Eletta da poche settimane alla presidenza della Commissione europea, Ursula von der Leyen è già al lavoro per definire gli orientamenti secondo cui l’esecutivo comunitario eserciterà i suoi compiti. Prima donna ad assumere tale carica (così come Christine Lagarde alla BCE), è da molti considerata la “svolta sociale” di cui tanto si sentiva bisogno all’interno delle istituzioni europee, anche per quanto riguarda le migrazioni.
A ben vedere, però, quella della von der Leyen potrebbe essere una novità solo di facciata, dato che la linea che la tedesca intenderà seguire – soprattutto in tema di migrazioni – sarà molto simile (se non uguale) a quella dettata dai suoi predecessori, in particolar modo Juncker. Ecco perché, dunque, con la von der Leyen non cambierà sostanzialmente nulla rispetto alle politiche degli ultimi anni.
Chi è Ursula von der Leyen e com’è arrivata in Commissione europea
Nata in Belgio da genitori tedeschi, Ursula Albrecht (suo cognome da nubile) si forma alla scuola europea di Bruxelles per poi trasferirsi proprio in Germania, dove frequenta il liceo scientifico di Lehrte. A 29 anni, nel 1987, si laurea in medicina, conseguendo la laurea magistrale circa quattro anni più tardi. Durante il periodo universitario, conosce Heyko von der Leyen, diventando di lì a poco sua moglie e acquisendo, quindi, anche il suo cognome.
La sua carriera politica comincia nel 2001, quando ottiene un incarico nella regione di Hannover. Nel 2003, è la sua prima volta da Ministro, nell’ambito degli Affari Sociali. Due anni dopo, viene scelta a capo del ministero della Famiglia da Angela Merkel. Durante il cancellierato di quest’ultima, cambia ramo di competenza ancora due volte, occupandosi del Lavoro e della Difesa, ma sempre in qualità di Ministro.
Lo scorso luglio è stata designata dal Consiglio UE, come detto, alla carica di presidente della Commissione europea, venendo eletta grazie a 383 voti (ne servivano 374), contro i 327 a sfavore.
Perché la sua linea politica, in Europa, non si discosterà da quella di Juncker
Nel discorso che ha preceduto la sua elezione, la von der Leyen ha spiegato quello che sarebbe stato il suo programma in caso di nomina. Tra diritti sociali, parità di genere, infrastrutture e istruzione, l’ormai ex Ministro tedesco ha toccato anche l’argomento migrazioni, parlando di un “nuovo patto” volto alla condivisione del “peso” migratorio tra i vari Stati europei.
In particolare, ha specificato che ci saranno delle misure di sostegno mirate ai Paesi che subiscono più pressioni, tra i quali l’Italia, la Spagna e la Grecia.
Rimanendo sempre in tema di migrazioni, la neo presidente ha dichiarato però di voler anticipare gli effetti della riforma di Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), che prevede il rinforzo delle Frontières extérieures con l’assunzione di 10.000 agenti in più. Riforma prevista per il 2027, che la von der Leyen vuole anticipare al 2024. Una scelta significativa, che denota una politica migratoria ancora basata su un approccio emergenziale e di uso della forza.
La messa in atto della linea von der Leyen: il caso della Croazia
La neo presidente, nelle sue dichiarazioni, ha parlato anche del suo obiettivo di smantellare il traffico di migranti tramite un «approccio più sostenibile per i salvataggi». In ultimo, la von der Leyen ha ammesso di ambire a una migrazione legale, al fine di «portare qui le persone con qualifiche e capacità di cui abbiamo bisogno».
Ma cosa significa parlare in questi termini del fenomeno migratorio? Di fatto, la volontà è quella di ottenere più controlli, più ordine e meno immigrati. Una linea chiara, decisa, che ha già visto la sua prima applicazione pratica nel recente caso della Croazia. Qui, numerosi migranti hanno lamentato le terribili modalità di respingimento della polizia di frontiera, che ha spesso fatto valere le proprie ragioni con botte e percosse. Una situazione che il governo croato ha negato, ma che non è passata inosservata alla Commissione europea.
La von der Leyen ha infatti condannato le modalità dei respingimenti, anche se non si può ignorare come queste siano una diretta conseguenza di politiche basate su un approccio emergenziale. La visione, cioè, delle migrazioni come un pericolo da arginare e non come un problema umanitario da risolvere.
L’Europa e l’approccio emergenziale: è così che si risolve la crisi migratoria?
A sottolineare questo tipo di approccio, che la von der Leyen ha “ereditato” da Juncker, è anche Giuseppe Guernini, presidente di CECOP-CICOPA Europe, che in un’intervista a Vita.it ne ha parlato in questi termini:
«Trovo ancora troppo emergenziale l’approccio sulle migrazioni. È come se ci ponessimo il tema solo perché esiste la crisi dei rifugiati. Ma abbiamo crisi umanitarie enormi che non riguardano solo i rifugiati, come i migranti climatici. Senza una programmazione di politiche migratorie e il governo di un processo migratorio e non emergenziale andremo in affanno dal punto di vista del reperimento di mano d’opera. Settimana scorsa Fincantieri spiegava di scontare la mancanza di 6mila saldatori. Nella bergamasca c’è difficoltà a trovare muratori. O cominciamo a costruire dei processi migratori con percorsi di gestione dei flussi e formazione nei Paesi d’origine o avremo un’Europa vecchia».
Si può dunque risolvere una crisi migratoria di questa portata con una politica europea ormai obsoleta? Certamente no. Pertanto, la risalita parte da un rinnovamento delle norme che regolano il fenomeno delle migrazioni, a partire dal regolamento di Dublino (che, a onor del vero, la von der Leyen stessa ha ammesso di voler superare). Adattare la linea politica a quella che è una crisi dalle mille forme, discostandosi da regolamenti vecchi come alcuni ideali, è il primo passo verso una risoluzione del problema che non faccia solo da argine a una situazione temporanea, ma ponga le basi per una convivenza civile dentro e fuori i confini d’Europa.
Samuel Giuliani