Pino Scotto non ha certo bisogno di lunghi preamboli; lo conosciamo tutti per la sua lunga carriera: dai Vanadium fino ai giorni nostri, con i suoi numerosi lavori da solista.
Pino Scotto è anche famoso per non avere peli sulla lingua, per la sua irriverenza, voglia di giustizia e ribellione contro ciò che nega la dignità e il rispetto delle persone. Concetti che spesso ha espresso senza tante metafore.
Spesso e volentieri, per i suoi modi di fare estrosi e non convenzionali, viene paragonato al padrino dell’heavy metal Ozzy Osbourne. Come, non di rado, accade l’apparenza inganna: gentilissimo e pieno di entusiasmo, si racconta generosamente ai microfoni di Libero Pensiero. Oltre che di musica, abbiamo avuto modo di discutere del progetto umanitario del quale si occupa insieme alla dottoressa monzese Caterina Vetro, a favore dei bambini del Guatemala.
Nei tuoi dischi ci hai abituati a tematiche importanti, una su tutte il degrado culturale, sociale e politico che il nostro paese sta attraversando. Secondo te, il rock ha ancora la funzione di ribellione e, al contempo, di informazione?
«Il rock non ha mai perso questa funzione, è la gente che se l’è dimenticata! Tutti credono che Pino Scotto ce l’abbia con le nuove generazioni di artisti o pseudo tali, ma a me non interessa la loro musica. Non capisco perchè, nonostante il successo, non hanno il coraggio di esprimersi a pieno, di dire ai propri milioni di fan che li stanno lobotomizzando con frivolezze e sciocchezzuole da bar, al fine di far perdere loro il focus su quella che è la realtà che li circonda (un po’ come fanno certi media e politici nostrani). Gli unici che portano alla luce tematiche sociali sono i rapper.»
Nel tuo settimo album, “Codici Kappaò” è presente una collaborazione con i Club Dogo (“Pino… Occhio”) – chi se lo sarebbe mai aspettato da Pino Scotto! -, registrata otto mesi prima del disco e con la quale hai partecipato al progetto Rainbow realizzato in Centro America con la dottoressa Vetro. Puoi dirci qualcosa a riguardo?
«Questo progetto nasce dalla mente e dall’anima della dottoressa Caterina Vetro, nata a Monza, psicologa che, appena laureata, cominciando a lavorare a Milano, si era accorta che stava curando “finti malati”, persone che si preoccupavano solo di problemi futili; per questo ha cominciato ad impiegare le sue competenze nelle associazioni umanitarie. Un giorno, vedendo dei piccolissimi bambini negli orfanotrofi, vittime di abusi ho detto: “dobbiamo fare qualcosa”. Così, abbiamo iniziato a costruire delle casette, tirando fuori questi minori dagli orfanotrofi. Abbiamo, successivamente, costruito una scuola di musica; l’anno dopo siamo andati in Guatemala, dove c’è la più grande discarica di rifiuti e i bambini lavorano tutto il giorno in mezzo alla sporcizia per raccogliere qualsiasi cosa. Lì abbiamo eretto una clinica. Ora siamo in Cambogia, dove abbiamo creato un laboratorio di saponi e oli naturali, dando lavoro alle donne. Per chi ne volesse sapere di più: Rainbowprojects.it, sito nel quale potete trovare tutti i progetti passati e in corso.»
Tornando alla musica, l’album presenta ritmi inconsueti che rispecchiano appieno la personalità eclettica e idee di Pino Scotto. Come è nata la passione per tuo genere di riferimento?
«Nasce da un me tredicenne che ascoltava Elvis e si pettinava come lui, si faceva camicie come le sue, si metteva davanti allo specchio con la scopa per imitarlo. Tutto questo mi intrigava, anche se mai e poi mai avrei pensato di abbracciare il mondo della musica. A sedici anni sono scappato di casa, da un piccolo paese in provincia a Napoli, perché in città c’erano più possibilità di crescita. Ho dormito per tre mesi in una Cinquecento che un parcheggiatore abusivo mi faceva usare, dato che il proprietario non se ne curava particolarmente. È da questi aneddoti che vi sto raccontando che è iniziato il mio viaggio nel mondo del rock.»
Oltre che per la musica, Pino Scotto è famoso per il suo carattere acceso; parlandoti si capisce, invece, che sei una persona gentile e disponibile. Qual è, quindi, il prezzo della sincerità?
«È un prezzo che non paga: le persone che desiderano un mondo pulito, dove regna il rispetto, l’amore, la compassione e l’aiuto reciproco vivono male, sentono addosso tutta questa“sporcizia” presente al di fuori. Negli altri ambiti lavorativi, come ad esempio una fabbrica, paghi perchè non riesci a dire quello che pensi; quello dello spettacolo è un mondo in cui c’è molto pregiudizio, molta finzione. Ho visto artisti abbracciarsi sul palco che appena si incontrano se ne dicono dietro di ogni, tanto per fare un esempio pratico.»
Tre cose per cui vale la pena vivere?
«Mio figlio Brian, che per me, nonostante sia ormai un uomo di mezza età, è come se fosse ancora un bambino, la musica, la speranza di vedere un mondo migliore. Anche se mia mamma, da buona napoletana, soleva dire “chi di speranza vive, disperato muore”, io continuo a crederci.»
Vincenzo Nicoletti