Umani, al plurale.
In realtà ci sarebbe poco da aggiungere, alle immagini della cronista ungherese che hanno infuriato nell’ultima settimana; se non che un tale stupore non ha motivo di esistere. Prima un ragazzo, poi una bambina che cerca di scansarla, quindi, pochi minuti dopo, un uomo di mezza età che sfugge alle grinfie di un poliziotto, e precipita rovinosamente al suolo con suo figlio che si lascia andare ad un pianto disperato.
Si è scusata attraverso una lettera pubblica, Petra Laszlo, adducendo i suoi gesti al panico nel ritrovarsi di fronte una folla in fuga.
Ci ha provato, almeno, sebbene le immagini la condannino senza sorta: non s’è mai visto nessuno reagire al panico scalciando e sgambettando, ed anzi dal video traspare una bieca freddezza calcolatrice, quasi, chissà, un artificioso indugiare nel compiacimento verso le scene di sofferenza e disagio che la sua telecamera andava immortalando.
Ma tant’è, Petra Laszlo adesso è “una povera madre disoccupata con due figli piccoli”, come lei stessa si è definita nella lettera, e l’emittente per cui lavorava sta cercando in ogni modo di scrollarsi di dosso la pubblicità negativa.
Che dire, anche quell’uomo era un povero padre disoccupato con in braccio una piccola creaturina terrorizzata: eppure non ci ha pensato due volte, Petra Laszlo, ad allungare il piede per difendersi da una minaccia così rischiosa, come se di fronte si fosse trovata un miliziano dell’ISIS che sguainava la sciabola.
Una scena come tante di quelle consegnate al pubblico europeo, che come al solito, in preda a un fervore emotivo o a una corsa a palesare il proprio disappunto nella maniera più eroica possibile, ha rigurgitato una sequela di insulti e minacce su Petra Laszlo, arrivando addirittura a lanciare una petizione attraverso la celebre piattaforma Change.org, affinché venga condannata a due anni di servizi di assistenza.
La petizione conta già circa 20 mila sostenitori e contiene in sé un’idea buona, non fosse altro che tutta questa vicenda è la sterile riproposizione di una coscienza sociale effimera, che viaggia sull’onda di mode e viralismi più che su canali di critica e consapevolezza.
Petra Laszlo, con il suo comportamento, si è di certo guadagnata il titolo di feccia del pianeta, stronza meschina da quattro soldi che meriterebbe forse l’amputazione di quelle dannate gambe; eppure, la criminalizzazione del suo gesto rischia di diventare l’ennesimo specchietto per le allodole di una tragedia ben più grave di una cogliona in cerca di fama.
Perché, è bene sottolinearlo, Petra Laszlo non è altro che il prodotto di politiche xenofobe e repressive che nell’Ungheria dei muri e del cibo lanciato come a bestie in gabbia sono la normalità, e che anche nel resto d’Europa iniziano a prendere consistenza come una naturale risposta ad un’invasione strumentale ad oscurare i fallimenti politici attraverso l’imposizione della paura.
Potremmo certo rimarcare che il traffico di armi e clandestini alimenta un business molto apprezzato dalle cosche, che distrarre le masse attraverso distopiche rappresentazioni della realtà permette di convogliare il consenso verso forme di strutturazione conservative e reazionarie del potere, a tutto vantaggio dei culi flaccidi che fanno a gara a chi accoglie più migranti per sedersi accanto a Gandhi o Nelson Mandela sui gradini della storia. Ma passeremmo per finto-moralisti, per buonisti radical-chic incapaci di analizzare i contesti, per anacronistici residui sessantottini.
A me, tuttavia, fuori dal tempo sembrano solo quelle immagini.
Ne vedo a centinaia, con la vita negli occhi e la morte nel cuore; portano in poche buste quel che resta del loro universo disfatto, stracci consunti, speranze marcite. Attraversano desolate steppe di erba gracile e spighe piegate dal vento dell’est, come se al di là di quei desolati paesaggi di bruma si celasse un paradiso di luce e riposo, niente più guerra, non più miseria, né persecuzioni.
E noi attoniti al di qua dell’inferno, stretti nella grettezza di un’indifferenza disumana, siamo più morti di quei cadaverini spiaggiati sulle coste di una promessa disattesa, barattando la dignità dell’esistenza con l’inganno della violenza.
Perché, in fondo, Petra Laszlo non ha fatto altro che ciò che avrebbero fatto in migliaia, se solo non fossero stati troppo impegnati a spergiurarlo su facebook.
Buona domenica, lettori cari, e alla prossima.
Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli