Appuntamento numero 1000 nella storia del motorsport più popolare al mondo, eppure quest’anno ne sono bastati solo 3 per far suonare il primo campanellino d’allarme sulla vivibilità (chiamiamola così) di un nuovo anno all’insegna del vecchio e del “già visto”. Al contrario delle aspettative, su un circuito variegato e che spesso ha favorito molti duelli, in Cina ha prevalso il dominio secco delle due Mercedes tra qualifica e gara. A Shangai, infatti, è andata in porto la terza doppietta consecutiva in tre gare per il team di Woking, con Hamilton che ha bissato il successo ottenuto in Bahrain, al fianco di Valtteri Bottas e con Sebastian Vettel (terzo) che ha centrato il primo podio stagionale. Solo quinta piazza per l’altro ferrarista Charles Leclerc, mentre per Verstappen e Gasly quarta e sesta posizione.

Entusiasmo ridotto ai minimi termini per una gara che sostanzialmente è appartenuta alla Mercedes fin dalla prima curva, quando Lewis Hamilton è riuscito a sopravanzare il compagno di team (partito in pole) approfittando di un suo errore nello scatto. Analogo start (ma con destini diversi) anche per le due SF90, che hanno condotto primo e secondo stint in netto ritardo rispetto ai rivali, iniziando a livellare le prestazioni solamente nel tratto finale di gara (con mescole più fresche e macchina scarica). Dopo l’exploit del Bahrain, che – malgrado i risultati viziati dalla sfortuna – sembrava avesse iniziato a confermare i valori mostrati durante i test, ad oggi si delinea una situazione molto simile al post-Melbourne, che però diventa tanto più allarmante quando si pensa che, a differenza dell’Albert Park, questa volta la pista ha offerto curve veloci, rettilinei e staccate violente. Un ottimo banco di prova, insomma, per chi vi possa ricavare informazioni molto più estese e dettagliate sul (mal)funzionamento delle monoposto.

Comunque, da casa Mercedes non si colgono delle indimenticabili ammissioni di fiducia circa l’attuale stato di forma nel mondiale (vedi intervista di Hamilton). Sin dall’inizio dei test pre-campionato, per dirla tutta, sulla W10 sono state portate diverse novità (tra cui anche un concept di endplates considerato successivamente irregolare dalla FIA), fatto che dimostra una certa riverenza (o, se vogliamo, preoccupazione) del team tedesco nei confronti della scuderia di Maranello, che ha mostrato – anche se a intermittenza – di poter creare qualche grattacapo a Toto Wolff. Sorprese arriveranno inevitabilmente forse anche a partire da Baku, come su altri tracciati che favoriranno le Ferrari; tuttavia, falle in affidabilità e una messa a punto che ancora non pare definitiva sono ben lungi dalla costanza di rendimento che un mondiale di F1 richiede al giorno d’oggi. Con avversari che progrediscono a velocità ed efficienza doppia, vincendo e convincendo dall’inizio dell’era ibrida.

In questi casi, però, come nel Gp di Cina, sotto la lente di ingrandimento si finisce per osservare i difetti del perdente piuttosto che i pregi del vincente. Dire che una F1 oggi ha problemi di aerodinamica è un po’ come scoprire l’acqua tiepida, visto che ormai le power unit hanno tutte raggiunto un elevato livello di efficienza. Ebbene, dopo almeno tre appuntamenti sono svariati i motivi che portano a pensare che le prestazioni negative della Ferrari dipendano essenzialmente dalle caratteristiche della vettura, e non dal rendimento dei piloti (per ora molto simili).

In Cina, la strategia Ferrari ha destato qualche protesta di troppo nella fan-base, lasciando a Sebastian Vettel la possibilità di giungere a podio. Al giro 11, infatti, dopo il sorpasso al via ai danni del tedesco, giunge la comunicazione del muretto che ordina a Charles Leclerc lo scambio di posizioni. Quest’azione rallenterà la gara del monegasco (privo del diritto ad effettuare per primo la sosta), che subirà quindi l’undercut della Red Bull di Max Verstappen, bruciando infine la possibilità di ricucire il gap dall’olandese nelle ultime tornate per una sosta troppo tardiva.

Non è mai troppo tardi per ricordare che gli ordini di scuderia sono la normalità, e che ciò che sorprende sia la reazione (a volte indisciplinata) di alcuni piloti o la non risolutezza da parte del muretto che li impartisce. Un muretto che, peraltro, rischia di mischiare i ruoli e caricare di eccessive responsabilità il solo Mattia Binotto, DT e team principal allo stesso momento. A Charles Leclerc di comunicazioni ne sono già arrivate (forse troppe, a giudicare dalle sue risposte a caldo nei team radio), e, nonostante ciò, arrivava a Shangai meglio piazzato in classifica, fresco poleman più giovane della storia del Cavallino e incolpevole per una vittoria sciupata due settimane fa in Bahrain.

Sicuro e carismatico, Charles Leclerc dà l’impressione di sapere il fatto suo, e soprattutto di riuscire a comunicare molto meglio rispetto al resto della compagnia che lo circonda. Presto verranno fuori molte delle sue doti, anche e soprattutto fuori pista. Nel frattempo, tuttavia, il ridimensionamento dell’affetto del popolo rosso verso Sebastian Vettel (i cui errori gli sono valsi il giudizio della folla) rischia di mettere in secondo piano ciò che davvero non va. La macchina.

Probabilmente Mercedes è stata ed è più onesta con i suoi piloti, dando sia a Rosberg che a Bottas in passato la possibilità di battere Lewis, comunicando meglio con ognuno di loro. In Ferrari, invece, le cose sono più nebulose e macchinose, pur non trattandosi del team favorito per la lotta mondiale.

Un anno fa, comunque, a questo punto saremmo stati a parlare dell’ottimo inizio della Rossa, e avremmo dovuto aspettare soltanto Baku perché il futuro campione del mondo iniziasse a vincere. In Mercedes, spesso il meglio viene col tempo, soprattutto grazie agli aggiornamenti e all’importante lavoro compiuto dal team durante l’anno (lo testimoniano gli ottimi risultati ottenuti nelle volate finali dopo Spa e Monza). Chissà se anche quest’anno sarà così difficile tenerle il passo.

Nicola Puca

Fonte immagine in evidenza: motorbox

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