Parlare con una sola parola, col mito è possibile.
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Perché alcune parole hanno il corrispondente significato? Si può parlare con una sola parola? La mitologia risponde.

Leggere, parlare e scrivere attraverso le parole significa praticare, talvolta in modo inconsapevole e scontato, una cultura antichissima e affascinante. Ma quale ragione ha condotto noi parlanti ad associare alcuni significati ai corrispondenti significanti?

Il filosofo Ludwig Wittgenstein scriveva che «Il linguaggio è un labirinto di strade» e tra di esse vi è certamente quella spianata dal mito. Molte parole in uso nella nostra comunicazione, infatti, sono in debito con quei racconti investiti di sacralità attraverso i quali gli antichi si davano una spiegazione a interrogativi riguardanti la nascita del mondo, eventi naturalistici, storici ed eziologici e che oggi ritornano per rispondere a domande di natura linguistica: è l’inizio di una storia d’amore tra parole e mito.

L’origine etimologica del termine mito è costituita dal greco mýthos e significa letteralmente «parola che dice». La stessa definizione ben si presterebbe per alcune delle parole di seguito riportate e che da sole sono capaci di raccontare una storia, aprire un varco sulla cultura classica e formare insieme il filo di Arianna che guidi noi, Teseo, nel labirinto linguistico.

La prima storia ci viene raccontata dalla parola eco. Quest’ultima, prima di indicare il fenomeno acustico prodotto dalla riflessione di onde sonore contro un ostacolo, nella mitologia greca dava il nome a una loquace ninfa dei monti. Si racconta che un giorno Zeus l’abbia incaricata di distrarre la moglie Era, in modo che egli potesse comodamente tradirla con una delle sue amanti. Scoperto l’inganno, la Dea punisce la complice ninfa privandola della sua favella e lasciandole come sola possibilità quella di ripetere le ultime sillabe che udiva. Quello che accade, dunque, quando gridiamo sui monti e che tanto ci diverte nasce, mitologicamente parlando, da una crudele punizione.

Alla vicenda della ninfa si intreccia la più nota origine mitologica del temine narcisista. Eco, in seguito al castigo subito, si era infatti innamorata, senza essere corrisposta, di Narciso, un ragazzo bellissimo ma incapace di amare altri all’infuori della sua immagine riflessa nell’acqua, la stessa che lo condurrà alla morte e che da quel momento lo consacrerà a sinonimo di egoismo, vanità e presunzione. Dalla morte di Narciso nasce, però, una nuova vita che si manifesta nella parola omonima indicante il fiore sorto dal corpo esanime del vanesio ragazzo. Narciso è l’esempio di come essere belli può rivelarsi una sfortuna, in quest’epoca in cui la bellezza estetica è spesso giudicata come una marcia in più o una qualità dei soli fortunati. Ma il giovane sventurato non è il solo. Si pensi al mito di Adone, un ragazzo tanto bello da far innamorare la Dea Afrodite, ma divenuto tristemente noto e sinonimo di bellezza dopo essere stato ucciso per gelosia da Ermes, innamorato della Dea.

Nella vita sia reale che mitologica, fortunatamente, la bellezza non è tutto ed anche la bruttezza può fare la sua parte. La mitologia, infatti, ha consegnato alla nostra comunicazione termini derivanti da personaggi poco carini. Si pensi a parole come panico. Se per indicare una situazione di grande terrore usiamo il sostantivo poc’anzi citato, lo dobbiamo al nome del Dio Pan, un ragazzo dall’aspetto orribile. Robert Graves scrive: «si dice che Pan appena nato fosse così brutto a vedersi, deformato com’era da corna, barba, cosa e gambe di capro, che sua madre fuggì atterrita».  A terrorizzare però non era solo il suo l’aspetto fisico, ma anche la capacità di emettere urla così forti da spaventare persino se stesso. Lo studioso ci racconta che grazie ad un solo urlo di Pan, Zeus riuscì ad avere la meglio sui Titani alleati con Crono e da quel momento «divenne proverbiale e diede origine alla parola panico».

Un nuovo spunto di riflessione ci viene poi dalla parola sosia, che deve il suo significato al nome portato dallo schiavo al seguito del comandante Anfitrione. Entrambi restano vittime di un “furto di identità” da parte, rispettivamente, di Giove e Mercurio. L’intento del Dio supremo era quello di copulare con Alcmena, moglie del comandante, mentre Mercurio, dietro le sembianze di Sosia, veniva posto a guardia del portone. L’incontro tra i due servi manderà in crisi il vero Sosia che dirà: «evidentemente, padrone mio, questa notte ci siamo sdoppiati tutti» e così, come scrive Luciano De Crescenzo: «da quel giorno darà il suo nome a tutti i sosia della terra».

Con ogni probabilità, Sosia non aveva qualcuno che lo riportasse in sé, un consigliere saggio di cui potersi fidare ciecamente, insomma un mentore. Ecco un’altra parola madre di una nuova storia e che è divenuta per antonomasia il nome di un’intera categoria di persone. Quando Ulisse partì da Itaca per andare a guerreggiare a Troia, affidò il suo giovane figlio Telemaco alle cure di Mentore, figlio del suo caro amico Alcino. Mentore adempì al suo compito, ma la sua grande rilevanza è dovuta al fatto che Atena, «la più intelligente di tutte le Dee», prese le sue fattezze per essere d’aiuto al figlio di Ulisse nella battaglia contro i Proci.

Possiamo, dunque, ancora dire che una storia si racconta con tante parole o ne basta una? Forse qualcuno canterebbe con Mina «parole, parole, parole» ma, in fondo, restano «soltanto parole» solo per i distratti parlanti che ignorano il viaggio che esse compiono dal grembo del mito alle nostre bocche.

Alessio Arvonio

Alessio Arvonio
Classe 1993, laureato in lettere moderne e specializzato in filologia moderna alla Federico II di Napoli. Il mio corpo e la mia anima non vanno spesso d'accordo. A quest'ultima devo la necessità di scrivere, filosofare, guardare il cielo e sognare. In attesa di altre cose, vivo.

8 Commenti

  1. Complimenti per questa giusta riflessione.
    È proprio vero le parole sembrano solo parole come direbbe la celebre Mina, ma ogni parola ti porta a viaggiare nel tempo.

  2. Caro Alessio, i miei studi e l’esperienza mi hanno insegnato che le guide per intravedere il futuro, si trovano proprio tra filosofi e artisti. Soltanto loro hanno la capacità di leggere nel profondo,andare oltre e indicare la strada. Da tempo spero che i governi, attingano quanto prima da queste categorie, tu non ti fermare, hai le carte per essere tra quelli che indicheranno il futuro.

  3. Quante cose interessanti la storia e la letteratura ci insegna…anche la mitologia ha un fascino che alligna alle origini del creato…bravo Alessio, sei riuscito a stregare il lettore e lo hai arricchito di nuovi e avviluppanti concetti .

  4. Ciao Alessio,ho letto tutto,è molto profondo quello che hai scritto,tante volte non riflettiamo come dovremmo fare,e quello che tu hai scritto farà riflettere molte persone me compresa.

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