Quando ti chiami Jair Messiah Bolsonaro, sei leader di un partito di ultradestra del Paese più grande del Sudamerica, ti dichiari convinto ammiratore di Trump, sei sostenuto (finora) dal 46% dei tuoi connazionali e hai la benedizione della Chiesa evangelica e persino di Matteo Salvini, non ti manca davvero nulla per essere il prossimo presidente del Brasile.
Bolsonaro è tutto questo: ex capitano dell’esercito, parlamentare dal 1991, prima tra le fila di un partito di supporto alla sinistra di Lula, poi in una formazione di estrema destra, fino a poco tempo fa semisconosciuta ma oggi chiacchierata dai media di tutto il mondo, a causa dell’incombente e incalcolabile rischio – si dice – cui la probabile vittoria di Bolsonaro espone il Brasile.
Sì, perché questo ennesimo prototipo della destra contemporanea, a metà strada tra il neofascismo e il qualunquismo ignorante e “menefreghista” («Non so nulla di economia!», ha dichiarato candidamente in campagna elettorale) tipico del populismo trumpiano-salviniano-orbaniano e chissà quanto ancora ripetibile in altre latitudini del globo, ormai vola al 58% nei sondaggi pre-ballottaggio (dopo un clamoroso 46% al primo turno), senza più avversari con cui competere.
La concorrenza, rappresentata specialmente dal Partito dei Lavoratori di Fernando Haddad, è rimasta schiacciata dalla crisi non solo della sinistra, travolta dagli scandali Lula e Rousseff, ma anche della destra tradizionale: la corruzione politica, in Brasile, è talmente tentacolare da non lasciare indenne alcuno schieramento, per cui ciascuno dei partiti con più storia alle spalle ha pagato dazio alle pratiche più o meno sporche dei propri esponenti.
Chi è Bolsonaro e qual è il Brasile che lo vota
Questa è la forza della proposta di Bolsonaro: come altri leader “fasciopopulisti” si è presentato come l’uomo nuovo, ha esaltato l’ordine che sarebbe capace di imporre una dittatura (che in Brasile è una cosa seria, essendo terminata solo nel 1985), ha offeso i neri e le altre minoranze (in un Paese che fa del meticciato la propria bandiera), umiliato le donne (che hanno creato un movimento di protesta simile a quelli anti Trump, una delle cui attiviste è stata marchiata con una svastica sull’addome solo pochi giorni fa), enfatizzato la fede (Bolsonaro si è dichiarato “portavoce di Dio” ed è appoggiato dalla potente e miliardaria Chiesa evangelica, una vera lobby in Brasile), incoraggiato l’uso delle armi in un Paese già tra i più violenti del mondo (guadagnandosi l’appoggio delle associazioni pro armamenti, proprio sul modello statunitense). Infine, ha santificato il potere del libero mercato, ritrovandosi così l’appoggio anche dei grandi proprietari terrieri, da sempre ceto ovviamente privilegiato e ultraconservatore.
Anzi, secondo alcuni sono specialmente i ceti privilegiati a supportare l’avanzata di Bolsonaro, strati sociali medio alto borghesi stanchi della violenza e delusi dalle politiche del lavoro e sociali della sinistra, del tutto fallimentari, che hanno fatto precipitare il Paese in un vortice di decrescita in cui sono finiti sotto accusa anche i faraonici Mondiali di calcio, per i quali si è spesa una fortuna tolta ai servizi essenziali che mancano in Brasile.
In questi mesi di cruda campagna elettorale, Bolsonaro ha vestito anche i panni del martire per la causa: fu accoltellato all’addome in settembre, durante un comizio, da un sedicente sostenitore di Lula, cosa che gli ha consentito di acquisire ancora più consenso e di sottrarsi, durante la convalescenza, ai dibattiti televisivi tra i candidati. Una manna per la sua incerta eppure incisivamente semplicistica retorica.
Soprattutto all’estero ci si chiede cosa potrà succedere con l’elezione di un simile personaggio. Il problema scuote la comunità internazionale (per la verità principalmente gli analisti politici, visto che gli investitori hanno fatto volare la Borsa di Rio anche a un +6%), non tanto la maggioranza del Brasile, che sembra avere già scelto il suo prossimo Presidente.
Una Nazione stanca della crisi economica, delle diseguaglianze sociali, della criminalità organizzata che fa affari con la politica corrotta, si affida al “Messiah” (peraltro secondo nome di Bolsonaro), nella migliore tradizione storica dell’emersione delle ultradestre durante periodi bui.
Quale potrebbe essere il Brasile di Bolsonaro?
Sicuramente, da un candidato Presidente (in una Repubblica presidenziale) che dichiara di non capire nulla di economia non si può sapere con precisione cosa aspettarsi. Anzi, paradossalmente il programma di governo è l’aspetto meno chiacchierato nella vicenda di Jair Bolsonaro.
Della probabile, futura compagine dell’esecutivo si conosce solo il nome di un economista, Paolo Guedes, dottore di ricerca a Chicago e fautore del capitalismo selvaggio che sicuramente farà comodo ai privilegiati e alle grandi multinazionali, col miraggio del mercato auto-regolamentato che dovrebbe creare ricchezza e occupazione.
Si sa inoltre che Bolsonaro vuole dare una pistola a ciascun brasiliano, perché è evidente che 60.000 omicidi l’anno, in un Paese dove non c’è certezza di rimanere incolumi quando ci si ferma con la macchina ad un semaforo per il pericolo delle rapine violente, sembrano ancora pochi.
Per non parlare della possibilità di conferire la licenza di uccidere alla polizia e di rivalutare la funzione pubblica dei militari, che in Brasile è da sempre una questione decisamente delicata.
Seguiranno poi forse provvedimenti a tema femminile (con la Chiesa evangelica alle spalle, chissà che non si possa immaginare provvedimenti anti aborto come già in Argentina), qualche stangata contro gli omosessuali, un po’ di restrizioni alle frontiere contro quelli che Bolsonaro ha definito “ingressi facili” nel Paese, con tanti saluti ai rifugiati venezuelani che premono a nord ovest (com’è vero che ogni populismo ha i suoi ultimi da respingere, Salvini docet).
Oppure no. Perché Bolsonaro sa che, avvicinandosi alla poltrona, non può più giocare troppo a fare l’estremista.
Già sta rivedendo alcune delle sue posizioni, come ad esempio nel caso dell’apologia della dittatura militare, ricusata senza troppi rimpianti (sembra che abbia dichiarato «amo l’autorità, non l’autoritarismo!») nella speranza di attrarre anche l’elettorato moderato e blindare ancor di più la vittoria al ballottaggio del 28 ottobre. Perché essere il “portavoce di Dio” aiuta a diventare Presidente, certo, ma fare un po’ di sana, vecchia politica ancor di più.
Ludovico Maremonti
Ludovico, informati meglio. Prima che Bolsonaro nn è di ultra destra. Il PT è di ultra sinistra. Quando Bolsonaro sara presidente ci sara filnalmente ordine in brasile e ci allontanaremo del comunismo. Tu nn immagina minimamente i problemi che vivono i brasiliani ogni giorno. Haddad è stato il peggior sindaco che sao paulo ha mai avuto, inoltre è il bambolo di lula. Il discorso è lungo… vai informarti meglio invece di scrivere solo informazione che forse tu hai preso di qualche giornale di sinistra in brasile