Il 30 maggio 2024 Amnesty International Italia ha pubblicato la settima edizione del Barometro dell’odio, incentrato quest’anno sul tema del diritto di protesta.
Il report di Amnesty International
Il barometro dell’odio 2023-2024 rivela un aumento importante e significativo dei contenuti offensivi, denigratori e di hate speech: l’incidenza di questi contenuti è rimasta costante fino al 2019, circa il 10% dei contenuti, mentre la somma è aumentata del 15,3% nell’ultimo anno. Sono triplicati i discorsi che incitano all’odio, alla discriminazione e alla violenza. A generare la maggiore incidenza di odio in rete è il tema dell’immigrazione; ma l’analisi dei dati in rete ha portato alla luce anche un trend preoccupante verso la criminalizzazione del dissenso e la delegittimazione delle proteste, fenomeni che vanno a minare profondamente il concetto stesso di democrazia e del diritto di espressione.
Un dato allarmante se si considera che l’analisi dei principali social (Facebook, X) ha mostrato come l’odio online, quando massiccio, può causare conseguenze, spesso molto pesanti, sulla salute mentale e fisica di chi lo subisce. Le aggressioni digitali si accompagnano spesso ad altri comportamenti quali diffamazione e violazione della privacy: tutto ciò ha come obbiettivo quello di screditare le voci dissenzienti.
Dall’8 febbraio al 2 marzo 600 attivisti hanno monitorato i profili social di tutti i candidati ai collegi uninominali di Camera e Senato delle coalizioni di Centrosinistra, Centrodestra, del Movimento 5 Stelle e di Liberi e uguali, dei candidati presidenti delle regioni Lazio e Lombardia e dei leader. Queste le conclusioni principali:
- il discorso di odio è stato veicolato in modo costante durante le tre settimane di monitoraggio della campagna elettorale. In 23 giorni sono state raccolte 787 segnalazioni: più di un messaggio offensivo, razzista e discriminatorio all’ora moltiplicato dalla Rete;
- le segnalazioni sono state attribuite a 129 candidati unici, di cui 77 sono stati eletti;
- il 43,5% delle dichiarazioni segnalate sono pervenute dai leader, il 50% da candidati parlamentari e il 6,5% da candidati alla presidenza delle regioni Lazio e Lombardia;
- complessivamente, inserendo nel calcolo anche i leader, il 51% delle dichiarazioni è da attribuire a candidati della Lega, il 27% a Fratelli d’Italia, il 13% a Forza Italia, il 4% a Casa Pound, il 3% a L’Italia agli Italiani, e il 2% al Movimento 5 Stelle;
- il canale che ha generato più segnalazioni è stato Facebook, da cui è pervenuto il 73% dei messaggi monitorati. Nel 49,3% dei casi si è trattato di post testuali, nel 38,4% di video e nel 12,3% di fotomontaggi;
- il fenomeno migratorio è stato il tema centrale delle segnalazioni: il 91% delle dichiarazioni hanno avuto per bersaglio migranti e immigrati;
- l’11% delle dichiarazioni ha riguardato discriminazioni di tipo religioso, veicolando sentimenti islamofobici;
- il 6% delle dichiarazioni ha avuto per oggetto la comunità Lgtbi, il 4,8% i rom, e l’1,8% le discriminazioni di genere;
- il 7% delle dichiarazioni ha incitato direttamente alla violenza;
- il 32% delle segnalazioni ha veicolato fake news e dati alterati;
- per quanto riguarda l’immigrazione, il 10% delle segnalazioni ha riguardato la questione della sicurezza e il 7% il tema dell’accoglienza con toni di emergenza, identificando nell’immigrazione una “bomba sociale”, in grado di portare allo “scontro sociale” e alla “guerra in casa”;
- i fatti violenti di Macerata hanno avuto un ruolo centrale nella campagna elettorale: la nazionalità nigeriana è stata specificamente bersaglio del discorso razzista e di odio;
- le parole più usate per identificare e raffigurare migranti e immigrati sono state: “clandestini”, “irregolari”, “profughi”, “stranieri”, insieme al ricorso alla disumanizzazione con l’utilizzo di appellativi quali “risorse”, “bestie”, “vermi”.
Nell’ambito delle ricerche per il barometro dell’odio, inoltre, è stato condotto un sondaggio – in collaborazione con Ipsos – per rilevare qual è la posizione dell’opinione pubblica rispetto all’attivismo e alle forme di protesta. Ciò che è emerso è che il 48% delle persone che hanno risposto al sondaggio considerano le manifestazioni e le proteste come una moda e/o un semplice passatempo; il 17% crede che il diritto di protesta non debba essere “concesso” a chiunque. Le persone migranti, le persone appartenenti alla comunità LGBTQA+, donne e ragazze, e chi non ha la cittadinanza italiana vanno incontro a rischi maggiori e accresciuti quando scelgono di manifestare, con conseguente autoesclusione di queste persone, ma anche erosione di quelli che sono gli spazi civici di inclusione. Tutto ciò va a confermare una preoccupazione delle attiviste e degli attivisti, che vedono delegittimato il loro operato non soltanto dalle istituzioni, ma anche dall’opinione pubblica.
Amnesty International chiede alle istituzioni e alle principali piattaforme social di intervenire attivamente per fermare questa deriva denigratoria e diffamatoria, per garantire e proteggere il diritto alla protesta e al dissenso, uno degli elementi fondanti – e fondamentali!- di ogni democrazia e di ogni società che rispetta i diritti umani.
Valentina Cimino