Tutti noi ci indigniamo davanti a immagini come quelle scattate nel mar dei Caraibi. L’isola di plastica formatasi a largo delle coste dell’Honduras è solo una delle grandi chiazze di rifiuti plastici presenti negli oceani. 

Procediamo per gradi: tutto ha inizio da semplici oggetti che usiamo quotidianamente. Buste della spesa, posate, piatti, bicchieri, bottiglie di plastica, ecc. sono articoli monouso e cioè creati per essere usati una sola volta e per poi essere gettati via. Siamo circondati da questo tipo di prodotti e ne facciamo un uso indiscriminato, senza porci quelle che sembrerebbero essere le domande più ovvie. Nell’articolo odierno ci porremo questi interrogativi cercando di spiegare l’impatto che ha sull’ambiente e sulla salute umana l’uso eccessivo di questi articoli.

Come si produce?

Deriva dalla lavorazione del petrolio o del metano, entrambe energie fossili non rinnovabili. Questo porta a porci una ulteriore domanda: conviene utilizzare una risorsa, che ha impiegato milioni di anni per generarsi, per creare prodotti usa e getta? La risposta sembra scontata eppure nel 2016 l’Italia è risultata essere la nazione europea con il più alto consumo di bottiglie di plastica.

Dove va a finire?

Secondo Assorimap, l’associazione nazionale riciclatori e rigeneratori materie plastiche, in Italia si ricicla solo un quarto dei 2,1 milioni di tonnellate di plastica utilizzati. Dal rapporto  “The New Plastics Economy: Catalising Action” della Ellen MacArthur Foundation invece apprendiamo che solo il 14% degli imballaggi in plastica utilizzati su scala globale è raccolto e avviato correttamente agli impianti di recupero materia. Vien da se che tutto il resto viene incenerito, gettato in discarica o disperso nell’ambiente.

Nel mar Mediterraneo sono 260 le specie danneggiate dai detriti plastici, mentre negli oceani troviamo addirittura delle enormi isole di plastica chiamati gyre, come quello citato precedentemente, nel mar dei Caraibi, o quello presente nel Nord Pacifico Subtropicale, una chiazza d’immondizia grande due volte il Texas.

Ovviamente la plastica nell’oceano non si biodegrada ma col sole si decompone in piccolissimi pezzetti che i pesci e gli uccelli confondono col cibo. La Fondazione per la Ricerca Marina Algalita (USA) ha trovato più plastica che plancton (il rapporto è salito da 6 a 1 a 40 a 1). Secondo l’IRD, l’istituto francese di ricerca per lo sviluppo “Ogni anno 1,5 milioni di animali sono uccisi dalla plastica”.

Che impatto ha sulla nostra salute?

Tra i prodotti chimici contenuti nella plastica troviamo il BPA (Bisfenolo A) e gli ftalati, entrambi nocivi per la nostra salute.

Cominciamo con il BPA. E’ un componente del policarbonato, usato per indurire la plastica, si trova in prodotti come bottiglie, contenitori per alimenti, attrezzature sportive e componenti elettroniche. Frederick vom Saal, ricercatore presso l’Università del Missouri-Columbia ha affermato che: “Ad oggi sono disponibili circa 1000 studi sul BPA somministrato agli animali e la stragrande maggioranza di essi dimostra che provoca o è legato a molti problemi di salute”. Di seguito riportiamo i disturbi dovuti all’esposizione al BPA:

  • cancro alla prostata;
  • ipospadia;
  • pubertà precoce;
  • fibromi uterini;
  • sindrome dell’ovaio policistico;
  • aborto spontaneo;
  • diabete mellito;
  • obesità;
  • bassa conta spermica;
  • autismo;
  • ADH;

In 200 studi finanziati dal Governo USA il 92% dei soggetti testati rivela danni da BPA, mentre in 20 studi finanziati dal Consiglio Chimico Americano (A.C.C.) lo 0% dei soggetti testati rivela danni da BPA. Per quanto riguarda le donne in gravidanza il BPA può alterare lo sviluppo del nascituro.

Gli ftalati invece sono un gruppo di sostanze chimiche aggiunte alla plastica per farla durare più a lungo e per renderla più flessibile che si trovano nel PVC, nei prodotti per la cura personale, nei giochi per bambini. Dal 2003 ad oggi molti studi hanno notato un collegamento tra ftalati e disturbi sul nostro sistema riproduttivo. Non solo, l’esposizione a questa sostanza rappresenta un elevato rischio per le donne incinte. Di seguito riportiamo i disturbi dovuti all’esposizione agli ftalati:

  • riniti;
  • eczema;
  • asma;
  • allergia;
  • parto prematuro;
  • sviluppo del seno precoce;
  • disfunzione tiroidea;
  • insulino resistenza;
  • bassa conta spermica;
  • ridotta mobilità dello sperma;
  • ridotta distanza ano genitale;
  • ritenzione dei testicoli;
  • ipospadia;

Ci sono abbastanza prove per proibire questi prodotti?

Quando si parla di salute pubblica e quindi di un diritto fondamentale dell’uomo, entrano in gioco i Governi che dovrebbero legiferare a favore del popolo. Spesso però gli stessi Governi sono controllati da aziende che mettono al primo posto il profitto economico, a discapito della salute umana. Ma non dobbiamo mai dimenticare che in fondo siamo noi cittadini comuni a governare, a influenzare le suddette aziende con le nostre scelte. Ad esempio nel 2009, dopo numerose proteste da parte dei cittadini, in USA è stata approvata una legge contro 6 tipi di ftalati. Alcuni rivenditori di giocattoli hanno ritirato dagli scaffali prodotti contenenti BPA e questo ha portato 6 produttori di giocattoli a eliminare il BPA dei biberon.

Cosa possiamo fare nel nostro piccolo?

Ecco a voi 9 regole da poter seguire per migliore questa disastrosa situazione:

  1. riduci l’usa e getta
  2. non bere acqua in bottiglia
  3. scegli prodotti poco confezionati
  4. compra usato/riciclato
  5. porta con te i tuoi contenitori/buste
  6. compra/consuma dimeno
  7. riduci, riusa, ricicla
  8. tieni pulito (non disperdere la plastica nell’ambiente)
  9. semplifica la tua vita

Vivere con meno plastica significa ridimensionare le nostre abitudini, le nostre scelte. Non è facile, ma con un pò di buona volontà abbiamo la possibilità di farlo, il dovere di farlo.

Marco Pisano

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