Sta facendo discutere la notizia dello scorso 24 gennaio in Alabama riguardante la prima esecuzione programmata ed eseguita tramite maschera ad azoto su un prigioniero nel braccio della morte.
Il prigioniero era Kenneth Smith, condannato dopo l’omicidio di Elizabeth Sennett nel 1988. Smith era stato incaricato assieme ad un altro sicario (John Forrest Parker) di uccidere Elizabeth, proprio da suo marito Charles Sennett, che voleva riscuotere il risarcimento. Da questa loro “commissione” i due sicari ricavarono mille dollari ciascuno. A differenza di Smith, Parker – l’altro sicario – fu condannato a morte e giustiziato mediante iniezione letale nel 2010. Tuttavia, non è la prima volta che lo stato dell’Alabama aveva provato a giustiziare Smith. Infatti, un primo tentativo era stato eseguito nel 2022, tramite iniezione letale. Iniezione che però andò fallita, costringendo Smith “solamente” a delle sofferenze inutili.
Nonostante l’Alabama abbia descritto questo nuovo metodo d’esecuzione con la maschera ad azoto come “più umano di altri” e “indolore”, gli stessi testimoni all’uccisione hanno potuto dire il contrario. È stato descritto come Smith si sia contorto per svariati minuti prima che il suo cuore smettesse di battere. L’esecuzione è infatti andata in porto, nonostante l’opposizione degli avvocati di Smith e della stessa ONU, che ha definito la procedura come inumana e crudele. Tanto che lo stesso commissario per i diritti umani, Volker Türk, ha incitato le autorità ad annullare l’esecuzione, senza però alcun riscontro. Anche l’appello di Amnesty è stato fondamentale per allargare uno squarcio di consapevolezza nelle persone e per sottolineare l’amoralità di questi mezzi barbarici, che servono a tutto meno che a dare giustizia.
Il reverendo Jeff Hood, consigliere spirituale di Smith, aveva predetto prima dell’esecuzione che se la stessa avesse avuto successo, allora ci sarebbe stato una diffusione a macchia d’olio di questa barbarie. E purtroppo il reverendo aveva ragione. Infatti, lo stato dell’Ohio sta iniziando ad aderire al nuovo metodo di esecuzione e se questa pratica dovesse diffondersi vorrebbe dire la possibile adesione di altri Stati, uno dopo l’altro, alla procedura con la maschera ad azoto. Hood non parla a sproposito. In passato aveva già operato come ministro di fianco ad altri quattro uomini poi giustiziati tramite iniezione letale.
In una dichiarazione finale, lo stesso Kenneth Smith ha sottolineato il passo indietro compiuto dallo Stato dell’Alabama tramite questa atrocità a lui riservata. E alla recente notizia di altre morti programmate mediante lo stesso mezzo bisogna dargli ragione. Inoltre, proprio agli inizi del mese di gennaio 2024, alcuni esperti di diritti umani delle Nazioni Unite hanno segnalato che il metodo di esecuzione (ancora non testato) avrebbe potuto comportare una morte dolorosa pari alla tortura stessa. E a segnalare un eventuale pericolo, si sono aggiunti gli scienziati in ambito veterinario, che hanno confermato il rischio di questo metodo di esecuzione sugli stessi animali. Non serve allontanarci di molto per renderci conto dei reali rischi dell’azoto. Basti pensare ad esempio alla recente tragedia avvenuta a Gainsville in Georgia, dove in uno stabilimento industriale di pollame si è verificata una perdita di azoto liquido e sei sono state le vittime, oltre ai feriti, per l’inspirazione della sostanza.
Ancora una volta gli Stati Uniti danno dimostrazione di quanto uno stato innovativo, quanto grande, multiculturale e bramato, possa invece essere intriso di realtà oscure, contraddittorie e rudimentali. E questo ci dà forse l’ennesima dimostrazione che di passi in avanti dal Seicento ad oggi ce ne siano ancora moltissimi da fare, e non solo in America, dove questo gesto tanto atroce quanto ancora legale viene compiuto alla luce del giorno. Ancora una volta uno Stato decide di porre giustizia togliendo la vita a un uomo, che per lo stesso motivo è colpevole. E ancora una volta uno Stato decide di mettersi così al pari di un assassino. L’esecuzione è rimasta una delle forme di condanna definitiva che ben ventisette Stati americani continuano a preservare. Inoltre, nel 2022 cinque altri Stati hanno ripreso la pratica dell’esecuzione, tra cui Afghanistan, Kuwait, Myanmar, Palestina e Singapore.
Quello che si può fare per cambiare le cose richiede tempo ed energie non sempre facili da trovare, ma qualche possibile contributo esiste. Evitare che altri Kenneth Smith vengano puniti con la morte, come se questa possa rappresentare l’unico mezzo della giustizia ai fini rieducativi di una società apparentemente sempre più violenta, è un imperativo morale. Perché la giustizia non può e non deve essere questa, non può mettersi al pari della stessa sfera criminale da cui ci difende. Il reinserimento sociale e la rieducazione sono d’obbligo per un futuro mondiale all’insegna della speranza e della giustizia. ONG come Amnesty questo lo sanno bene ed è proprio per questo motivo che da anni propongono raccolte firme volte ad abolire qualsiasi forma di giustizia che contempli la pena di morte, sensibizzando l’opinione pubblica e diffondendo consapevolezza attraverso le loro costanti campagne.
Giulia Costantini