Si tornerà a Bruxelles, ma questa volta con proposte che generano ottimismo. Il documento di 13 pagine presentato per risanare il debito con i creditori internazionali incassa infatti i consensi dell’Eurogruppo. Il parlamento greco intanto approva il piano, grazie anche all’appoggio dell’opposizione (in totale 251 favorevoli, 32 contrari, 8 astenuti), ma il fronte maggioritario di Tsipras comincia a sgretolarsi sotto le accuse di aver presentato un piano simile, troppo simile, alla proposta-ultimatum di Juncker su cui appena 6 giorni fa il popolo greco si era espresso con il referendum.
Un piano in 13 pagine, una proposta articolata che prevede tagli di spesa e aumenti fiscali per 12/13 miliardi di euro in due anni, in cui sarebbe prevista una tassazione dell’Iva su tre livelli distinti, beni come medicinali, libri, spettacoli d’arte e teatrali al 6%, tutelando la cultura; prodotti alimentari freschi e generi alimentari di base al 13% insieme a alberghi ed energia, lavorando così sullo sfruttamento del turismo insieme all’aliquota del 23% su ristoranti, beni alimentari e altro.
Non resterebbe più in vigore il 30% di sconto sulle aliquote Iva nelle isole, un “nocciolo duro” nei negoziati con la Troika per il raggiungimento di un accordo a causa dell’opposizione del partito nazionalista Greco. Rivoluzione poi per l’amministrazione fiscale che diventerebbe un organismo indipendente per avere maggiore discrezionalità nella lotta all’evasione.
“Non sto svendendo la Grecia” ci tiene a rimarcare il leader greco Alexis Tsipras, difendendosi dalle durissime accuse del ministro Lafazanis che definisce “catastrofica” la possibilità di sostenere un programma di austerità, neoliberale e deregolamentato, che rischia di aumentare la recessione del paese e aggravarne la povertà. Il mandato elettorale al governo Tsipras e ancor di più il voto del referendum erano contro nuove forme di austerità che il leader giustifica come misure costrette da adottare, ma che rappresentano la migliore via percorribile rispetto a quanto presentato dall’Europa, proseguendo poi: “Non ho chiesto un ‘no’ al referendum per uscire dall’euro, ma per rafforzare la nostra posizione nei negoziati”.
Intanto i primi segnali di una maggioranza che si indebolisce sta nei fatti: c’è il sì alla piattaforma proposta dal governo a Bruxelles, ma solo con 100 voti di socialisti, centristi e conservatori, mentre da Anel e Syriza provengono 32 astensioni.
Un piano in 13 pagine che incassa il fondamentale appoggio da parte del presidente del consiglio UE Donald Tusk, che chiede ai leader europei di fare la loro parte: “Il pacchetto di Atene deve essere accompagnato da una proposta realistica dei creditori sulla sostenibilità del debito”; fiducia anche da parte del Presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem: “La nuova proposta di Atene è completa”.
Il terzo Bailout presentato però trova il suo punto di discordia nella richiesta ellenica di altri 53,5 miliardi ai creditori per onorare i propri debiti fino a giugno del 2018. La Troika dà fiducia ad Atene, offrendo un piano con aiuti superiori a quanto richiesto, con 74 miliardi di euro da dividere tra Fmi e fondo salvastati. Ruolo decisivo ora, risulta quello della Germania, che a differenza di tutti i leader europei e capogruppo si astiene dal commentare tali proposte rinviando, tramite il suo portavoce, all’incontro di domani con gli stati il parere tedesco.
Risulta chiaro come la Germania sia ora il bastone che, visto il gelo provenuto da Berlino, potrebbe incastrarsi tra le ruote di un compromesso.
Vincenzo Palma