Spiati, arrestati e torturati solo perché “colpevoli” o sospettati di essere gay. È questa la sorte di 100 omosessuali, finiti nel mirino di un’azione di “rastrellamento preventivo” da parte delle autorità della Repubblica russa di Cecenia. La denuncia arriva dall’inchiesta del quotidiano indipendente russo Novaya Gazeta, che ha raccolto numerose prove e testimonianze della retata, alcune delle quali ricevute anche dall’organizzazione semi-clandestina Russian LGBT Network.

Obbligati a sedersi sopra bottiglie di vetro rotte, percossi ripetutamente con dei bastoni, sottoposti a scosse elettriche sui genitali, legati e appesi per polsi e caviglie, quasi asfissiati con sacchetti di plastica. Un supplizio senza fine, durato diverse ore, per punirli del «loro orientamento sessuale non tradizionale o del sospetto di questo». Il risultato di queste sevizie è di tre, forse quattro morti, mentre i superstiti sarebbero tuttora in grave pericolo di vita perché potrebbero essere stati restituiti alle loro famiglie con l’aspettativa che queste compiano un delitto d’onore per eliminare dal loro nome il “marchio” della vergogna.

«Cercano di capire con chi sei in contatto, chi sono i tuoi amici e il loro orientamento sessuale. I telefoni li tengono sempre accesi, chiunque chiami o messaggi può essere un nuovo target», ha raccontato uno dei detenuti. L’indagine delle autorità, infatti, sarebbe proprio iniziata in seguito all’arresto di un uomo per detenzione di stupefacenti. È da allora che la polizia è entrata in possesso di una lista di contatti tramite la quale ha iniziato a spiare e incastrare altre persone.

Preoccupante la difesa del leader ceceno Ramzan Kadyrov che, tramite il suo portavoce Alvi Karimov, ha accusato il giornale di diffondere «menzogne assolute e disinformazione», perché la notizia riguarderebbe individui, gli omosessuali, che in Cecenia non ci sono. Rivolgendosi all’agenzia di stampa Interfax ha detto che «Non si possono arrestare e perseguitare persone che semplicemente non esistono nella Repubblica […] Se ci fossero queste persone in Cecenia, gli organi delle forze dell’ordine non avrebbero bisogno di avere a che fare con loro perché i loro parenti li avrebbero già mandati da qualche parte da cui non c’è ritorno».

Per il portavoce del ministro degli interni ceceno, la denuncia di Novaya Gazeta è «un pesce d’aprile», ma le inquietanti parole di Kadyrov sembrano confermare l’allarmante omofobia che affligge l’intera area, dove non solo i gay non esistono — perché hanno paura a palesare il loro orientamento sessuale — ma soprattutto non possono e non devono esistere, pena la loro stessa incolumità.

Ekaterina Sokirianskaia, direttore in Russia del progetto International Crisis Group, ha dichiarato al The Guardian che già da almeno 10 giorni stava ricevendo notizie preoccupanti sulla questione da «persone di età e professioni molto diverse». Nonostante queste informazioni, lo spazio di intervento degli attivisti per i diritti umani è estremamente ridotto: non solo a causa del forte tabù sull’omosessualità che rende difficilmente verificabili le fonti e «quasi impossibile ottenere informazioni dalle vittime o dalle loro famiglie», ma anche per via della legge anti propaganda gay emanata dal Cremlino nel 2013, che vieta di esprimere opinioni pubbliche sulla situazione degli omosessuali.

Anche se la Cecenia formalmente fa parte della Russia e Kadyrov si dichiari un fedele alleato di Putin, di fatto è lui a dettare legge e la sua parola spesso travalica anche gli ordini di Mosca.

In carica dal 2007, il capo della repubblica cecena — come si è autodefinito — è stato diverse volte accusato di essere mandante di diversi omicidi e di aver creato un regime di potere personale con un esercito di migliaia di soldati. Nel 2010 ha introdotto nella regione la legge islamica: obbligo del velo islamico per le donne nella maggior parte delle situazioni pubbliche, limitazioni al consumo di alcolici, pratica della poligamia, chiusura dei locali durante il Ramadan e introduzione del delitto d’onore. Da diversi anni, in Cecenia, è la sharia a comandare più del governo russo, che sembra accettare di rimanere in disparte e di sacrificare poteri e laicità in cambio della stabilità della regione.

In questo contesto esplosivo di religione e dispotismo, i primi a rimetterci sono i diritti umani, che Kadyrov è accusato di violare sistematicamente. A settembre 2016, il leader è stato rieletto capo della Cecenia con il 98% dei voti, un consenso praticamente totale che desta non poche preoccupazioni. Cosa pensi riguardo gli oppositori, Kadyrov lo ha detto chiaramente e più volte anche attraverso i social: “Cani”, “accattoni”, “traditori” e, sopratutto, “nemici del popolo”. A febbraio 2016, poi, ha pubblicato una foto del leader dell’opposizione Mikhail Kasyanov, dentro il mirino di un fucile di precisione, accompagnato dalla frase “chi non ha capito, capirà”.

Intanto, nonostante la Sokirianskaia abbia sottolineato che «il numero di segnalazioni» ricevute «da persone diverse rende difficile non credere che le detenzioni e la violenza si siano effettivamente verificate», anche gli altri esponenti politici ceceni sembrano ignorare il caso delle detenzioni per omosessualità.

Kheda Saratova, un’attivista cecena membro del Consiglio per i diritti umani di Kadyrov, in un’intervista radio ha dichiarato di non aver «avuto una sola richiesta su questo tema», ma se l’avesse avuta non l’avrebbe presa «nemmeno in considerazione», in quanto «nella nostra società cecena, qualsiasi persona che rispetti le nostre tradizioni e la cultura darebbe la caccia a questo tipo di persona, senza alcun aiuto da parte dell’autorità, e farebbe di tutto per fare in modo che questo tipo di persona che non esiste nella nostra società». Una dichiarazione che, in tutta la sua violenza, conferma drammaticamente la condizione in cui versano gli omosessuali ceceni, condannati alla clandestinità e nei casi più gravi alla morte, a causa di un’omofobia radicale che riguarda anche la politica e l’intero “sistema Kadyrov”.

Per queste ragioni, appellandosi al dovere internazionale di vietare e perseguire qualsiasi discriminazione, Amnesty International ha deciso di avviare una petizione per chiedere lo svolgimento di «indagini tempestive, efficaci e approfondite sui rapporti riguardanti i rapimenti e gli omicidi» riportati da Novaya Gazeta, e prendere tutte le misure necessarie per assicurare ad ogni individuo ceceno protezione e sicurezza, a prescindere dal proprio orientamento sessuale.

Rosa Uliassi

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