Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris torna ad attaccare il governo. Attraverso un post su Facebook il primo cittadino annuncia, per mercoledì 21 febbraio, una protesta davanti a Montecitorio e Palazzo Chigi contro il pignoramento di 24 milioni di euro sulle casse comunali avanzato, a fine gennaio, dal Consorzio Ricostruzione 8, per un debito di 97 milioni, datato 1981, contratto dal commissario straordinario per il sisma del 1980.
De Magistris è un fiume in piena, non ci sta. Accusa il governo di non aver rispettato gli «impegni politici ed istituzionali per la risoluzione di tali vertenze non addebitabili al Comune di Napoli» e lancia un appuntamento il 21 febbraio a Roma «per discutere, in piazza, della questione debito che soffoca diritti, territori, bisogni».
La questione debito è particolarmente spinosa, complessa e non riguarda solo la città di Napoli ma interessa numerosi enti locali. In questi anni, De Magistris si è fatto portavoce del disagio di tanti sindaci e tanti amministratori locali che, strangolati da debiti e tagli, spesso non riescono a garantire i servizi a livelli qualitativamente e quantitativamente accettabili. Questi debiti, in molti casi maturati in epoche in cui i cordoni della spesa pubblica erano larghi, negli anni sono aumentati a dismisura.
Il debito del comune di Napoli, per fare un esempio, è balzato dai 783 milioni dell’inizio del 2013 ai 2,53 miliardi di fine 2016, come riportato dal Sole 24 ore. Ma, al di là dell’aritmetica, il punto della questione debito è tutto politico. Il sistema di finanziamento dell’indebitamento, in molti casi senza intaccare la spesa clientelare, alimenta un meccanismo senza fine e finisce per aggravare ulteriormente la situazione senza soluzione di continuità, costringendo gli amministratori locali e la politica nazionale a tagliare senza criterio, trasformando gli attori istituzionali in meri curatori fallimentari degli enti pubblici, con possibilità di manovra finanziaria ridotta al minimo. De Magistris questo sembra averlo capito bene ma, nel tirare a campare, evita accuratamente di presentarsi all’opinione pubblica e alla sua stessa maggioranza con un’operazione verità.
Sono trascorsi ormai quasi sette anni da quando De Magistris, sparigliando le carte degli assetti politici in città, ha messo piede a Palazzo San Giacomo. Ebbene, dopo quasi sette anni, pur esonerandolo da responsabilità amministrative che sono certamente non addebitabili a lui, dovrebbe fare chiarezza sulle possibilità reali di portare avanti il comune di Napoli senza dover cedere su tutta la linea ai diktat di Roma. Arrivati a questo punto, la domanda è d’obbligo: questa maggioranza ha la forza e la capacità politica di sottrarsi alle politiche del debito? Oppure, un taglio dopo l’altro, è destinata a soccombere sotto i colpi dell’austherity, riuscendo solo a posticipare l’inevitabile tracollo dell’ente?
In questo quadro drammatico, infatti, la nuova legge di bilancio, che concede 20 anni (anziché 10) agli enti locali per risanare le proprie casse, da un lato costituisce una boccata d’ossigeno ma, dall’altro, con un debito che cresce e le entrate che crollano, rischia di diventare solo un allungamento dell’agonia, finendo per alimentare ulteriormente quel meccanismo perverso che strangola gli enti pubblici. È su questo che De Magistris, a parte sporadiche uscite pubbliche, dovrebbe essere più chiaro.
I cittadini hanno il diritto di sapere se questa amministrazione, come da proclami, può effettivamente portare a casa qualche risultato duraturo, oppure se il massimo che si può ottenere, allo stato attuale, è uno smantellamento più lento ma comunque inesorabile dei servizi pubblici erogati dal comune. In questa situazione, la dialettica “rivoluzionaria” del sindaco finisce per avere il solo merito di alimentare l’immaginario politico, tuttavia provocando, nel lungo termine, un senso di repulsione per le parole d’ordine che non diventano mai pratica amministrativa. Tutte le considerazioni sui soldi che mancano e sulle responsabilità di questi ammanchi, arrivati a questo punto, lasciano il tempo che trovano e, semmai, servono soltanto ad imbastire una ricostruzione storica da opporre a chi ha amministrato in maniera scellerata questa città ed ora vorrebbe proporsi come la soluzione ai problemi. Serve chiarezza perché non si possono annunciare continui salvataggi del comune per poi, ciclicamente, ritrovarsi al punto di partenza. Corre l’obbligo di una operazione verità: o si ha la possibilità (e la capacità) di programmare un rientro ragionevole del debito o, forse, è il caso di staccare la spina.
Mario Sica