Nel 2016, molti anni dopo i deludenti Jurassic Park – il Mondo Perduto e Jurassic Park III, molte erano le aspettative per il primo Jurassic World, aspettative che la pellicola non è riuscita a soddisfare pienamente ma ha avuto il merito di riportare in auge quel franchising un po’ dimenticato. Jurassic World: Il Regno Distrutto prova quindi a cambiare le carte in tavola nel tentativo di proporre qualcosa di nuovo, purtroppo non riuscendoci.
Sono passati tre anni dagli eventi catastrofici di Jurassic World e i dinosauri sono stati lasciati a se stessi su Isla Nublar. Ad essere onesti, questa sembra la migliore situazione sia per gli umani che per i dinosauri data la loro comprovata incapacità di condividere lo stesso habitat. Sfortunatamente per i dinosauri c’è un vulcano su Nublar che la pensa diversamente e minaccia di cancellarli definitivamente (di nuovo). Un’organizzazione pseudo-animalista decide, quindi, di immischiarsi ancora una volta e di tentare una missione di salvataggio. Fin qui la trama potrebbe sembrare scontata e lo spettatore ha di fatto la sensazione di sapere dove sia diretto il film ma Jurassic World: il Regno distrutto capovolge quelle aspettative conducendo in posti inaspettati, sulla “terra ferma”.
Il Regista Bayona si sente a proprio agio nel prendere il controllo di Jurassic World: il Regno distrutto, in particola modo dopo aver dimostrato di essere in grado di gestire la distruzione su larga scala egregiamente. Ci sono rimandi ai suoi lavori precedenti come The Impossible e The Orphanage: la cosa più impressionante è il modo in cui attinge dai lavori di Alfred Hitchcock. L’influenza di quest’ultimo è decisamente sentita in tutto il film e l’uso di luci e ombre di Bayona per creare tensione è uno dei punti salienti della pellicola. Che si tratti di un baryonyx a trentadue denti che si aggira per un tunnel illuminato da una minacciosa goccia di lava o degli artigli del terrificante “nuovo” Indoraptor illuminato dalla luce notturna di una bambina, l’orrore indotto da Bayona è di classe e raramente ricorre al semplice peak horror.
Enormi dinosauri spaventosi che cercano di divorare esseri umani o in procinto di battersi tra loro sarà sempre divertente da vedere sul grande schermo e Jurassic World: il Regno distrutto ha entrambi questi due aspetti. La maggior parte del film è trascorso tra sussulti di terrore ma c’è da dire che i tratti individuali dei dinosauri sono anche utilizzati per un piacevole effetto drammatico.
Si pensava ci sarebbe stata troppa CGI in Jurassic World: il Regno distrutto ma si sbagliava: c’è una quantità sorprendente di effetti pratici. Infatti, questa si potrebbe definire la prima volta in cui è stato possibile provare una sorta di genuino disgusto nel vedere alcune scene con queste creature. Questa “vicinanza” al reale aiuta senz’altro a sentirsi più impauriti. Se c’è un dinosauro in scena significa che sta accadendo qualcosa di fantastico, sfortunatamente non si può dire lo stesso per gli umani.
Claire di Bryce Dallas Howard e Owen di Chris Pratt sono, al contrario, noiosissimi. Continuano la loro relazione esasperante, per quanto sia assurdo che Owen abbia una relazione più credibile con un dinosauro che con Claire. È deludente che le relazioni umane non siano così profonde quanto quelle tra gli umani e i dinosauri. Il cast di supporto va dal genuinamente interessante ad un semplice e sconcertante coinvolgimento. Del tutto sprecata invece la presenza del “veterano” Jeff Goldblum, che fornisce un contributo misero e superfluo.
L’operazione-nostalgia è riuscita ancora una volta ma bisognerebbe ponderare sui franchising infiniti, soprattutto se questi portano i produttori a insistere su una storia che non ha più la volontà di esplorare dinamiche inedite ma solo la mera esigenza di spillare denaro dalle tasche degli spettatori. Potremmo semplicemente smettere di alimentare questa ruota interminabile di sequel/prequel, stimolando le case produttrici Hollywoodiane a valutare di portare sul grande schermo delle storie nuove, fresche. Per quanto ci piaccia rivedere i personaggi con i quali siamo cresciuti dobbiamo ammettere che, come dicono gli inglesi, «enough is as good as a feast»: in altre parole il troppo stroppia.
Insomma Jurassic World ha regalato una buona storia autosufficiente; Jurassic World: il Regno distrutto lascia invece una domanda: «esattamente dove andrà la serie per il suo terzo atto?» Probabilmente lontano da isole incontaminate e da parchi a tema… E, forse, è meglio così.
Giuseppe Palladino