessario parecchio tempo per convincere l’intelligence egiziana a collaborare con quella italiana, oltre a dover richiamare il nostro ambasciatore dopo la visita dei giudici egiziani venuti in Italia e poi ripartiti senza dare alcun contributo, quasi fosse stata una visita di piacere. Visita che si è ripetuta qualche giorno fa, in cui il procuratore generale egiziano Nabeel Sadek e e quello romano Giuseppe Pignatone hanno ribadito la volontà di sapere la verità su Regeni confermando in una nota congiunta «l’impegno da parte dei due uffici a proseguire nello scambio di atti e informazioni al fine di pervenire all’obiettivo comune e cioè accertare la verità sulla morte di Giulio Regeni».
Purtroppo però la verità sembra ancora essere lontana mentre vengono alla luce verità e dettagli che fanno chiedere con voce sempre più forte delucidazioni sul caso Regeni.
Risulta infatti che Giulio Regeni fosse stato indagato dalla polizia egiziana tre giorni prima di essere sparito in merito alla ricerca che stava facendo circa i sindacati, tema molto sensibile in Egitto. Nella nota congiunta tra Pignatone e Sadek si può leggere: «La polizia aveva sondato le attività di Regeni per tre giorni prima di concludere che le sue ricerche non rappresentavano alcuna preoccupazione per la sicurezza nazionale». Inoltre il Procuratore Generale d’Egitto ha detto «di aver accertato che la Polizia del Cairo, in data 7 gennaio 2016, ha ricevuto dal Capo del sindacato indipendente dei rivenditori ambulanti un esposto su Giulio Regeni a seguito del quale la Polizia ha eseguito accertamenti sull’attività dello stesso», al termine dei quali «non è stata riscontrata alcuna attività di interesse per la sicurezza nazionale e, quindi, sono cessati gli accertamenti».
È stato poi liberato Ahmed Abdallah, consulente della famiglia Regeni e imprigionato con l’accusa di attività sovversiva e partecipazione a una manifestazione non autorizzata, a cui non sarebbe mai arrivato. Tuttavia Abdallah durante un’intervista di maggio a la Stampa aveva dichiarato che i suoi carcerieri gli ripetevano frequentemente che era “dentro” a causa dell’omicidio Regeni.
Invece ad una recente intervista a la Stampa un finalmente libero Ahmed Abdallah, che è anche Presidente della commissione egiziana per i diritti e la libertà, ha detto di essere stato picchiato perché le autorità volevano ottenere il suo iPhone, oltre che essere stato sottoposto a molteplici interrogatori in cui gli era stato chiesto cosa sapesse del caso Regeni.
Infine Amnesty International, sempre in prima linea nella ricerca di verità nel caso Regeni, ha pubblicato una nota in cui scrive che quello di Giulio non è un caso singolo ma che in media tre-quattro persone al giorno sono vittime di sparizioni forzate in Egitto.
Amnesty scrive sul proprio sito web: «Dal 2015 centinaia di egiziani tra cui studenti, attivisti politici, manifestanti e altri sono stati sottoposti a sparizione forzata per giorni o mesi. Le vittime, compresi bambini, vengono trattenute in centri di detenzione non riconosciuti, senza alcuna supervisione giudiziaria, e sottoposti a maltrattamenti e torture al fine di ottenere una “confessione”.»
Federico Rossi