Cosa sta accadendo tra Cina e Hong Kong (di nuovo)
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“Liberare Hong Kong, la rivoluzione del nostro tempo” è lo slogan che si sente riecheggiare tra le strade di Hong Kong dal 15 maggio 2019, quando il Parlamento decise di discutere una legge sull’estradizione che avrebbe permesso di estradare gli accusati di crimini gravi nella Cina continentale per processarli. I cittadini erano preoccupati non solo perché la legge non si estese ad altri tipi di crimini, come l’evasione fiscale, ma anche perché il provvedimento avrebbe potuto colpire i cittadini stranieri di passaggio a Hong Kong. Le richieste di estradizione della Cina violano i diritti umani e avrebbero potuto usare l’estradizione come pretesto per raggiungere i dissidenti politici fuggiti a Hong Kong dal territorio cinese.

Il 9 giugno le manifestazioni si intensificarono, la polizia intervenne utilizzando gas lacrimogeni, fucili antisommossa, proiettili di gomma, cannoni ad acqua e arrestando i manifestanti. La decisione della legge sull’estradizione fu posticipata, ma i manifestanti non si sono fermati fino all’emergenza da Covid-19 che li ha costretti a osservare le misure di sicurezza.

A due mesi dal lockdown i cittadini di Hong Kong sono tornati in piazza per manifestare. La prima manifestazione pacifica dopo la pandemia è avvenuta il 26 aprile nel centro commerciale Cityplaza, dove i manifestanti hanno chiesto la scarcerazione degli attivisti arrestati nei mesi precedenti. Un’altra manifestazione si è tenuta poi il 10 maggio nel distretto dello shopping di Mong Kok, dove hanno dato fuoco ai cassonetti della spazzatura, seguito poi dall’intervento della polizia che ha arrestato 250 protestanti.

Sebbene le proteste fossero quasi del tutto cessate prima della pandemia con la vittoria alle elezioni locali di partiti pro-democrazia sostenuti dai manifestanti, è giunta da Pechino la notizia di una legge che permetterà al governo cinese di «prevenire, fermare e punire» ogni forma di eversione contro lo Stato e ogni interferenza di potenze straniere e che sarà introdotta nella Common Law, la costituzione locale. Questa legge metterà in pericolo l’autonomia di Hong Kong, reprimendo qualsiasi atto considerato una minaccia per la sicurezza nazionale. I manifestanti, i gruppi di attivisti potrebbero essere colpiti da gravi pene per le violazioni. Di questa nuova legge non si possiedono ancora sufficienti dettagli, si sa però che darebbe la possibilità all’intelligence cinese di lavorare liberamente a Hong Kong. Secondo l’associazione degli avvocati di Hong Kong, la Cina non potrà farlo essendo il territorio di Hong Kong semi-autonomo.

Non è la prima volta che si vedono leggi simili in Cina; ne sono già state emanate in passato per mettere a tacere l’opposizione verso il PCC.

Questo preoccupa anche i paesi europei. Il controverso segretario di Stato USA, Mike Pompeo, ha affermato che «Hong Kong non è più autonoma dalla Cina», il che potrà causare ripercussioni economiche e la possibile fine del rapporto privilegiato tra gli Stati Uniti e Hong Kong. La Gran Bretagna invece ha aperto le porte agli hongkonghesi permettendo loro di prendere la cittadinanza inglese in quanto ex colonia britannica. La risposta dalla Cina non è tardata ad arrivare: «Sottolineiamo che il Regno Unito ha promesso esplicitamente, in un memorandum d’intesa scambiato con la Cina, che i titolari di passaporto BNO che sono cittadini cinesi residenti a Hong Kong non avranno il diritto di risiedere nel Regno Unito», ricordando che così violano le norme che regolano le relazioni internazionali.

Un ulteriore attacco all’autonomia del paese viene dalla legge che rende illegale qualsiasi atto contro l’inno nazionale cinese. I trasgressori verranno puniti con 50mila dollari di Hong Kong di multa e fino a tre anni di carcere. La legge è stata approvata il 4 giugno, giorno del ricordo delle vittime di Piazza Tienanmen. Ad acuire il malcontento è stato il divieto di ricordare le vittime del massacro dopo 31 anni. In migliaia hanno ignorato il divieto e sfilato fino a Victoria Park, scavalcato le transenne e acceso le candele. Ufficialmente, la veglia era stata bloccata per ragioni sanitarie, ma la spiegazione più accreditata è che si siano volute impedire ulteriori proteste. Infatti i manifestati hanno intonato il solito coro “Basta con il potere del Partito unico”, assieme ai nuovi cori “Indipendenza” e “No alla legge per la sicurezza nazionale”. La risposta violenta della polizia non è tardata ad arrivare. L’attivista Joshua Wong ha affermato: «Quest’anno potrebbe essere l’ultimo anno in  cui possiamo parlare pubblicamente del 4 giugno. Una volta entrata in vigore la legge sulla sicurezza nazionale, la semplice menzione dell’evento sarà oggetto di un’azione legale».

Le imposizioni e i divieti che finora Hong Kong ha dovuto subire non sono altro che l’ennesimo tentativo da parte del Partito Comunista Cinese di imporre il proprio controllo. Dal 15 aprile al 4 giugno 1989 i cittadini protestarono pacificamente occupando piazza Tiananmen e chiedendo maggiore libertà politiche, economiche e di stampa. Il Partito rispose inviando i carri armati a sparare sulla folla finché non rimasero solo cadaveri. Ciò che sta accadendo a Hong Kong ha dei preoccupanti profili di somiglianza con quell’infausto periodo: i cittadini protestano per avere maggiori libertà, loro che sono sempre stati “un paese, due sistemi”, ma adesso il governo cerca di reprimerli. Di nuovo.

Gaia Russo

Gaia Russo
Eterna bambina con la sindrome di Peter Pan. Amante dei viaggi, della natura, della lettura, della musica, dell'arte, delle serie tv e del cinema. Mi piace scoprire cose nuove, mi piace parlare con gli altri per sapere le loro storie ed opinioni, mi piace osservare e pensare. Studio lingue e letterature inglese e cinese all'università di Napoli "L'Orientale".

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