Il Prezzo di Arthur Miller è stato reinterpretato dalla compagnia Orsini, che lo riporta in scena per la stagione teatrale 2015/16. Al momento in scena al teatro Diana di Napoli.

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The price  (Il prezzo) di Athur Miller debuttò nel 1968 al Morosco Theatre di Brodway ottenendo talmente tanto successo da essere replicato 429 volte. In Italia è stata ripresa nel 1969 con Raf Vallone e Mario Scaccia. Ma per la stagione 2015/16 una nuova versione del testo è messa in scena dalla Compagnia Orsini.

The price di Orsini resterà in scena a Napoli per tutto il mese di Novemebre al teatro Diana. La scena si apre su una serie di mobili antichi ammassati l’uno sull’altro coperti da grandi teli bianchi, fra i quali si intravede solo un comò tanto brutto da non piacere neanche al proprietario, un tavolo che poi si scopre essere troppo grande per le abitazioni moderne ed una vecchia arpa carica di ricordi malgrado non dovrebbe perché, come ci svelerà il vecchio rivenditore, “con i mobili usati non si può essere sentimentali”.

Sin da questa prima scena appare chiaro il simbolo intrinseco di tutta l’opera, nonché il suo titolo, ovvero il prezzo. Quell’ammasso di mobili appare come un macigno che soffoca la scena, proprio come il prezzo del passato soffoca la vita presente dei personaggi.

Massimo Popolizio oltre ad essere il regista della commedia riserva per se anche un ruolo da attore, quello di Victor che per primo compare sulla scena. Victor deve vendere quella schiera di mobili che un tempo appartenevano alla sua famiglia e per fa ciò contatta un vecchio rivenditore di quasi novanta anni, interpretato da uno splendido Orsini. Il compito di Victor è quello di riuscire a vendere quei mobili per poi dividere il guadagno con il fratello Walter (interpretato da Elia Schilton). Walter è il fratello che era meno dotato negli studi ma è riuscito ugualmente a fare carriera, o meglio i quattrini,  diventando un famoso chirurgo; proprietario di tre case di riposo, con un divorzio alle spalle, dei figli che “pensano solo alla chitarra” ed un crollo nervoso che lo ha portato a rivalutare le sue conquiste. Victor invece è  il fratello che era più dotato negli studi, ma che non ha potuto terminarli per mancanza di soldi e perché occupato a prendersi cura di un padre, egoista e sfruttatore, finito in bancarotta. Costretto ad un lavoro da poliziotto, che non sopporta ma che non riesce a lasciare, tiranneggiato da una moglie depressa, piena di risentimento, dedita all’alcol e ai soldi : Esther (interpretata da Alvia Reale).

Dal semplice spunto di dover dare un prezzo a quel agglomerato di mobili antichi emergono tutte le incomprensioni e le menzogne del passato, scaturite dall’improvvisa perdita del benessere causata dalla crisi del ’29 e dalla paura di divenire di conseguenza un barbone che affolla i parchi “con gli scarpini lucidi ed il cilindro”.

La crisi finanziaria, la devozione filiale sproporzionata alla causa, lo scontro fra fratelli, le incomprensioni matrimoniali, il dissidio interiore causato dallo scegliere o meno di andare in pensione, racconti di un adolescenza bruciata, i quattrini, il risentimento, il dover far quadrare i conti solo per potersi permettere un uscita al cinema, le convenzioni sociali … Queste le varie sfaccettature del solo tema portante: il prezzo delle cose.

Un tema moderno come pochi descritto dalla classica abilità di Miller, in breve uno spettacolo che merita di essere visto.

Una messa in scena dalla struttura semplice ma efficace. La traduzione dell’opera è di Masolino D’Amico;  la scena, imperturbabile ma ricca di simbolismo di Maurizio Balò. I costumi di Gianluca Sbicca, semplici e rappresentativi, come la divisa da poliziotto dalla quale Victor non ha il coraggio di staccarsi, il vestito rosso di Esther e la sua borsetta sempre al braccio come ad indicare una donna ansiosa, impaziente di uscire dalla scena e lasciarsi tutto alla spalle, o il vestito di Walter procuratogli da “un cliente facoltoso” che esprime a pieno l’essenza snob del personaggio. Le luci cupe di Pasquale Mari, che adornavano perfettamente la scena. La regia impeccabile di Massimo Popolizio, che mostra la sua cura nei dettagli dei personaggi, come la goffaggine dello stesso Victor. Infine la direzione artistica dello stesso Orsini, magnifico da direttore quanto da attore, per tanto come non citare la fine della commedia da lui recitata con un ultimo spettacolare balletto: la danza di un venditore tornato all’opera dopo anni che balla fiero sulle ceneri di una famiglia distrutta, per lui diventata un affare a buon prezzo.

Simona Pisano

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