Il progresso scientifico trova una delle sue spinte nella volontà dell’uomo di conquistare una posizione privilegiata che gli permetta di piegare la natura ai suoi bisogni. Questa necessità si traduce nello spirito di sopravvivenza che ci ha consentito, con risultati sempre migliori, nel corso della storia, di allungare le nostre aspettative di vita. Ma quanto possiamo considerarci fortunati a vivere nel XXI secolo? Diventiamo davvero sempre meno vulnerabili?
La modernità offre alla medicina sempre nuove sfide da affrontare, cosicché, se prima della scoperta della penicillina, agli inizi del Novecento, le malattie infettive di origine batterica erano le principali cause di morte, oggi, a distanza di un secolo, assistiamo ad un sempre più evidente incremento delle diagnosi annue di tumori.
Nei secoli scorsi non c’era ricerca che permettesse di constatare l’efficacia di una sostanza prima della sua sperimentazione diretta sull’uomo.
Ad esempio, nel XVI secolo, lo sclerozio del fungo Claviceps purpurea, parassita dell’ovario della segale e di altre Graminacee, veniva usato, a causa delle sue proprietà di stimolazione della muscolatura liscia, per indurre il parto.
Fu solo in seguito all’esperienza di un numeroso numero di nati morti che l’uso della droga venne limitato, a partire dal XVIII secolo, al controllo dell’emorragia post-partum.
Oggi la ricerca scientifica si articola in varie fasi (studi in “vivo” e in “vitro”, prima della sperimentazione clinica sull’uomo) che escludono la casualità e il dubbio circa l’azione di un farmaco.
Se da un lato il progresso ci ha permesso di acquisire misure di profilassi, attraverso le quali siamo in grado di prevenire l’insorgenza di malattie che possono essere fatali, dall’altro la nostra epoca vede il 25% di italiani vittima della sindrome metabolica. Con l’espressione “malattie del benessere” si fa riferimento a tutte quelle patologie che derivano da un mutato stile di vita, che, nella sfera della nutrizione, hanno determinato uno scadimento dell’alimentazione, a causa del maggior consumo di cibi sottoposti a processi di raffinazione, conservazione e cottura, che ne alterano la composizione in vitamine, in sali minerali e in fibre.
È inoltre considerevolmente aumentato l’importo calorico medio, a causa di un aumento della disponibilità di cibo nelle società occidentali, con una conseguente diffusione di obesità e dei disturbi ad essa associati, come il diabete.
La malnutrizione, la sedentarietà, l’eccessivo consumo di tabacco e alcool, nonché l’esposizione a fattori di rischio ambientali, quali l’inquinamento atmosferico e il contatto con sostanze chimiche cancerogene (ad esempio le diossine contenute negli alimenti o derivanti dalla combustione della plastica), contribuiscono in modo determinante all’insorgenza di tumori.
È quindi evidente che lo stile di vita che abbiamo assunto a modello, se da un lato è il risultato del progresso economico e scientifico che ha trovato il suo culmine nella società del XXI secolo, dall’altro si pone alla base della sofferenza umana. La modernità si trova quindi a dover fronteggiare i disturbi che essa stessa produce, a risanare le ferite inflitte da un progresso che è la sua massima espressione e il suo maggior vanto. E questo significa che se nei secoli scorsi l’umanità doveva proteggersi dalla natura, oggi deve proteggersi da se stessa.
“Il problema non è di accelerare il progresso, ma di rallentare il regresso a cui ci costringe il progresso”
(Alfonso Berardinelli)
Elisabetta Rosa