Ilaria Cucchi e la sinistra à la bourgeoise
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Sciacalli, criminali, approfittatori. Questo sono per la senatrice di Sinistra Italiana, Ilaria Cucchi, i tanti giovani scesi in piazza a Roma, Bologna, Torino e Milano per Ramy, poche settimane fa, dopo la sua morte. L’ha dichiarato, insieme al compagno e avvocato Fabio Anselmo, in un post su Instagram. È stato fatto notare loro, attraverso un quotidiano online di Ferrara, quanto tale presa di posizione (non lontana da quella “della presidenta” Giorgia Meloni) sia ingiusta e superficiale.

La riflessione voleva essere un invito a cogliere aspetti più profondi di certe esplosioni di “violenza” nei confronti delle forze dell’ordine e, magari, a ripensare la scelta di certi termini. Come accennato nell’articolo sopracitato, la rabbia è oggi sentimento comune tra le giovani generazioni: precariato, povertà, abusi di potere, crisi climatica, diritti negati compongono il presente con cui ci si scontra quotidianamente. Quale prospettiva per il futuro propone il partito di Cucchi se non è in grado di comprendere che gli scontri in piazza ne sono una risposta? Perché delegittimare tale sentimento abbandonando i giovani (e non solo) alla loro rabbia esplosiva?

È bene ricordare che la senatrice Cucchi con le sue battaglie contro gli abusi delle forze dell’ordine e nelle carceri ha, nel tempo, ottenuto la massima fiducia e stima da parte proprio di coloro che ha definito “sciacalli”. I quali, a loro volta, hanno percepito le sue dichiarazioni come una vera e propria pugnalata alle spalle. Tuttavia, ciò che sfugge in Parlamento è che il ruolo di un partito di sinistra deve essere quello di guidare e organizzare la lotta contro il capitalismo. Diversamente, farà il gioco della destra neoliberista e del suo braccio armato, il fascismo.

Tale carenza emerge pienamente nella risposta di Cucchi che, seppur apprezzata per la volontà di rispondere e chiarire la propria posizione, testimonia quanto la sinistra borghese sia distante dalle istanze sociali.

“La morte di Ramy è soltanto la morte di Ramy”, scrive Cucchi. Nulla di più sbagliato. E aggiunge che chi è sceso in piazza a manifestare non deve “credere alla ingenua presunzione che questa battaglia possa essere occasione per rivendicare altri diritti e altri temi sociali”. Da qui, si deduce, l’accusa di sciacallaggio da parte della senatrice. Tuttavia, è un grosso errore da parte della sinistra ragionare per compartimenti stagni. La morte di Ramy, e tutto quello che ne è conseguito, tocca l’isolamento degli “immigrati di seconda generazione”, la totale sfiducia nelle istituzioni e nel ruolo dello Stato, gli abusi di potere delle forze dell’ordine, la repressione del dissenso e in ultimo, ma non per importanza, il razzismo. 

“Un immigrato MA esemplare” ha detto Bruno Vespa riferendosi al padre di Ramy. Un pensiero profondamente razzista e condiviso da una buona parte di italiani, ma non ci dilungheremo su quanto sarebbe stata trattata e commentata diversamente la notizia se a morire fosse stato un ragazzo bianco. Non che Stefano Cucchi o Federico Aldrovandi abbiano ricevuto appellativi migliori dopo essere stati uccisi, ma con Ramy hanno condiviso una condizione di marginalità, di disturbo, di colpevolizzazione per quello che erano e che sono stati. Condizioni certamente diverse l’una dall’altra, ma espressione di un disagio sociale che solo un sistema capitalista può generare. E allora, se la sinistra non adotta un approccio anticapitalista, quanti altri giovani dovranno rimetterci la vita? 

Un’ulteriore osservazione su quanto scrive Cucchi, rispetto alle dichiarazioni del padre di Ramy: “Sono frutto di uno sforzo emotivo sovrumano che è riuscito a dominare la rabbia provocata dal devastante dolore che non è riuscito, per ora, a travolgerlo”. Ebbene, è evidente quanto sia sottovalutato il livello di sopportazione del dolore che le persone straniere o marginalizzate devono mantenere lungo la loro intera esistenza. Il Capitale assopisce gli animi e abitua mente e corpo allo sfruttamento costante. Lo fa con la classe lavoratrice e ancora di più con le persone migranti, le quali si trovano costrette ad accettare qualunque condizione pur di sopravvivere. Potrebbe mai il padre di Ramy lasciarsi andare alla rabbia per l’ingiustizia subita? Potrebbe ottenere giustizia, senza essere definito come un “povero immigrato”, se alzasse i toni? 

Al contrario, le seconde generazioni (ossia i maranza, gli italiani figli di immigrati) non ci stanno più a sentirsi inferiori, gli ultimi della società. Li incrociamo, all’uscita da scuola o nelle piazze. Quanta voglia di avere un posto nel mondo, dietro quel fare da gangster. C’è un artista che racconta attraverso i suoi brani tutto il disagio di crescere nelle popolari, nella povertà assoluta e nella delinquenza. “Prima rubavamo nei negozi i vestiti, perché volevamo essere come tutti i bambini”, canta Baby Gang, che durante il suo ultimo concerto a Milano, con Emma Marrone e Fabri Fibra, ha trasmesso un video messaggio proprio della senatrice Cucchi. Baby Gang ha raggiunto il suo meritato successo, ma l’unica via d’uscita da una condizione di povertà per gli altri ragazzi delle popolari gliela fornisce unicamente il neoliberismo sfrenato: diventare ricchi, rubando e spacciando. E inevitabilmente, prima o poi, finendo in carcere. Il senso di ingiustizia, in loro, è prorompente.

È necessario comprendere che l’attuale situazione sociale è ormai del tutto compromessa, come è stato messo in luce nell’articolo pubblicato sul quotidiano. Ma rispetto a ciò, nessuna risposta della senatrice ai giovani che versano nell’impotenza più totale, nel disagio economico e nel futuro che il panorama politico, sociale e climatico riserva loro. Anziché proseguire la riflessione su un piano collettivo e politico, Cucchi sposta la questione sul personale ed equipara gli atti violenti dei manifestanti alla violenza esercitata dalle istituzioni. Mentre nell’articolo si individua la rabbia esplosiva come unico mezzo di liberazione, certamente non risolutivo (e per nulla appagante), ma come un sintomo di frustrazione e impotenza, la senatrice Cucchi adotta una prospettiva prettamente individuale. “Probabilmente – scrive – quei ragazzi non conoscono fino in fondo quello che noi abbiamo dovuto sopportare”. Probabilmente è vero, ma ancor più vero è che nessuno vuole provare il dolore che devono sopportare oggi la famiglia di Federico Aldrovandi, di Stefano Cucchi, di Ramy Elgaml. E perché questo non accada più, occorre una visione politica collettiva.

L’unica risposta coerente è una sinistra anticapitalista e di classe. E la senatrice Ilaria Cucchi, che rappresenta un simbolo nella lotta per il fratello Stefano e che oggi siede tra chi può produrre un cambiamento, dovrebbe ricordare in che stato versano certi contesti. Periferie di città completamente abbandonate a loro stesse dallo Stato, come Centocelle o il Pigneto a Roma. Zone dove regna la gentrificazione, dove si riqualificano immobili per trarne guadagno e dove i poveri vengono spinti sempre più ai margini, sempre più verso l’illegalità. 

Sciacallo è chi fa profitto sul degrado, sui deboli, sui migranti, sulla classe lavoratrice. Criminale è chi sfrutta la morte di un ragazzo di diciannove anni per fare propaganda razzista. La morte di Ramy non è soltanto la morte di Ramy. Di fronte alle ingiustizie, i giovani risponderanno. Se Cucchi vuole essere una voce in questa lotta, si schieri dalla parte degli ultimi ed esprima preoccupazione non solo per le violenze di piazza, ma anche per le cause che le hanno generate.

di Elena Coatti e Annamaria Ottaviani

Prospettive Sinistre
Annamaria Ottaviani, dottoressa in sociologia, ed Elena Coatti, laureata in comunicazione e digital media. Amiche e compagne. Oltre 400 km ci separano, ma non abbastanza da impedirci di intrecciare saperi ed esperienze. Ex attiviste per gli animali, oggi uniamo le nostre voci in Prospettive Sinistre, rifacendoci alle teorie dell'antispecismo politico e del marxismo.

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