Simone Weil (fonte immagine: framentirivista.it)

Simone Weil ha esplorato l’Iliade omerica per analizzare la violenza esercitata a tutti i livelli su vittime e oppressori, e anche per spiegare i venti di cambiamento che soffiavano sull’Europa: L’Iliade, o il poema della forza è stato scritto tra il 1936 e il 1939.

La forza nell’Iliade

«Il vero eroe, il vero soggetto, il vero centro dell’Iliade è la forza. La forza che è usata dagli uomini, la forza davanti alla quale la carne degli uomini si ritrae.». Il poema omerico è, secondo Simone Weil, il poema della forza: la forza è ciò che elimina qualsiasi equilibrio – sociale, morale, umano; è ciò che ha la capacità di trasformare «chiunque le è sottomesso pari a una cosa. Esercitata fino in fondo fa dell’uomo una cosa nel senso più letterale del termine, poiché lo rende cadavere.»

fonte immagine: asterios.it

Nell’Iliade ci sono gli eroi, le gesta eroiche, le incursioni divine; l’Iliade non è solo e soltanto però il racconto di questi fatti, perché è anche il racconto della volontà di sopraffazione, del dispiegarsi della violenza: l’uomo è lontano dalla divinità, l’uomo vive nella sua dimensione terrena. La forza omicida è però solo una delle forze, la più grezza. Esiste un’altra forza, più sottile, velata, nascosta quasi, la forza che minaccia di uccidere. «Egli è vivo, ha un’anima, tuttavia è una cosa.»: la minaccia di uccidere è una forza ancora più originale, capace di trasformare un uomo in una cosa, e un uomo trasformato in cosa ha però ancora un’anima, un altro atto di violenza per l’uomo, perché «Essa non è fatta per abitare una cosa; quando vi è obbligata non v’è più nulla in essa che non patisca violenza». Nulla è più cosa di un cadavere, ma è morto anche chi rimane in vita e tuttavia è così sottomesso che ormai nessuna anima può più appartenergli. La forza permette al potente di avere il potere sulla vita e sulla morte. E un’anima che entri in contatto con questa forza non riuscirà a sottrarsi al processo di trasformarsi in “cosa”: anche il potente subirà la trasformazione, perché la forza non si può comandare. Gli uomini vivono illudendosi di poterla controllare e di poterne governare gli effetti.

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I forti non pensano che le loro azioni potranno avere ripercussioni negative contro loro stessi; questo perché credono di essere gli unici detentori della forza. Un peccato di hybris che viene prontamente castigato perché è la violazione della timè. Chi vince una battaglia vorrà ottenere dalla guerra qualcosa di più, sentendosi ormai invincibile, ma verrà prontamente sconfitto e punito per la sua tracotanza. Weil sottolinea l’importanza di non cedere all’arroganza.

“Ma chi ascoltava l’Iliade sapeva che la morte di Ettore doveva dare una breve gioia ad Achille, la morte
di Achille una breve gioia ai Troiani e l’annientamento di Troia una breve gioia agli Achei.
In questo modo la violenza schiaccia chi la tocca e
alla fine appare estranea a chi la usa e a chi la subisce. Nasce allora l’idea di un destino per il quale i
carnefici sono altrettanto innocenti delle vittime, i
vincitori e i vinti si ritrovano fratelli nella stessa miseria. Il vinto è causa di sventura per il vincitore
come il vincitore lo è per il vinto.”

Simone Weil, L’Iliade, o il poema della forza (Asterios Editore, 2012)

La guerra è un gioco, le vite degli avversari non sono vite importanti, il pericolo non viene percepito. Ma la guerra mette di fronte alla morte. Se la morte prima era un pensiero vago, a un tratto diventa possibilità concreta: «È vero che ogni uomo è destinato a morire e che un soldato può
invecchiare tra i combattimenti; ma per coloro la cui anima è sottoposta al giogo della guerra, il rapporto tra la morte e il futuro non è lo stesso che per gli altri uomini. Per gli altri la morte è un limite al futuro imposto in anticipo; per loro, essa è il futuro stesso, il futuro assegnato dalla loro professione. Che per degli uomini il futuro sia la morte è contro natura.
». L’anima non riesce a trovare soluzione al dramma della morte, perché la morte diventa pensiero costante. E la brutalità della guerra verrà descritta in tutta la sua crudezza, nessun uomo ne ha il controllo, sono gli dei che decidono le sorti delle battaglie. Vincitori e vinti sono legati allo stesso destino: tutto è sottomesso alla forza, la forza esercita un pericolo imminente su tutto e tutti. E se pure nell’Iliade, come notato da Simone Weil, c’è spazio per la liberazione dell’anima dei guerrieri che abbraccia il sentimento dell’amore, questo porta ancora di più alla consapevolezza che la forza è invincibile e inarrestabile. E crudele.

L’Iliade è il poema del potere che può portare alla rovina chi lo esercita e ridurre in cosa chi lo subisce; allo stesso tempo, violenza e sopraffazione trovano il loro pareggio nella pietà e nell’amore, ma mai nel perdono: il perdono è emblema della cristianità, il perdono è perciò sconosciuto ai greci. L’uomo viene riportato in quella che è la sua dimensione, di finitezza, e Omero guarda con occhio imparziale sia alle sventure degli Achei che alle sventure dei Troiani. E Simone Weil userà lo stesso occhio per raccontare la storia dell’Europa, in un processo di attualizzazione del mito.

Valentina Cimino

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