Nel video che recentemente Mark Zuckerberg ha pubblicato sulla piattaforma di cui è proprietario, Meta, il magnate racconta all’agorà di utenti che frequentano i suo spazi virtuali di un new deal improntato sull’abolizione di una presunta censura, di un nuovo corso sulla falsariga di quello annunciato qualche anno fa da Elon Musk in merito al suo social network X, verso una rinnovata e altrettanto presunta libertà di pensiero e di espressione. Saranno rivisitati gli algoritmi per evitare errori e il sistema di controllo della veridicità dei fatti, introdotto a seguito della prima elezione di Donald Trump (come sottolineato dallo stesso Zuckerberg) a causa delle continue minacce alla democrazia costituite dalla disinformazione, sarà semplificato e ridotto a una serie di community notes, un metodo che viene apertamente mutuato da X e che consente agli utenti di autodisciplinare l’uso delle piattaforme. A questo si aggiunge una semplificazione delle politiche sui contenuti che consentirà dunque di trattare in modo più aperto delle questioni considerate scivolose.
Risulta doverosa, date le circostanze, una premessa forse ovvia: la parola censura, stando al significato riportato sull’Enciclopedia Treccani Online, significa: «esame, da parte dell’autorità pubblica o dell’autorità ecclesiastica, degli scritti o giornali da stamparsi, dei manifesti o avvisi da affiggere in pubblico, delle opere teatrali o pellicole da rappresentare e sim., che ha lo scopo di permetterne o vietarne la pubblicazione, l’affissione, la rappresentazione, ecc., secondo che rispondano o no alle leggi o ad altre prescrizioni».
Dunque, prima ancora di porci quesiti di natura morale – cos’è la libertà di pensiero? Quali sono i limiti al diritto di parola che consentono il vivere civile, e dunque il vivere comune? É possibile esprimere le proprie opinioni senza ledere la libertà e la dignità altrui o esiste un diritto all’odio e alla violenza, che ha dignità perché necessario alla nascita della dialettica? – bisognerebbe ritornare al linguaggio e alla sua manipolazione. La censura, in uno stato democratico e moderno (ma non in uno stato liberale, a quanto pare), è uno strumento necessario ai fini della applicazione delle leggi che regolano lo stato stesso. In altri termini, se su un social network sono pubblicati e diffusi video e post in cui, ad esempio, si inneggia alla pulizia etnica o si diffondono messaggi d’odio contro la comunità LGBTQIA+, questi almeno secondo le leggi italiane dovrebbero poter essere bloccati, perché violano i principi fondamentali della Costituzione. Ma questo, a Mark Zuckerberg come ai governi occidentali, che dovrebbero essere responsabili della creazione di leggi ad hoc per tutelare la libertà di espressione senza indulgere alla disinformazione, non importa assolutamente nulla.
A Zuckerberg, unico legittimo sovrano nel regno di Meta, importa solo ed esclusivamente degli interessi suoi e della sua azienda, tutelati ottenendo il favore dell’amministrazione Trump, forse anche in ragione del ruolo determinante che il suo gemello Elon Musk ha assunto durante la campagna elettorale del tycoon (a titolo di esempio basti ricordare lo scandalo Cambridge Analytica, che coinvolse il fedelissimo Steve Bannon). Meta e i contenuti che circolano al suo interno sono uno specchio della società occidentale, intrinsecamente populista, e il tentativo del manager di aggirare le ingerenze in materia giuridica dei governi, anche di quelli europei, è perfettamente riuscito a causa del potere economico che detiene, delle ingenti somme di denaro che i suoi social network smuovono e del loro grande potere di manipolazione delle masse. Di fatto, le stangate fasciste di Zuck sono ben tollerate dai governi, che per ragioni economiche e propagandistiche non hanno alcun interesse a limitarle.
Dunque, ben vengano i messaggi d’odio scambiati per buon senso, via libera alle fake news e allə opinionistə disinformatə, alla maniera dei sofisti tutto è vero e tutto è falso nel regno della libertà, con buona pace della giustizia e del rispetto, per i quali il rischio di essere tacciati di ideologia woke e del politicamente corretto è dietro l’angolo. Ma d’altra parte questo non è altro che uno strascico della deriva demagogica che le democrazie occidentali stanno abbracciando da una decina d’anni a questa parte. Per quanto ancora la puzza di fogna dovrà permeare la nostra quotidianità prima che qualcuno abbia la decenza – e forse anche il coraggio – di chiudere i tombini?
Giulia Imbimbo