Il riassunto più efficace di questi ultimi due giorni potrebbe venir fuori da una rivisitazione di quanto affermò il dem Arturo Parisi nel 2008: quando, all’indomani della vittoria di Obama, in Italia il centrodestra vinceva – come oggi – in Abruzzo. Allora Parisi ebbe a dire: «Abbiamo perso l’Abruzzo ma in compenso abbiamo vinto l’Ohio». Oggi la sinistra sa di aver perso l’Abruzzo ma sbandiera, in compenso, la vittoria di Mahmood a Sanremo contestata invece dalle opposizioni; trascinando il paese in una discussione squisitamente politica, infarcita delle solite polemiche che poco hanno a che vedere con la musica.
Come si schiera la politica su Sanremo e Mahmood
Tutto inizia dopo la proclamazione del vincitore di Sanremo: Mahmood, giovane cantante di origini italo-egiziane, con il brano Soldi che parla del difficile rapporto del cantante con suo padre. Sui social si scatena il dibattito tra chi esulta per una canzone finalmente moderna, fuori dai classici canoni sanremesi e che esalta il multiculturalismo (tra cui, ironicamente, l’ex compagna di Salvini, Elisa Isoardi) e chi denuncia una vittoria pilotata dalla giuria “di radical chic” a scopo politico. Ad aggravare il tutto, la constatazione che il televoto da casa aveva invece premiato Ultimo con il 46% e relegato Mahmood in terza posizione con il 14%, risultato poi ribaltato da giuria e sala stampa.
Il dibattito musicale si è trasformato, insomma, in una discussione politica: la tematica dell’immigrazione, la distanza tra il “popolo del televoto” e “l’élite della giuria”… e in questo mare di commenti social non potevano non sguazzare i rappresentanti di un governo sempre molto attento – forse troppo – a cogliere l’umore della gente attraverso hashtag e trend topic.
Il primo fra tutti è stato, neanche a dirlo, Matteo Salvini con due tweet: il primo, poche ore dopo la conclusione di Sanremo, in cui lascia trasparire perplessità sull’esito della gara ed esprime la sua preferenza per Ultimo (il quale poi si scaglierà all’attacco del sistema di voto che lo ha penalizzato); il secondo poche ore fa, in cui sostiene che Mahmood sarebbe stato “usato dai radical chic”, sottolineando però di aver personalmente contattato il vincitore per fargli i complimenti.
Non potendo essere da meno, anche dal versante 5 Stelle sono arrivati commenti: Alessandro Di Battista ha definito “scandaloso che la politica sia entrata pure a Sanremo”, e l’altro vicepremier Luigi Di Maio è intervenuto sulla questione con un post anche più polemico di Salvini in cui accusa la solita giuria “composta da giornalisti e radical chic”, denuncia la “distanza abissale che c’è tra popolo ed élite” e chiede che dal prossimo anno, a Sanremo, conti solo il televoto. Per di più, Di Maio rincorre Salvini anche nell’esprimere una sua preferenza riguardo al Festival appena concluso, che va verso Simone Cristicchi. Da segnalare la protesta, tra i commenti al post, del leader dei Thegiornalisti Tommaso Paradiso, che commenta: «Spostiamo gli stramaledetti c***i che abbiamo nel nostro paese sul festival di Sanremo, sì.».
Le polemiche come arma di distrazione di massa
Tralasciando il merito della questione, se il popolo quindi meriti di decidere su Sanremo come per un talent qualsiasi o è meglio lasciare la scelta a una giuria – possibilmente di esperti – come avviene per i festival del cinema, stupisce l’attenzione riservata dalla politica a un evento di colore, ma sostanzialmente irrilevante per le sorti del paese come Sanremo.
Indubbiamente il Festival è una finestra sul “paese reale”, che per una settimana monopolizza qualsiasi conversazione e che inevitabilmente attira, come abbiamo detto, politici così attenti a intercettare le tendenze di moda nell’opinione pubblica e a cavalcarle alla ricerca di voti. E altrettanto indubbiamente i temi emersi da questo Festival sono di grande attualità nel dibattito pubblico.
Ma lo scopo principale di queste polemiche non può che essere quello di fungere da distrazione per l’opinione pubblica, in un periodo in cui non ci sono barconi da fermare per creare un caso mediatico e le congiunture economiche – stime di crescita per la Commissione UE allo 0.2%, per Bankitalia allo 0.6% – sembrano piuttosto negative, addirittura più del previsto.
Per di più, nella domenica post-Sanremo si è votato in Abruzzo. E se Salvini può comunque esultare per una nettissima vittoria – 48% per il centrodestra unito e un imponente 27% per la sola Lega –, Di Maio incassa, invece, l’ennesima batosta a livello locale del M5S. Movimento che dimostra i soliti limiti di scarso radicamento territoriale e di poca spendibilità, a livello amministrativo, dei suoi temi chiave (Reddito di cittadinanza, taglio dei costi della politica).
Ma soprattutto per entrambi si avvicina un bivio fondamentale per verificare la tenuta di questa maggioranza: il caso Diciotti. Entro il 23 febbraio infatti la Giunta per le immunità al Senato dovrà pronunciarsi sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini per l’accusa di sequestro di persona aggravato, verdetto che ovviamente influirà sulla decisione dell’aula di Palazzo Madama che dovrà invece arrivare entro il 23 marzo.
Processare Salvini per il Movimento 5 Stelle vorrebbe dire tenere fede ai propri principi fondativi, ma fornirebbe un clamoroso assist all’alleato di governo per far saltare il tavolo e andare a elezioni con sondaggi che indicano un netto vantaggio per la Lega; dire di no al processo invece potrebbe salvare il governo, ma ne uscirebbe l’immagine di un M5S completamente appiattito su Salvini che rischierebbe di creare enormi fratture all’interno dell’elettorato e degli stessi parlamentari a 5 Stelle.
Da qui la scelta di puntare tutto sulle polemiche per Sanremo e la vittoria di Mahmood come elemento di distrazione dell’opinione pubblica. Tranello in cui spesso la stampa, colpevolmente, casca, all’inseguimento delle polemiche facili e d’impatto ma sterili e prive di contenuti. A noi, quindi, il compito di riportare l’attenzione sui temi realmente importanti per il paese.
“Sono solo canzonette”, in fondo. Forse ha ragione Tommaso Paradiso. Forse, era addirittura meglio l’Ohio.
Simone Martuscelli