Cinghiali e peste suina africana
Fonte immagine: pxhere.com

L’uccisione del cinghiale rimasto ferito a Massarosa è una brutta storia, anzi pessima, ma certo non è la prima né sarà l’ultima del genere. Le associazioni animaliste si stanno aggregando attorno a questi accaduti. In sequenza abbiamo assistito alla mobilitazione per i maiali de La Sfattoria degli Ultimi a Roma, per i quali era stata decretata la soppressione per la prevenzione della PSA (Peste suina africana), pur essendo animali usciti dal circuito della filiera alimentare ed in carico al rifugio suddetto; alla mobilitazione per i cinghiali chiusi in un parco pubblico di La Spezia, dove si erano avventurati, destinati a essere uccisi a causa della normativa vigente in merito alla PSA nelle zone rosse; ultima, in ordine di tempo, la femmina adulta di cinghiale trovata ferita (quindi considerata vagante) che, per la stessa normativa sopra ricordata, è stata abbattuta. La risposta numerosa del mondo animalista lascerebbe pensare a una nascita, o a una rinascita, del movimento antispecista.

Ma prima di parlare di antispecismo è necessario analizzare alcune questioni al riguardo, partendo proprio dai diversi eventi a cui stiamo assistendo in modo moltiplicato, almeno per l’attenzione mediatica che ricevono. La morte di un cucciolo di cinghiale ferito, la famiglia di La Spezia, i maiali de La Sfattoria degli Ultimi a Roma, per molti animalisti e animaliste sono espressione di una guerra scatenata contro i cinghiali con la giustificazione della peste suina.

Ma cosa ci dicono questi eventi, quale narrazione sociale mettono in campo e soprattutto perché si sarebbe messa in atto una guerra contro i cinghiali? Le azioni di protesta degli attivisti e delle attiviste si inseriscono nella questione animale e nella lotta per la liberazione degli animali non umani, ma possiamo affermare che queste mobilitazioni siano ascrivibili alla lotta antispecista e soprattutto all’antispecismo politico? Quando il movimento animalista-antispecista propone il racconto di una guerra contro i cinghiali scatenata dalle istituzioni o quello di forze dell’ordine malvagie, sta proponendo una visione della società e della prassi per cambiarla che percorre la strada dell’antispecismo morale individualistico, di certo non quella dell’antispecismo politico. Una visione che, come crede possibile la liberazione animale attraverso la salvezza di ogni singolo animale, così vede la realizzazione di una società antispecista nella conversione uno ad uno di ogni individuo alla causa della liberazione animale, fondando tale cambiamento sull’emersione di una morale che sarebbe sepolta dentro ogni persona.

“… siamo evidentemente dentro una logica interamente morale se si pretende che questo cambiamento avvenga convincendo l’altro che sbaglia e che deve cambiare intimamente. Diverso sarebbe se il cambiamento ‘intimo’ fosse pensato (anche) come l’effetto di un cambiamento a livello istituzionale ed economico” (Marco Maurizi, “Antispecismo politico”, Gennaio 2022, pp. 48,49).

La lente attraverso cui si vede nel regalo alla lobby dei cacciatori un epifenomeno della (supposta) guerra contro i cinghiali è distorsiva. L’elemento reale è, come sempre, di ordine economico. Non può essere considerato un fatto accessorio il regalo fatto alla lobby dei cacciatori, visto che sono stati stanziati, dal Parlamento, mezzo milione di euro l’anno per incrementare il fondo previsto dall’art. 24 della legge sulla caccia, che verrà diviso tra le varie associazioni venatorie in base al numero dei loro associati. La caccia, quindi, con il suo indotto economico, è un business che porta al denaro, non alla malvagità dei cacciatori. Da uno studio dell’Università “Carlo Bo” di Urbino, commissionato dall’ANPAM (associazione nazionale produttori armi e munizioni), affiliata a Confindustria, ultimo dato del 2019, la spesa totale sostenuta ogni anno dai cacciatori ammonta a 2.816.971.170 euro comprese armi e munizioni.

La società capitalistica alla sua costituzione portava in sé la volontà di affrancarsi dai sistemi sociali che l’avevano preceduta e che gestivano il potere e la distribuzione delle risorse in modo iniquo. Il suo avvento, quindi, non fu accolto come il male assoluto ma anzi come una possibilità, dal punto di vista socio-economico, di emanciparsi da istituzioni, strutture e credenze che opprimevano larghe fasce del popolo.

Presto il nuovo sistema ha mostrato contraddizioni e la stessa mancanza di risposte alle domande di giustizia, eguaglianza e distribuzione equa di risorse; ma le società che l’avevano preceduto non rappresentavano, ormai, un modello da seguire. Il treno della storia non poteva più essere fermato e, invece di arrestarsi, il capitalismo moderno si è evoluto nella sua forma avanzata, il neoliberismo. Quest’ultimo ha modificato cosa produrre e i mezzi di cui fare uso per farlo, ma non il suo nocciolo vitale, che era e resta, il mercato e la merce.

Linguaggio e immagini contribuiscono a costruire la realtà attraverso l’interazione sociale. Molte voci del mondo animalista, riferendosi alla questione della “guerra” contro i cinghiali, sostengono di essere vittime di una campagna d’odio appositamente creata dalle istituzioni. Affermazioni sostenute da immagini e da un linguaggio che aprono a uno scenario di conflitto, armi, pallottole e assassini, che aprono all’uso di una informazione interpretata alla luce della prospettiva dell’antispecismo morale. La visione morale dell’antispecismo vede alla base dello sfruttamento degli animali il pregiudizio verso le altre specie, che sarebbero sfruttate perché considerate inferiori. In questo approccio lo sfruttamento animale è frutto di un intendimento morale distorto e irrelato rispetto alle altre forme di oppressione e sfruttamento che il capitale, appropriandosi dei mezzi di produzione, mette in atto verso altri soggetti.

L’informazione riguardo al cinghiale di Massarosa non è completamente aderente alla realtà; infatti, il cinghiale ferito che è stato abbattuto non era un cucciolo, ma una femmina adulta. Che non fosse un cucciolo, ovviamente, non cambia la sua terribile morte, ma parlare di un cucciolo, nell’immaginario comune, sicuramente muove e smuove emozioni e reazioni in modo molto più evidente e marcato che parlare di individui adulti.

Lo scenario che ci viene rappresentato vede in campo i soldati del bene che lottano contro il male, anzi la banalità del male personificata nelle forze dell’ordine. Non mancano in aggiunta video, terribili, che scatenano ondate di emotività. Gli animalisti e le animaliste si rappresentano come soldati di una guerra santa che però è impari e appare disperata. Non siamo di fronte a una guerra nei confronti dei cinghiali e porre la questione in tali termini ci allontana dal nocciolo del problema che, in perfetta logica neoliberista, è meramente economico. La lotta e la prevenzione della peste suina vengono condotte a salvaguardia dei suidi che se si ammalassero dovrebbero essere abbattuti, con ingenti perdite economiche da parte degli allevatori. Una legge che “salvaguarda” la salute di animali che debbono morire sani per il mercato della carne. 

Niente guerra ad aprum (al cinghiale) ma la logica di mercato in difesa della merce e del capitale. È in questa stessa logica che debbono essere interpretate le immagini che vengono proposte dagli animalisti e dalle animaliste.

La narrazione che si è andata affermando è divenuta funzionale al sistema, che ci vuole consumatori come impone la triade capitale-merce-mercato e che ha creato una fetta di marketing e un corredo pubblicitario fatto di immagini e narrazioni iper-emotive. Lo schema, ricorrente, si auto-esaurisce nella successione “evento-immagini-emotivizzazione-protesta”.

I media, che in queste vicende hanno giocato e giocano un ruolo fondamentale, sono mezzi di produzione che producono merce. Questa merce è rappresentata dalle immagini prodotte da lavoratori per la maggior parte non pagati e inconsapevoli del loro ruolo strumentale: gli animalisti e le animaliste.

Sulla stessa lunghezza d’onda di questi ultimi e di queste ultime, si schierano le associazioni di rappresentanza ufficiali, le quali hanno definito l’emendamento 78.015, presentato all’interno della Legge di Bilancio, come “caccia selvaggia”; una caccia sregolata, cioè, condotta a rischio della sicurezza delle persone. Un’interpretazione fuori focus, che non tiene in considerazione la rilevanza dell‘aspetto economico che sta alla base della scelta politica.

Oltre a fraintendere i reali interessi che muovono la “guerra” ai cinghiali, questa risposta iper-emotiva rischia di comportare il fallimento dei tentativi di salvaguardia degli ungulati. Una sovraesposizione mediatica più funzionale al merchandising che si è creato attorno alla questione dei suidi che al loro interesse. Le manifestazioni per i cinghiali sono diventate una sorta di vetrina per le associazioni che le hanno organizzate. Da un lato, queste associazioni si sono spese – e si spendono tuttora – in buona fede per la tutela dei cinghiali; dall’altra, i vantaggi che hanno ricevuto dalla copertura mediatica e dal loro presenzialismo sono innegabili, così come lo sono quelle dei rifugi e dei santuari che le hanno affiancate. C’è da chiedersi se e quanto questo sia vantaggioso per i suidi.

L’uso strumentale delle immagini, la terminologia e l’interpretazione dicotomiche (gli animalisti, le animaliste e i cinghiali buoni contro i poliziotti cattivi, il bene contro il male) distorcono la lente attraverso cui si guarda alla liberazione animale.

L’assenza dell’analisi del contesto socio-economico nel quale si muovono gli interessi pro o contro i cinghiali e gli altri animali non umani impedisce la comprensione delle dinamiche in atto e, quindi, un’azione trasformatrice realmente efficace. Lo stesso contesto che produce disuguaglianze e sfruttamento per gli umani, che necessitano parimenti di liberazione. Il sistema di produzione neoliberista produce “schiavi” da sfruttare attraverso l’oggettivizzazione e la mercificazione di quanti sono utilizzabili per garantire la produzione del capitale stesso, senza operare distinzione tra umani e non umani.

Annamaria Ottaviani, Gruppo di Antispecismo Politico

Gruppo di Antispecismo Politico
Gruppo di Antispecismo Politico è un collettivo ecosocialista antispecista con un approccio multidisciplinare, attivo nello studio e nella ricerca sui temi della giustizia animale e sociale. Ci proponiamo, fra le altre cose, di indagare e denunciare l’influenza del neoliberalismo sul mondo della lotta per i diritti e la liberazione animale e su quello dei movimenti sociali in generale.

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