«Restiamo umani», un podcast per riscoprire Vittorio Arrigoni
(fonte: valigiablu.it)

Nel 1948 Israele diede inizio all’occupazione della Palestina, forzando oltre 75mila persone a lasciare le proprie case e i luoghi in cui vivevano da generazioni. Questo momento di grandi atrocità, conosciuto come nakba o catastrofe, ha segnato, al contempo, l’inizio di una strenua lotta da parte del popolo palestinese per la liberazione del proprio territorio e per l’autodeterminazione.

Le persone in fuga dalla catastrofe del 1948 portavano con sé le chiavi delle proprie abitazioni, che da quel momento sono divenute il simbolo della loro determinazione a tornare indietro, con la speranza di potersi riprendere ciò che era stato loro tolto attraverso indicibili violenze. Per lungo tempo i palestinesi hanno riempito le strade di Gaza con le loro chiavi per ricordare la nakba e per chiedere alla Comunità Internazionale di rispettare il loro diritto alla vita contro la continua espansione dell’entità sionista.

A oggi, la striscia di Gaza, un lembo di terra che si estende per appena 365 km², risulta essere la più grande prigione a cielo aperto del mondo per ben due milioni di abitanti, in cui avviene da oltre 76 anni un silente genocidio con la complicità degli Stati occidentali e della Comunità Internazionale. Ormai gran parte dei territori palestinesi sono stati rasi al suolo e i suoi abitanti sono vittime inascoltate di un genocidio senza precedenti, ma la speranza di ritornare a una vita degna di essere vissuta permane.

Dal 7 ottobre dello scorso anno si è acutizzata nuovamente l’azione bellica nei confronti della popolazione civile nella striscia di Gaza, con un bilancio di 36mila vittime, più di 82mila feriti e una devastazione su larga scala dell’intero territorio palestinese.

Angelica La Rocca e Gianmario Sabini, insieme all’emittente radiofonica Radio Lasagne Verdi, hanno realizzato un podcast dal titolo Restiamo Umani, riprendendo il titolo dell’omonimo libro di Vittorio Arrigoni, al fine di riportare l’attenzione sugli orrori vissuti dal popolo palestinese, attraverso le parole di un reporter che per anni, mettendo a rischio la propria vita, ha documentato con strenuo coraggio quanto stava accadendo in Palestina, affinché il mondo non potesse più ignorare le sorti di un’intera popolazione, invitandoci a restare umani e a non soccombere all’indifferenza.

Qui di seguito l’intervista rilasciata da Angelica La Rocca e Gianmario Sabini:

La copertina del podcast "Restiamo Umani", dedicato all'opera di Vittorio Arrigoni, e prodotto da Radio Lasagne Verdi
Podcast “Restiamo Umani” prodotto da Radio Lasagne Verdi

Chi è Vittorio Arrigoni e perché avete sentito la necessità di riprendere i suoi reportage giornalistici?

G. «Vittorio Arrigoni è stato un importante attivista e reporter italiano che ha girato il mondo: è stato in Africa, in America Latina e ovviamente a Gaza, dove grazie al suo lavoro di attivismo con la ISM (Movimento Internazionale di Solidarietà) ha ricevuto la cittadinanza onoraria palestinese. Grazie al suo blog Guerrilla Radio è stato possibile conoscere, per chi non poteva essere fisicamente in quei posti dove avvenivano soprusi e massacri quotidiani, la situazione di determinate comunità vessate e oppresse. Il lavoro giornalistico che ha svolto a Gaza è stato estremamente importante e credo che sia stata una delle pochissime testimonianze in loco. Fortunatamente tutti i suoi reportage sono stati raccolti in un libro pubblicato da il Manifesto libri, Gaza. Restiamo umani e i suoi reportage sono stati per noi fonte d’ispirazione al fine di produrre e divulgare questo podcast, allo scopo di sensibilizzare quante più persone possibile sulla questione palestinese. Per noi è indubbiamente una figura di riferimento, lo dice del resto anche il titolo del podcast: Restiamo Umani, come lui concludeva ogni suo reportage. Non possiamo esimerci dall’essere grati a uno come Vittorio Arrigoni che ha dato la voce ai senza voce, ha dato dignità a un popolo spesso dimenticato, a un genocidio spesso silenziato e con la sua penna ci ha dato la possibilità di scrutare il disegno genocidiario di un colonialismo d’insediamento, ovvero quello sionista che si perpetra da più di 76 anni. In conclusione, lo scopo del podcast è proprio quello di mettere in evidenza il fatto che quanto sta accadendo tutt’ora in Palestina non sta avvenendo dal 7 ottobre del 2023, ma da più di 76 anni, e infatti molti attivisti e molte attiviste dicono che la Nakba non è mai terminata».

A. «Il libro di Vittorio Arrigoni ci dà la possibilità di empatizzare e di vivere effettivamente ciò che racconta come se ti portasse sul posto, quindi è molto interessante per questo motivo. Ti senti proprio lì, il che non è scontato. Ci sembra una storia così lontana, una storia che non ci appartiene, ma in realtà questo libro, questi estratti, ci danno la possibilità di viverla e di empatizzare perché è una narrazione cruda. È un po’ come ascoltare i suoi pensieri e vivere ciò che racconta».

In cosa consiste il podcast «Restiamo Umani», com’è strutturato e dove è possibile ascoltarlo?

A. «Sono 8 episodi e abbiamo preso per ogni episodio del podcast un estratto del libro Restiamo Umani. Abbiamo scelto gli estratti che più ci piacevano, che più ci emozionavano, che più ci trasmettevano qualcosa, anche se è stato difficile perché sono tutti molto belli, cioè tutti molto impattanti. Potete trovare il podcast su Spotify, sul canale di Radio Lasagne Verdi e alle presentazioni che faremo il 17 agosto a Sanza e verso fine agosto al Battistero di San Giovanti in Fonte».

Qual è il resoconto di Arrigoni che vi ha colpiti maggiormente?

G. «L’estratto di Arrigoni che più mi ha colpito è quello del 7 gennaio del 2009, sempre durante l’operazione terroristico militare di Israele, denominato Fionde contro bombe al fosforo bianco, già a rendere l’idea dell’asimmetria tra una popolazione che letteralmente a malapena riesce a difendersi con delle fionde e un’altra realtà iper-militarizzata. Questo estratto inizia con un chirurgo dell’ospedale Al-Shifa di Gaza, tale Jamal, che dialoga con Vittorio Arrigoni facendo una similitudine terribilmente triste e intrisa anche di rabbia. Parla di una scatola chiusa con dei cuccioli di gattini che viene schiacciata con tutto il peso da un individuo e paragona questo atto efferato alla situazione che vivono ogni giorno i palestinesi e nota come un atto del genere provochi indubbiamente una reazione sdegnata, mentre ciò spesso non avviene con quanto accade ai palestinesi. Paragona per l’appunto i palestinesi a quei gattini, però ovviamente lui crede che gli animali siano più tutelati dei palestinesi e ritiene che sarebbe stato meglio nascere animali e non palestinesi. Credo che questo sia cruciale perché mette in evidenza il grado di disumanizzazione che Israele ha praticato a danno della popolazione palestinese. E credo sia importante allo stesso modo perché l’olocausto che viene perpetrato lì di matrice sionista parte proprio da un processo di disumanizzazione simbolico-culturale dei palestinesi, perché ogni olocausto parte da una disumanizzazione dell’altro, dal ritenere l’altro un essere umano infimo e retrivo da spossessare, da annichilire. Questo è un elemento cruciale che mette in evidenza la pulizia etnica che Israele sta praticando a Gaza, che è un lembo di terra di 365 km², dove spesso la popolazione è senza acqua, senza cibo, senza la possibilità di spostarsi se non attraverso le deportazioni pianificate da Israele stesso. Da qui si evince l’intento chiaramente genocidiario dell’entità sionista con la complicità degli Stati occidentali e spesso dell’intera Comunità Internazionale, passiva rispetto a tutto ciò». 

A. «Un altro estratto che mi è rimasto molto impresso è l’ultimo, quello del 22 gennaio del 2009, in cui si capisce come, anche se l’operazione militare è finita, i palestinesi e le palestinesi siano ancora innanzitutto confinati, bloccati. Inoltre, si capisce come i riscontri e le conseguenze delle bombe dell’operazione militare siano ancora presenti e continueranno a essere presenti per molto tempo, perché sono state usate armi pericolose, armi non convenzionali, cioè il fosforo bianco, che causa tumori. Probabilmente solo ora si vedono le conseguenze dell’operazione militare Piombo Fuso».

A oggi, qual è la situazione a Gaza? Inoltre, credete sia possibile avere accesso a informazioni esaustive e veritiere a riguardo in Italia?

G. «La situazione a Gaza definirla drammatica è eufemistico. Tra l’altro è uscito un dato agghiacciante sulla rivista inglese The Lancet, in cui si afferma che le vittime reali a Gaza sarebbero all’incirca 186mila, quindi quasi l’8% della popolazione della Striscia di Gaza».

A. «Effettivamente i morti non si possono contare perché gli ospedali non sono più veri e propri ospedali, sono tutti distrutti, quindi si cerca di salvare chi si può, ma non vengono contati effettivamente, i morti sono incalcolabili». 

G. «I dati ufficiali parlano di 40mila morti e 81mila feriti, ma non sono molto attendibili. Da qui poi sorge anche il dubbio dell’attendibilità dell’informazione a riguardo. Sia perché molte testate giornalistiche non possono preservare la propria indipendenza giacché devono pattuire i propri servizi giornalistici con l’IDF, l’esercito israeliano, sia perché per molti non è proprio possibile accedere a Gaza. Anche molte realtà governative e non governative, come l’ONU e l’UNRWA, sono completamente ostracizzate, se non anche colpite dall’esercito israeliano, quindi è difficile fare una conta delle vittime. Fatto sta che Israele sta praticando ancora una volta una distruzione totale su larga scala del territorio palestinese. Come giustamente ha denunciato la Relatrice Speciale dell’ONU Francesca Albanese, c’è un serio problema di complicità dell’informazione occidentale, perché è evidente che vi siano interessi di vario tipo: economici, politici e culturali affinché Israele continui a praticare le sue politiche di pulizia etnica in Palestina, ed è assurdo che ci sia tutt’ora un dibattito sul fatto che possa essere o meno un genocidio, anche perché, rimanendo nella sfera del diritto, Israele ha già violato tre dei cinque atti della Convenzione sul genocidio del 1948 dell’ONU. Quindi la domanda che possiamo farci in termini di movimenti politico-sociali è come far sì che si fermi questo genocidio in atto. Le azioni di boicottaggio stanno funzionando, hanno già chiuso 46mila aziende a Israele che sta rischiando il collasso economico, infatti le testate giornalistiche apertamente sioniste hanno il timore che Israele non arrivi al centenario dal 1948. Il punto è fare in modo che la Palestina diventi parte attiva di questo processo di liberazione. Noi con il podcast cerchiamo di sensibilizzare affinché si capisca che la resistenza non è né un atto morale né un atto immorale, ma una necessità storicamente determinata, come sancisce la Risoluzione 37/43 dell’ONU del 1982 secondo cui una popolazione, affinché si preservi il principio di autodeterminazione, può difendersi anche con la lotta armata». 

A. «A proposito del fatto se si possano effettivamente reperire informazioni veritiere, io penso che l’unico modo in cui farlo, è fare riferimento a quelle poche persone che effettivamente dalla Palestina riescono a far uscire video, articoli, qualsiasi cosa delle persone sul posto che riescono ancora ad avere contatti con i media. Questo è un ottimo modo per informarsi ed è l’unico modo per avere un’informazione veritiera. Sono le vittime stesse a doversi documentare, ci sono video anche su TikTok».

Quali credete siano i motivi per cui dovremmo avere tutti gli occhi su Gaza e quali sono i risvolti a livello internazionale scaturiti dalla questione palestinese, anche con riferimento ad altre realtà e movimenti politici?

G. «A livello politico l’aspetto più importante è capire che quello che sta accadendo in Palestina mette in evidenza l’importanza di lottare contro un pensiero coloniale, quindi di pensare a pratiche di de-colonialità, ovvero iniziare a liberarsi di categorie considerate ormai naturali mediante cui ci approcciamo alla riproduzione quotidiana della vita. Creare nuovi immaginari, nuove forme di lotta che effettivamente possano creare un percorso di emancipazione. Non c’è un know how prestabilito, universale, il cammino dell’emancipazione lo si fa solo cambiando, e a livello politico è interessante vedere che ci sia molto fermento, basti pensare alle acampada, alle proteste negli Stati Uniti, soprattutto ora che è andato Netanyahu a parlare al Campidoglio. Questo è molto importante perché ha unificato molti movimenti. Finché non diviene uno specchio per le allodole, credo che sia estremamente importante, perché dalla liberazione della Palestina, secondo me, passa la liberazione di tutte le soggettività discriminate».

A. «Alla fine è quello per cui lottiamo in generale. Questa causa racchiude tutto quello per cui lottiamo, non è separata dalle nostre lotte. Infine, dobbiamo continuare a essere presenti, in tutti i modi possibili. Ci sono tante raccolte fondi di persone che sono proprio in Palestina. È importante cercare di dare una mano in tutti i modi possibili. Anche un euro su GoFundMe può cambiare la vita di tante persone, oppure boicottare le aziende, preferire un drink a un altro per una sera, fa tanto. Non pensare che sono solo io e che quindi non cambi nulla, abbiamo le prove per dire che non è così».

Il podcast Restiamo Umani si conclude con queste parole: «Quanto sta accadendo in Palestina, in Congo, in Sudan, in Nigeria, in Somalia, in Kurdistan, in Yemen, nello Xinjiang e in ogni comunità oppressa e martoriata fa emergere veementemente una riflessione epocale in questi tempi di alienante individualismo, di incalzanti conflitti imperialistici, di repressioni e di autoritarismi: una soggettività si realizza e diviene ciò che è in base a quanto è disposta a sacrificare per ottenere la liberazione di sé e di ogni altra soggettività umana e non-umana. Ne vale la vita delle persone che ci circondano, delle persone che amiamo, dell’esistenza d’ogni individuo, dell’esistenza del pianeta che ci ospita e di chi lo abita. Ne vale del presente e del futuro, ancora non tracciato, d’ognun3 di noi.

In conclusione, riprendendo i versi di Brecht: E vi preghiamo, quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto: “È naturale” in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile». 

Celeste Ferrigno

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