I Golden State Warriors sono campioni NBA per la stagione 2016-17. Vittoria netta (4-1) di una serie più in bilico di quanto il risultato finale possa far pensare. Secondo titolo per Stephen Curry e compagni, primo invece per Kevin Durant (39 punti, 7 rimbalzi e 5 assist) che si aggiudica anche il titolo di MVP delle Finals. LeBron e i Cleveland Cavaliers, però, escono dalla porta principale, come i grandi toreri. Nessun dubbio che il prossimo anno saranno di nuovo pronto a combattere i nuovi padroni della NBA. Perché sì, adesso per le avversarie è davvero dura: c’è qualcuno che potrà fermarli?
CHE SQUADRA! “[…] because when it’s over, you either have a ring… or you don’t”. È questo il concetto cruciale che la NBA e Julius Erving hanno voluto ricordarci nello spot mandato in onda in occasione di queste Finals. È vero, dopo la firma dello scorso luglio di Kevin Durant con Golden State, era difficile pensare ad un esito diverso per questa stagione. Lo strapotere di entrambe le squadre nelle rispettive conference ha praticamente cancellato ogni tipologia di interesse per regular season e playoff. Tutto confermato secondo le attese: il titolo ritorna alla Bay Arena. Ma attenzione a sottovalutare l’impresa dei ragazzi di Steve Kerr, perché per quanto la logica e la somma dei singoli valori – che comunque non dà mai (fortunatamente) il risultato di una partita di basket – dicessero che non vi era competizione (come poi è stato), non è comunque semplice per vincere un anello con tante superstar assieme. Chiedere ai Los Angeles Lakers del 2004 o agli stessi Miami Heat del 2011, che nessuno avrebbe mai dato perdenti e che, invece, lo sono stati.
Giocare nella stessa squadra è un conto, giocarvi assieme per davvero è tutt’altro. Golden State è riuscita a mettere da parte ogni tipologia di ego pur di arrivare al titolo. E per quanto sembri facile a parole raggiungere questo nirvana cestistico, facile non lo è. Chiedere a Klay Thompson, che ha dovuto accettare l’idea di dover prendere molti meno tiri e molti meno sguardi – come lui stesso ha detto – nel corso di una partita, che è stato il miglior difensore nella serie appena terminata. O chiedere a Curry, star indiscussa della squadra, di dover concepire l’idea di affidare la sfera nelle mani di un’altra star – Durant, ovviamente – quando l’orologio dei ventiquattro si avvicina allo zero. Sono due dei milioni di esempi che si potrebbero fare per spiegare la benevolenza con cui un roster già vincente ha accettato un giocatore ingombrante come l’ex Oklahoma City.
Giocare non tanto per vincere ma per non perdere, che possono sembrare due concetti assimilabili ma sono distanti anni luce l’uno dall’altro nell’ottica Warriors formato 2017. Perché chiaramente vincendo il titolo hanno “soltanto” fatto il loro dovere, ma se avessero perso… Probabilmente staremmo qui a celebrare la più grande disfatta sportiva degli ultimi anni. È un gioco crudele ma che loro hanno saputo accettare quando hanno deciso di giocare insieme. E alla fine hanno avuto ragione.
ONORE AI VINTI. Cleveland ha provato in ogni modo a risultare competitiva. Ha mosso giocatori, ha chiamato alle armi (metaforiche) tanti giocatori di assoluto livello che, però, alla fine non hanno dimostrato di essere un fattore. Il riferimento è a Korver e Williams, che dovevano risultare l’arma in più di una panchina devastante che ha prodotto solo 92 punti, 77 in meno di quella di Golden State. In questa gara-5, i punti raccolti da giocatori che non si chiamino James, Irving, Thompson, Love e Smith sono soltanto 7. Il tutto sommato ad una difesa tutt’altro che imperforabile e che ha dovuto fare i conti con l’attacco più devastante di sempre. Nonostante questi evidenti handicap, i Cavs hanno dato tutto quel che avevano sul parquet. LeBron è stato ancora una volta inenarrabile: 33.6 punti, 12 rimbalzi e 10 assist di media. Ma non sono neanche questi i numeri che spaventano, quanto il minutaggio di circa 42 minuti a gara. Follia assoluta per un signore che a dicembre compirà 33 anni. E così come gli anni scorsi, si è caricato la squadra sulle spalle, facendo da playmaker, da ala, da centro e da qualunque altra cosa che potesse risultare utile. Anche in gara-5 non è stato da meno. Ha segnato 41 con il 63% dal campo giocando quasi sempre in post e mettendola sul fisico. È stato anche abbandonato da Irving, che ha giocato un gran primo tempo ma che nell’ultimo periodo ha dovuto arrendersi ai problemi fisici. Non lo ha abbandonato invece Jr. Smith, autore di una partita straordinaria (25 punti con 7/8 da tre) e ultimo samurai dell’esercito ad arrendersi.
GARA-5. “Chi aggredisce, vince” ha dichiarato ai suoi Steve Kerr prima della partita. Lui che un warrior lo è davvero e che ha voluto tornare in panchina a tutti i costi per queste Finals, nonostante i problemi seri alla schiena. Golden State sembra iniziare bene ma è Cleveland immediatamente a prendersi il palcoscenico. Un parziale di 9-0 apre la strada a LeBron e ai suoi che, con una sua tripla, toccano il +7. Mai avuto tale vantaggio nelle precedenti partite alla Oracle Arena. È la gara decisiva, non si fanno prigionieri: gli Warriors vanno subito di quintetto piccolo (Curry, Thompson, Iguodala, Durant, Green). Ma Cleveland resiste e riesce anche a sfruttare l’unica debolezza di quei cinque: i rimbalzi offensivi. Il Thompson delle prime tre gare della serie è lontano ormai un miglio. L’importanza della gara si vede anche dal fatto che entrambi gli allenatori decidono di far riposare i loro due migliori giocatori (Durant e James). E qui succede quel che nessuno si aspetterebbe. I Cavs che vincono la serie con LeBron in campo (+6) e la perdono con lui in panchina (-36), riescono non solo a tenere a bada Golden State e a non concedere tiri da fuori, ma firmano anche un mini allungo nel finale di periodo con Irving e Smith. Il primo periodo si chiude 33-37. Il momento buono di Cleveland prosegue anche nei primi possessi del secondo quarto… fino al time-out. Inizia la Warriors Madness, un parziale straordinario di 27-4 in poco più di sette minuti che ribalta la partita e regala quindici lunghezze di vantaggio ai padroni di casa. La tensione è palpabile e sfocia in un faccia a faccia tra West e Thompson. Il primo tempo si chiude con ancora Jr a trascinare i suoi grazie alle triple. 71-60.
Il terzo quarto è quello in cui James di solito cerca di riposare maggiormente e invoglia di più i compagni. Accade anche in questa gara-5: prima Love (che segna i primi due punti della gara), poi Smith e Kyrie, infine Jefferson. Cleveland lotta su ogni singolo possesso, attacca con pazienza e riesce a tenere a bada il quintetto della morte degli avversari. È l’uomo che non ti aspetti, McCaw, a segnare 4 punti fondamentali per Golden State nel momento di maggiore fatica offensiva. Negli ultimi dodici minuti, torna a mordere la gara alla giugulare Kevin Durant con due triple forzate e impossibili. Sono una mazzata durissima per gli ospiti e lo si capisce nei possessi successivi, quando subiscono lo stesso canestro in fotocopia per errori di comunicazione difensiva. Si torna ad una doppia cifra di vantaggio che, nei 5′ restanti, i Cavs non saranno più in grado di ridurre. Termina 129-120. I Golden State Warriors vincono il titolo.
Michele Di Mauro