Il capitalismo cronofago non si limita più alla colonizzazione del mondo tangibile bensì si estende finanche all’intangibile. Non è più sufficiente né la dissennata plasmazione della geografia antropica, né l’appropriazione indebita di quell’entità onnipervasiva che da circa duemilaottocento anni si propaga tra il reale e il fittizio: il denaro. Ora il capitalismo cronofago vuole impossessarsi definitivamente della dimensione astratta del tempo di vita.
Al netto della robotizzazione, la maggior parte degli esseri umani contemporanei vive quasi ogni giorno un’esistenza mediamente tripartita in otto ore di lavoro, otto ore di tempo libero e otto ore di sonno. L’odierno sistema socioeconomico estrae ricchezza dal lavoro umano oltre che dall’ambiente, accresce i profitti dilatando i tempi del consumo e cerca costantemente di fagocitare il restante tempo di vita. Avviene con ciò la colonizzazione della dimensione spaziale e della dimensione temporale: l’intento del capitale è invadere una delle ultime nicchie di resistenza non soggetta a mercificazione, il sonno.
Il progresso digitale correlato al capitalismo cronofago ha innescato non solo una sovrapproduzione catastrofica ma anche un conflitto temporale 24/7 tramite una comunicazione mista tra seduzione e controllo, con l’unico scopo d’impadronirsi della psiche del consumatorə-spettatorə-clientə-utente-elettorə. Difatti, tali processi di reificazione e mercificazione relegano le masse passivizzate in una condizione di servitù volontaria dai confini non ancora sondabili.
Una volta esaurite le ore dedicate al lavoro, l’individuə spende quanto guadagnato durante il proprio tempo libero per i propri consumi e al contempo compie un lavoro immaginifico a beneficio del capitale. Le corporation attraverso le strategie di marketing massimizzano i profitti focalizzandosi sulla congerie pulsionale del potenziale acquirente de-individualizzatə e consuntə dall’ansia d’identità e dalla religione del consumo. Ebbene, quest’ultimə paga la merce feticizzata con un sovrapprezzo che la sua stessa mente ha contribuito a produrre, per l’appunto questo surplus è costituito dalle ingenti spese di marketing propedeutiche al lavoro d’immaginazione del singolo su cui si fonda, quindi, il meccanismo speculativo. Il desiderio alienato ha vita breve e la sua morte va ripetutamente esorcizzata; nuove merci devono alternarsi in una successione bulimica che non prevede uno stato di appagamento.
Il capitalismo cronofago rischierebbe di non sussistere privandosi della possibilità d’influenzare il lavoro immaginario del consumatorə. È evidente quanto sia indispensabile il concatenamento tra lavoro reale e lavoro immaginario.
Jean-Paul Galibert nel suo libro I cronòfagi. I 7 principi dell’ipercapitalismo, descrive un sistema mosso da un unico discorso ontologico: «Che la redditività sia il principio, la causa unica e il solo criterio dell’essere e del non-essere».
Il calcolo prevale su ogni altro criterio decisionale e attraverso esso – divenuto inevitabilmente algoritmico – si materializza un’automatizzazione massiva, esistenziale ed economica, costituendo così l’avvento del nichilismo in seno alla società computazionale. La struttura stessa del capitalismo cronofago comporta una costante riproduzione di sé: l’automatismo tende asintoticamente a perfezionare se stesso nutrendosi del proprio futuro (come Krónos che fagocita la propria progenie). Ragion per cui i processi d’ir-razionalizzazione che ne scaturiscono, creano le condizioni per una profonda mutazione antropologica, per un’insolvibilità economica e per un’insostenibilità ecologica.
Dunque, in conformità a tale modus existendi si stabilisce che va assolutamente eroso il tempo dell’inattività: l’essere umano diviene una duplice riserva di denaro e di tempo da prelevare senza limiti. Da qui sorge la feroce competizione con il sonno in quanto intervallo temporale refrattario alle voraci logiche della globalizzazione finanziaria. Il capitalismo cronofago vuol forgiare un mondo in perenne stato di veglia, popolato da individuə flessibili, capillarmente sorvegliatə e deditə esclusivamente al lavoro e al consumo. Del resto in una società ossessionata dalla produttività non c’è margine per i tempi morti che necessariamente devono essere ridotti se non estirpati. Pertanto, questo auspicato efficientismo insonne è il sintomo del contrasto tra l’evoluzione biologica e la rivoluzione tecnologica.
Soggetto di prestazione e ragione strumentale
Il perpetuum movens dell’innovazione tecnologica ha solo parzialmente semplificato l’esistenza dell’essere umano, giacché anzitutto ha apportato pericolose migliorie ai dispositivi di sorveglianza quotidiana, non ha infranto la schiavitù derivante dalla parassitaria iper-burocrazia, né ha ridotto equamente la quantità di lavoro umano. Piuttosto, la digitalizzazione dei processi lavorativi connaturata al libero mercato in primis ha contribuito all’incentivazione della precarizzazione, all’innalzamento esponenziale degli standard qualitativi della produzione e di fatto ha reso il lavoro non misurabile; in secundis ha favorito l’uniformazione del personale e quindi la sterilizzazione dei conflitti di classe. I dispositivi algoritmici, assoggettanti e formanti, rendono l’individuə interconnessə sempre reperibile cosicché viene meno la delimitazione tra vita pubblica e vita privata, tra tempo di lavoro e tempo libero, tra professione e hobby. La sincronizzazione economico-funzionale combinata all’integrale automatizzazione tecnologica viene subita dalla psiche delle persone al costo di una disintegrazione umana e sociale.
La coazione al progresso illimitato, dunque, è un immanente impulso che si ripercuote – a prescindere della volontà del singolo – sull’intera società. L’incalzante concorrenzialità capitalistica ha ricoperto di prestigio prometeico la tecnologia che da mezzo è stata innalzata a fine: la vera destinazione dell’umanità.
Non a caso la mitologia aziendale e la pornografia emotivo-individualistica, intrise di retorica etnocentrica e pseudo-scientifica, hanno fatto sì che proliferassero modelli plagianti e irraggiungibili d’efficienza, di auto-realizzazione e di benessere, e che ovunque venisse esaltata la cultura del successo, dell’ottimismo motivazionale e dell’abnegazione. Con ciò si è consolidata la convinzione secondo cui la ricchezza e la povertà, la salute e la malattia fossero condizioni imputabili esclusivamente al singolo. Le immagini identificative dell’essere umano «perfettibile» del capitalismo manageriale sono invadenti e propongono alla persona che ne accetta la disciplina un progetto che non mira ad altro che alla sua felicità. In realtà la vita è scandita senza sosta dal rintocco della triste certezza d’essere in difetto, così si evidenzia l’irriducibile distanza che separa il singolo dalla norma dominante. Una costante negazione della propria realtà in nome di un «dover essere».
La generale precarietà esistenziale e tutte le altre contraddizioni dell’attuale civiltà vengono ascritte esclusivamente alla sfera privata: il tracollo della dimensione social-politica viene traslato a detrimento della dimensione psicologica-individuale.
La positivizzazione e la tecnicizzazione del mondo hanno non solo stigmatizzato le fragilità umane bensì hanno determinato nuove forme di violenza sistemica sia fisiche che mentali: l’essere umano de-politicizzato nel suo complesso si è trasformato in una macchina da prestazione. Il capitalismo cronofago si propone come società delle libertà e dell’edonismo senza limiti, di conseguenza il soggetto medesimo si evolve in funzione del principio di libera volontà individuale, ma la fatale dialettica della libertà si capovolge originando nuove costrizioni.
Il soggetto imprigionato nella derealizzazione è non solo del tutto svincolato dalle responsabilità verso l’Altrə, bensì scruta in quest’ultimə un antagonista. L’obbligo prestazionale lo costringe a realizzare sempre più prestazioni pur di raggiungere il profitto e l’Io-ideale così che non giunga mai a uno stadio di quiete e gratificazione. L’Io narcisistico, ossessionato dall’ingiunzione al benessere, investe quasi tutta la propria energia libidica verso sé, ciononostante la frattura tra ideale positivo e reale fallace lo conduce sia ad avvertire permanentemente un senso di mancanza e di colpa sia a distruggere ogni comunanza, ogni prossimità e ogni linguaggio relazionale difforme dai pattern di valorizzazione economica.
Insomma, il soggetto di prestazione logorato dalla lotta interiore e dall’assolutizzazione dell’essere-attivo si realizza sino alla morte: auto-realizzazione e auto-distruzione in tal caso coincidono. Affinché se ne perpetui la logica infernale, il capitalismo cronofago è passato in molti casi dallo sfruttamento esterno all’auto-sfruttamento, più efficiente e più produttivo soprattutto se edulcorato da un viscerale sentimento di libertà.
Il capitalismo cronofago annienta ogni forma d’intermittenza, ogni tempo del pensiero, elimina de facto il diritto di sognare e di generare prospettive alternative e di solidarietà. In nome del progresso impone un costante stato di disumanizzante transizione.
Dunque, l’anestesia permanente e l’omogeneizzazione emotiva e comportamentale che ne derivano rappresentano il trionfo totalizzante del capitalismo, tanto più radicale in quanto crea una percezione normalizzata degli eventi, una percezione che non si presenta con i tratti ideologici di una determinata ragione economica, ma come la natura stessa del mondo, come l’essenza immutabile dell’homo oeconomicus.
Capitalismo cronofago e Social Network
Poche corporation (Facebook, Google, Amazon, Apple, Microsoft) detengono e governano il monopolio globale dell’informazione digitale e delle propaggini tecnologiche. Sono tout court delle agenzie d’intelligence, fautrici della biopolitica softwerizzata. Il meta-continente virtuale, popolato da circa tre miliardi di utenti standardizzati, è costantemente monitorato e prevede una proficua acquisizione commerciale e prossemica dei flussi di dati digitali. Maggiore è il numero d’utenti e il tempo medio trascorso sulle piattaforme digitali, maggiori sono i profitti.
Le corporation del web monetizzano attraverso lo sfruttamento del lavoro gratuito e volontario fornito dalle community di spettri digitali alla ricerca di maggiore sociabilità e di stimoli. L’impellenza del riconoscimento sociale costringe l’utente a trasformarsi in una merce di tendenza. Apparenza, assuefazione e simulazione sono aspetti inscindibili dell’universo proteiforme e iper-connesso, pertanto l’utilizzo spasmodico di smartphone, tablet et similia, e la conseguente reduplicazione del sé in un alter ego digitale e le protratte interazioni online incorporano, al di là d’ogni suggestione, una condizione oggettiva di sudditanza e sopraffazione.
Dunque, gli elementi più preziosi al mondo non sono il petrolio, né l’oro e nemmeno l’energia, bensì – come aveva già intuito il Papato – sono il tempo e l’immaginario degli umani. La prospettiva offerta dai social network soddisfa apparentemente due bisogni primari profondissimi: il bisogno di legami e il bisogno di essere-nel-mondo. È attraverso ciò che il capitalismo cronofago drena tempo, danaro ed esercita il proprio dominio.
Ma le effimere aggregazioni connettive e la profilazione di sé distorcono la percezione della realtà ed estromettono la dimensione corporea e affettiva. Difatti, la soggettività virtuale, manifestandosi indiretta e deterritorializzata, deve di continuo essere reinventata e spettacolarizzata in modo d’avere l’approvazione d’una platea anonima di voyeurs. In tale pandemia di narcisismo e auto-reificazione dilagano, quindi, incertezza e desolazione. Inoltre, le principali conseguenze dovute alla dipendenza da internet sono i disturbi del sonno e da deficit di attenzione, patologie come ansia e depressione e il deterioramento dei rapporti umani. È palese: l’idea di progettare e rimaneggiare la costituzione dell’umano non è più una fantasia.
Jonathan Crary nel suo libro 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno, scrive: «I sistemi di mercato 24/7 e un’infrastruttura globale concepita per forme di produzione e consumo senza limiti sono già una realtà da tempo, ma ora si tratta di costruire un soggetto umano che possa adeguarvisi in modo sempre più completo».
Il tempo di vita viene eternizzato in un presente a-storico, nel frattempo il capitalismo cronofago fagocita insaziabilmente un futuro al momento inimmaginabile.
Gianmario Sabini
Grazie. Essermi imbattuta in questo tuo scritto è stata una risposta ai miei stati depressivi/lavorativi. Sono alla ricerca di un aiuto da dare a quanti capitano in biblioteca per alternanza scuola/lavoro. Mi domando se non si possa invertire lavoro/scuola…obbligando i vari dipendenti a leggere e studiare …
grazie di nuovo
lauradaniela tusa