A soli 48 anni ci lascia Ezio Bosso, il pianista dell’anima, l’eclettico uomo della musica che attraversava e toccava con delicatezza le emozioni di tutti noi. In questo venerdì 15 maggio, Ezio Bosso ha scoperto la Dodicesima stanza, la stessa che lo ha portato verso la libertà.
Noialtri a leccarci le ferite, quelle delle perdite e dei lutti subiti in un periodo di pressione e tensione, mentre lui, l’incantatore, apre la porta della libertà e va via. Una libertà che desiderava ormai da molto: già nel 2019 lasciò intravedere la sofferenza interiore con cui doveva convivere ogni giorno, talmente intensa da pregare l’opinione pubblica: «Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza. E quando saprò di non riuscire più a gestire un’orchestra, smetterò anche di dirigere». Ezio Bosso era stanco: l’incantatore di pensieri e parole – riprendendo un testo di Battisti – avrebbe rinunciato alla sua più grande passione per un po’ di serenità.
Che dinnanzi alla malattia di qualcuno il mondo si renda così piccolo da risultare invisibile e piegarsi addirittura, è un dato di fatto. Ma Ezio Bosso non è entrato nelle nostre case a causa di una malattia neurodegenerativa; c’era qualcosa in più in lui, quel qualcosa che lo ha reso unico, indelebile fin dalla sua prima apparizione sul palco di Sanremo su invito di Carlo Conti. Una sola apparizione in pubblico, fatta di note dolci e soavi, di sorrisi tiranni con il risultato di avere tutta l’Italia ai suoi piedi, ai piedi del talento musicale e del volto umano della nostra società. Ma c’era qualcosa in più, qualcosa che ha fatto dimenticare la disabilità del Maestro.
Una disabilità che ha pesato un macigno, un’esistenza, ad ogni passo, ad ogni sforzo anche solo per toccare due tasti, nonostante la malattia fosse sopraggiunta in età più avanzata. Ezio Bosso ingaggiava lotte, ci credeva che si potesse porre resistenza ai propri disagi senza risultare necessariamente vittime del proprio destino. Le sue parole ricongiungevano, mostravano le diversità come preziose, ma allo stesso tempo annullavano le stesse, come se tutti noi fossimo vittime di una disabilità più o meno visibile. Ma la verità è solo questa e il Maestro Ezio Bosso aveva ragione: egli era un disabile evidente in mezzo a tanti uomini con disabilità nascoste.
Nonostante la stanchezza evidente, il pianista Ezio Bosso non aveva rinunciato alla vita, non si era dato un aut aut ; la sua vita rispondeva ancora ad un unico imperativo categorico: dare, trasmettere. Lo lascia intravedere l’assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli Eleonora de Majo, con un post su facebook: «Il 25 Maggio Ezio Bosso sarebbe dovuto venire a Napoli a chiudere il Maggio dei Monumenti. Non lo sapeva ancora nessuno ma insieme stavamo organizzando una sorpresa per la città. La sua voce autorevole, pacata, il suo pensare libero e radicale, avrebbero accompagnato questa difficile ripartenza. Avrebbero dato forza alla visione di cui abbiamo infinitamente bisogno. “Considerami della squadra”, mi disse quando decise di venire». Ecco, l’incantatore torinese non aveva rinunciato alla vita, sarebbe ripartito da Napoli e per Napoli.
Il pianista e il direttore di orchestra si era lasciato seguire dentro e fuori gli edifici della musica. Era stato accolto già prima che la malattia facesse il suo seguito, amato e scoperto da molti sul palco di Sanremo nel 2016 con il suo prestigioso assolo al pianoforte e successivamente era stato apprezzato in una delle più belle interviste in cui, Ezio Bosso, si affidò alla delicatezza di Domenico Innacone. In piena simbiosi, i due mostravano il volto umano di una disabilità così invasiva.
Ezio Bosso è andato via in una giornata uggiosa. Un uomo che avvertiva la propria fortuna e si preoccupava di come e poter trasmettere un messaggio di fiducia a chi, nella propria disabilità, affonda per sempre la propria dignità, il senso del vivere. Che sia di ispirazione il messaggio del pianista, dia prospettiva e basi su cui riflettere per rendere il nostro Paese un luogo in cui la disabilità non è sinonimo di esclusione o di fortuna: non c’è motivo per cui un disabile debba giustificare la propria esistenza. Abbiamo applaudito per Ezio Bosso, abbiamo pianto per la carica di emozioni con cui ha attraversato i momenti, gli abbiamo dato opportunità, dato lavoro e accolto in forza anche del suo dualismo evidente. C’è davvero un Ezio Bosso in ognuno di noi, a prescindere dalla maschera che decidiamo di indossare.
Bruna Di Dio