Le recenti vicende riguardanti le “Farfalle”, le atlete della Nazionale Italiana di Ginnastica Ritimca, hanno sollevato un polverone sui metodi utilizzati dalle coach per preparare le ginnaste alle gare. Tra chi respinge le accuse e chi, in maniera più o meno indiretta, giustifica l’utilizzo di un certo rigore, c’è da interrogarsi sull’adeguatezza di tali metodi di allenamento e su quanto essi conducano realmente ad uno stato di felicità e di armonia, piuttosto che colpevolizzare le vittime.
Secondo la teoria de “L’effetto Farfalla”, il battito di ali di una farfalla sarebbe capace di provocare effetti a catena dall’altra parte del mondo. Ormai nota è la storia di alcune ex atlete della Nazionale Femminile Italiana di Ginnastica Ritmica – anche note come “Farfalle” – che hanno denunciato presunti abusi psicologici subìti durante gli anni di allenamenti all’Accademia di Desio, l’Accademia Internazionale di Ginnastica Ritmica, luogo dove le ragazze svolgono i loro allenamenti. Le ginnaste hanno parlato di violenze varie, che comprendevano vessazioni, insulti, spesso legati al loro peso. Ebbene, tale battito di ali ha, per l’appunto, scatenato degli effetti a catena: dal giorno in cui le denunce sono state rese note, decine di atlete – anche non appartenenti alla Nazionale – hanno denunciato abusi simili. Di lì le inchieste, sia della giustizia sportiva che ordinaria, che adesso dovranno accertare sul piano giudiziario quanto emerso. Ma le denunce hanno anche posto un grande interrogativo sulla adeguatezza dei metodi di allenamento utilizzati dai coach di ginnastica ritmica con le atlete.
La ginnastica ritmica è uno sport nel quale l’equilibrio fisico dell’atleta assume una valenza particolare in quanto incide in maniera determinante sulle sue prestazioni. Tuttavia, quello che emerge dalle numerose denunce e che le atlete sono molto spesso costrette a subire vessazioni che hanno il fine di farle raggiungere un eccellente peso forma tale da consentirle di “performare” al meglio. Le varie denunce parlano di maltrattamenti, body shaming, proibizioni alimentari, persino percosse. Ciò incide inevitabilmente sullo stato emotivo delle ragazze, le quali, pur raggiungendo importanti risultati, si battono con una costante infelicità e terrore psicologico.
Eppure, durante le loro esibizioni le ginnaste sembrano esprimere un costante sentimento di felicità e di leggiadria, mostrando il sorriso durante tutta la durata della performance. Forse occorrerebbe chiedersi cosa si nasconde dietro quel sorriso e domandarsi se esso sia realmente il frutto di una naturale sensazione di benessere piuttosto che di una forzatura interiore.
Inevitabilmente, le luci dei riflettori si sono concentrate su Emanuela Maccarani, direttrice tecnica dell’Accademia di Desio ed allenatrice della nazionale di ginnastica ritmica, e la sua assistente Olga Tishina, le quali risultano ad oggi indagate dalla Procura di Monza per presunti comportamenti vessatori e abusi psicologici nei confronti di alcune delle Farfalle. Nella giornata del 12 gennaio la Federginnastica ha deciso che la Maccarani non sarà più direttrice tecnica dell’Accademia internazionale di ginnastica ritmica di Desio, confermandole, tuttavia, il ruolo di allenatrice della squadra nazionale.
Lei si difende dietro i successi ottenuti – in effetti è ad oggi l’allenatrice più titolata della storia della ginnastica ritmica italiana. “C’è una scuola, c’è un metodo, vinciamo da vent’anni. Non è per niente banale”, afferma la Maccarani, sostenendo, allo stesso tempo, che le accuse provengono in realtà da atlete che sono state da lei escluse e non sono state dunque parte del team andato alle Olimpiadi di Tokyo 2020.
Anche il CONI, tramite il suo presidente Giovanni Malagò, si è espresso sulla vicenda. Malagò, in una uscita che racchiude una decisa incoerenza travestita da garantismo e diplomazia, ha chiesto scusa alle atlete che hanno sofferto, senza mancare di sottolineare, tuttavia, che, comunque, nella ginnastica, più che in altri sport, il peso è una determinante e un certo rigore è inevitabile. In realtà al CONI andrebbe ricordato che si tratta di un vecchio problema di cui tutti sono direttamente o indirettamente a conoscenza e sul quale lo stesso CONI, tramite le federazioni di competenza, dovrebbe effettuare una sorveglianza periodica. L’inevitabile rigore di cui si parla, pur utilizzato in qualsiasi disciplina, dovrebbe arrestarsi laddove inizia anche vagamente ad assumere i contorni della violenza, psicologica o fisica. I risultati e i titoli non si ottengono con l’uso della forza ma solo quando all’atleta viene data la piena possibilità di esprimersi al 100 per cento e, soprattutto, liberamente.
Ecco perché le atlete della nazionale non vanno più etichettate come Farfalle. Le recenti vicende hanno portato alla luce delle situazioni che si allontanano il più possibile dalla libertà che contraddistingue le farfalle intese come insetti.
È responsabilità di chi allena e chi prepara le persone per uno sport, in generale, ma ancor di più in relazione a questo sport particolare, di non dimenticare l’aspetto umano e psicologico e di considerare gli effetti e le conseguenze che le azioni possono avere sullo sportivo, che resta pur sempre una persona. Non può che avere degli effetti negativi dare priorità esclusivamente ai risultati.
Né avrebbe alcun senso nel contesto di questa vicenda colpevolizzare le vittime per non aver denunciato in tempo o per essere state deboli: per non essere state, insomma, delle buone vittime. Tutto ciò non porta ad alcun risultato se non quello di produrre un forte effetto psicologico negativo sulla persona che ha subito gli abusi e sulla sua reputazione sociale e soprattutto quello di spostare l’attenzione sulle vittime piuttosto che sulle vere cause alla base del problema.
Al massimo, qualcosa ci sarebbe da ridire sul comportamento di quelle famiglie che, pur accorgendosi del disagio e dell’infelicità delle loro figlie, hanno preferito rimanere in silenzio, preferendo dare priorità alla pur minima possibilità di un loro successo sportivo, senza rendersi conto di aver di fatto legittimato dei metodi di allenamento completamente inadeguati.
È importante sottolineare che la ginnastica ritmica, per quanto possa essere dipinto come un mondo complesso, non va assolutamente demonizzata. Questo è un altro motivo per il quale, come giustamente sostenuto dalla capitana delle Farfalle, Alessia Maurelli, l’appellativo di Farfalle risulta ormai inadeguato, in quanto ormai espressione di un collegamento diretto tra i presunti abusi e il mondo della ginnastica ritmica. Non può, in effetti, essere messo in dubbio che il sorriso mostrato dalle atlete nelle esibizioni sia sempre espressione di una reale felicità ed armonia. Ma, alla luce delle recenti vicende, non si può escludere nemmeno il contrario. Ciò che va assolutamente evitato è la normalizzazione della violenza all’interno di questo mondo. Ecco perché tutte le storie vanno raccontate, con il fine di non fare in modo che si ripetano, parlandone costantemente e denunciando tempestivamente. Per il bene dello sport sano e delle atlete, affinché il loro sorriso possa essere sempre un’autentica costante.
Amedeo Polichetti
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