Cento anni fa, su un balcone di una pensione dispersa ai piedi delle Dolomiti, la mano ossuta e gracile di Franz Kafka imbracciava la penna per comporre la prima lettera diretta alla sua adorata Milena Jesenskà: un atto d’amore che si ripetè ben centotrenta volte soltanto da aprile a dicembre 1920 e che rappresentò l’unica forma di espressione di una delle storie d’amore più celebri del Novecento. Centotrenta lettere pregne del dolore e della fatica che il boemo, lacerato dai costanti cortocircuiti interiori che gli hanno lacerato l’esistenza, dovette fare per provare a sopportarsi innamorato.
Quanto può essere complicata l’arte di vivere l’amore per chi come Franz Kafka non si è mai accettato e ha passato i suoi giorni a sentirsi «colpevole di tutto»? Tanto, forse troppo. Ed è nella misura di questo troppo che quella che poteva rivelarsi la relazione in grado di cambiargli la vita portandola finalmente su binari felici, lo introdusse invece in un nuovo tunnel di tormenti che non gli permise di andare oltre al solo (solo?) scambio epistolare con la sua amata.
Milena ha 24 anni quando, nel 1919, si propone a Kafka per tradurre alcuni suoi racconti dal tedesco al ceco, per provare a diffondere maggiormente quelli che ai suoi occhi sembrano veri e propri capolavori. È di famiglia cristiana, ma è sposata da un anno con l’ebreo tedesco Ernst Pollak, col quale presto perde l’intesa. Sono una coppia povera, e lei cerca di arrotondare traducendo qualche racconto dal ceco al tedesco. Franz ha 36 anni, e rimane piacevolmente folgorato da questa proposta: nessuno aveva mai trovato interessanti i suoi scritti. Finalmente esisteva qualcuno in grado di capirlo.
I due si incontrano per la prima volta, di sfuggita, in una mattina di novembre nel ’19, e, per quanto assurdo possa sembrare, questo rappresenta il primo ed unico loro incontro prima che, nell’aprile successivo, si scateni la passione epistolare. Riferendosi a quell’occasione scrive:
«Mi viene in mente che non riesco a ricordare nessun preciso particolare del Suo viso. Vedo ancora soltanto come Lei si allontanò poi tra i tavolini del caffè, la Sua figura, il Suo abito»
Kafka rimane letteralmente abbagliato dalla giovane scrittrice, le cui traduzioni gli permettono di rivedere i suoi racconti sotto una nuova luce. Esiste davvero qualcuno in grado di vedere il mondo coi suoi stessi occhi? Sembra proprio di sì. E allora come non rimanerne affascinato? Milena è vivace, intelligente, colta. Ha un passato difficile e porta dentro di sè i segni di un rapporto opprimente col padre, proprio come lui. Ma più di tutto lei riesce in un’impresa fin lì mai riuscita a nessun’altra donna che avesse avuto a che fare con Franz: quella di farlo respirare e liberarlo dal macigno del senso di colpa. In questo risiede il seme dell’amore che Kafka inizia a provare per Milena: letteratura e introspezione, fin qui vie di fuga essenziali da un mondo sempre troppo rumoroso (fughe che non avevano risparmiato nemmeno le precedenti relazioni del boemo), si trasformano improvvisamente in ponti in grado di connettere la propria anima con quella di un’altra creatura, e, di riflesso, con tutta una realtà esterna fin lì rimasta inaccessibile.
Col senno di poi sappiamo che Milena non diventerà mai la donna della vita di Kafka, e nemmeno quella con cui condividerà più esperienze, anzi: i due si incontreranno soltanto un altro paio di volte e capiranno presto quanto sia impossibile fare progetti insieme. Lei non ha intenzione di lasciare il marito e lui, malato com’è, non si sente in grado di immaginare un futuro. Per quanto la passione lo accenda, non ci prova nemmeno. «Tu mi appartieni, anche se non dovessi vederti mai più» scrive, consapevole delle differenze che li rendono inconciliabili. Milena non rappresenta il suo futuro. Milena rappresenta piuttosto la rivelazione che Kafka aspettava da sempre: quella della vivibilità della vita.
Tutto d’un tratto quella straziante fatica che gli era parsa fin lì la sua esistenza diventa qualcosa di cui, seppur timidamente, gioire. Non ci sono secondi fini nelle lettere del boemo. Nessuna volontà, almeno inizialmente, di andare oltre al rapporto di penna: la sua riservatezza non glielo avrebbe mai concesso. Solo gratitudine pura per uno squarcio di assoluto finalmente apertosi davanti ai suoi occhi sognanti e impossibile da silenziare. Niente più di questo. Se è vero infatti che la passione per Milena restituisce un barlume di inedita serenità a Kafka, è altrettanto vero che questo non è abbastanza per consentirgli una vera rinascita. Il ribrezzo e la repulsione per se stesso purtroppo non cessano e gli rendono impossibile il godere senza freni di questo amore. Così scrive a giugno 1920, un mese prima del secondo incontro a Vienna:
«Non mi lagno del crollo, il mondo stava già crollando, mi lagno del suo ricostruirsi mi lagno delle mie deboli forze, mi lagno del venire al mondo mi lagno della luce del sole. (…) Non oserò porgerti la mano, fanciulla, la mano sudicia, convulsa,unghiuta, incerta e tremula, cocente e fredda»
All’incontro di Vienna, che dura quattro giorni, segue un flusso continuo di lettere piene di una passione totale e rinnovata: i due si amano davvero. Ben presto però Kafka comincia a esprimere il suo scetticismo verso lo scambio epistolare e verso un rapporto a distanza che sarebbe pronto per il passo successivo, se solo fosse possibile. Ma ad ogni passo fatto verso l’amata, Franz finisce per farne altri due indietro verso l’abisso. Erige ostacoli che disturbano il fluire dell’amore di cui Milena avrebbe bisogno, e presto finisce per causare in lei dubbi che prima non aveva. Non sembra esserci via d’uscita: Milena appare spaventata dal decadimento psico-fisico dell’boemo e non si ritiene in grado di porre fine al rapporto col marito. Franz ha invece ripreso la sua normale vita di impiegato a Praga e inizia ad intuire che qualcosa sta cambiando. Scrivere lettere non è più liberatorio, ma anzi sta diventando logorante:
«Questo incrociarsi di lettere deve cessare, Milena, ci fanno impazzire, non si ricorda cosa si è scritto, a che cosa si riceve risposta e, comunque sia, si trema sempre»
Già, si trema sempre. E nulla cambia il terzo incontro fra i due, che avviene in agosto a Gmünd. La felicità è ormai inafferrabile: lei intrappolata in un rapporto da cui non può e non sa uscire, lui, incapace di porre sè stesso al di là delle mura dell’incertezza e perennemente terrorizzato dall’idea di perderla, ancora una volta finisce per sentirsi colpevole:
«decisiva è la mia incapacità di andare aldilà delle lettere (…) e decisiva è la voce irresistibilmente forte, come dire la voce tua, che mi esorta a star zitto»
Lentamente la frequenza degli scambi inizia a calare, e le parole del boemo si fanno sempre più disperate. Forse è proprio temendo la fine della relazione che sceglie di inviare all’amata tutti i suoi diari e la celebre Lettera al padre, come se volesse consegnare un definitivo (e il più intimo) pezzo di cuore a Milena. L’ultima delle centotrenta lettere Kafka la scrive a novembre, ed è qualcosa di straziante. Una lucida e definitiva presa di coscienza di quanto sia meglio lasciar cadere questo fiore che ormai è fatto più di spine che di petali, piuttosto che insistere nel procurarsi ferite:
«Queste lettere sono un tormento, vengono dal tormento, inguaribile, e producono solo tormento, inguaribile tormento – dove si andrà a finire – e magari rincarando ancora – questo inverno? L’unico mezzo per vivere, qui e lì, è tacere. Con tristezza, va bene, e che importa? Rende il sonno più infantile e profondo. Ma il tormento, cioè trascinare un aratro durante il sonno – e durante il giorno – non è sopportabile»
In realtà quell'”aratro” non smetterà mai di tormentare le nottate di Kafka, che senza la quotidianità delle lettere a Milena torna a sprofondare nei meandri più bui di sè stesso. Insonnia, mal di testa cronico, fobia dei rumori e una terribile angoscia verso l’enigmaticità del mondo tornano a scandirgli le giornate, portandolo a comporre alcune delle opere più segnanti del secolo scorso e di sempre.
Milena per rispetto nei suoi confronti sceglierà di non scrivergli più, ma rimarrà molto a lungo intrappolata nel senso di colpa. Nel 1921 scriverà soltanto all’amico di Franz, Max Brod, esprimendo in quelle lettere tutto l’amore che forse non era mai riuscita ad esprimere fino in fondo. Basta leggere pochi passi della lettera a Brod del gennaio 1921 per capire quanto profondo fosse il legame che la univa a Kafka:
«So fino all’ultimo nervo in che consista la sua angoscia (…) comprendendola mi sono corazzata contro di essa (…) Se allora fossi venuta a Praga, sarei rimasta per lui quella che ero. Io invece avevo i piedi ancorati saldissimamente in questa terra, non ero in grado di abbandonare mio marito e forse ero troppo donna per trovare la forza di assoggettarmi a una vita che sarebbe stata, sapevo bene, la più rigorosa ascesi fino alla morte (…) se fossi andata con lui, sarebbe riuscito a vivere felice con me, ma questo lo so soltanto oggi (…) Che mi ama, questo lo so. È troppo buono e pudico per poter cessare di amarmi. Ci vedrebbe una colpa. Sempre infatti si considera colpevole e debole. E dire che in tutto il mondo non c’è un altro che abbia la sua immensa energia. Quell’assoluta incrollabile necessità di arrivare alla perfezione, alla purezza e alla verità. Così è. So fino all’ultima goccia di sangue che è così»
Fra i due riprenderà un breve scambio di lettere nell’autunno del 1922, ma presto Kafka tornerà a sentirsi schiacciato da quella relazione e interromperà ogni comunicazione. Per quanto Milena si disperi, se anche avesse scelto di seguire Kafka a Praga, le cose non sarebbero cambiate più di tanto: il boemo si spegnerà infatti poco più tardi, il 3 giugno del 1924, a quarantuno anni, vittima dell’aggravarsi della tubercolosi che non gli permette più di deglutire. Ad assisterlo nell’ultimo anno di vita ci sarà Dora Diamant, la sua ultima amante, che però non riuscirà mai a prendere il posto di Milena nei sogni infiniti di quell’anima affranta.
Daniele Benussi
Daniele Benussi, bellissimo pezzo. Complimenti per questo e soprattutto per avermi ricordato che oggi sono cento anni dalla prima lettera a Milena
Le prime lettere a Milena nascono a Merano in Alto Adige/Südtirol:
http://www.kafka2020meran.it
Patrick Rina, grazie per la segnalazione del sito
Che bello e straziante nello stesso momento! Grazie!