Il giorno tanto non atteso dai cittadini di Hong Kong è sfortunatamente arrivato: la legge sulla sicurezza nazionale è stata approvata. Autorizzata in gran segreto, senza essere sottoposta al consiglio legislativo cittadino di Hong Kong, e annunciata l’entrata in vigore a partire dal 1° luglio, giorno del 23esimo anniversario del ritorno dell’ex colonia britannica alla Cina. Una coincidenza non casuale che segna drasticamente il destino di Hong Kong.
La legge comprende 66 articoli ed è stata inserita nell’Annex III della Basic Law, la mini-costituzione che regola il rapporto tra Hong Kong e Pechino.
Alcuni di questi articoli sanciscono che «nessuna istituzione, organizzazione o individuo nella Regione deve contravvenire a queste disposizioni nell’esercizio dei propri diritti e libertà», «[…] Il governo della Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong deve acquisire misure adatte a rafforzare la comunicazione pubblica, la guida, supervisione e regolazione degli affari che concernano la sicurezza nazionale, includendo quelle che regolano le scuole, le università, le organizzazioni sociale, i media e internet», «la Regione Speciale Amministrativa di Hong Kong deve promuovere l’educazione nazionale nelle scuole e nelle università attraverso organizzazioni sociali, i media, internet e altri per sensibilizzare i residenti di Hong Kong sulla sicurezza nazionale e degli obblighi da rispettare secondo la legge».
Non è difficile capire che questa legge renda la Regione Speciale non più “un paese, due sistemi”, ma un solo sistema, quello del Partito Comunista Cinese.
Sebbene Carrie Lam, vertice esecutivo di Hong Kong, abbia cercato di rassicurare la popolazione, in molti hanno compreso la gravità e stanno protestando con regolare intensità dall’estate 2019. Dopo solo un’ora dall’approvazione definitiva della legge sono stati arrestati oltre 300 manifestanti. L’applicazione della National Security Law è stata giuridicamente rilevante per sedare le proteste: è stato riportato dalla polizia, su Twitter, che un uomo è stato arrestato perché aveva una bandiera pro-indipendenza di Hong Kong durate una protesta, per poi scoprire che in realtà si trattava di una bandiera contro l’indipendenza del paese. Inoltre, è stato reso noto che 30 persone sono state arrestate perché assembrate illegalmente, contravvenendo ai nuovi provvedimenti.
La reazione estera e la determinazione della Cina
Non sono tardate le reazioni dei vertici della politica estere sulla faccenda. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo, dettosi fin da subito contro la legge di estradizione, ha anticipato le mosse cinesi revocando lo statuto speciale di cui gode Hong Kong in America, posizione che ha aiutato molto la Cina a preservare il ruolo della città come piattaforma di ingresso degli investimenti e perno della finanza internazionale e nazionale. Una decisione politicamente dirompente, quella del segretario americano, che si stringe agli hongkonghesi ormai non più liberi ma nelle mani della Cina, che ha preso a modellarla a immagine e somiglianza della Repubblica Popolare.
Il Regno Unito auspica che la Cina rispetti le libertà e i diritti di Hong Kong, e minaccia provvedimenti si. Il portavoce del primo ministro inglese Boris Johnson ha dichiarato che stanno monitorando la situazione da vicino: «Il Regno Unito si impegna a sostenere l’autonomia di Hong Kong e rispettando il modello “un paese, due sistemi”».
Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel vuole che la Cina rispetti l’autonomia della Regione. La questione, comunque, verrà discussa al prossimo incontro dei ministri Esteri dell’UE, per arrivare ad una posizione comune.
Dal canto suo, la Cina dell’inflessibile Xi Jinping ha ribadito che considera qualsiasi intromissione estera nelle vicende di Hong Kong, considerata a pieno titolo una regione della madrepatria, inammissibile e finalizzata ad indebolire il paese e la sua rinascita economica e politica. I manifestanti per la democrazia, sarebbero il prolungamento di una cospirazione straniera anti-cinese, e sarebbero da processare per sedizione e minaccia all’interesse nazionale.
La reazione dei partiti pro-democrazia a Hong Kong
Ciò che temono gli attivisti pro-democrazia è che non solo la legge verrà appunto adoperata contro gli oppositori del governo, ma porterà via con sé, inesorabilmente, ai cittadini la libertà di parola, espressione e protesta.
Joshua Wong, attivista hongkonghese e cofondatore del movimento Demosisto, ha commentato su twitter «Pechino ha approvato la legge sulla sicurezza nazionale. Questo segna la fine di quell’Hong Kong che il mondo conosceva», per poi annunciare le sue dimissioni dal movimento per la democrazia, scioltosi poco dopo.
Dall’approvazione della legge, gli attivisti pro-democrazia sono sotto continua osservazione dagli organi di governo e monitorati dalla polizia. Segno che la loro libertà si sta restringendo sempre di più e che non mancherà molto agli arresti di massa.
L’unica speranza per invertire le tendenze in atto sarebbero state le elezioni, che sono però state rinviate di un anno, ufficialmente per l’emergenza Covid-19 e l’assenza di alcuni elettori cinesi bloccati in altri paesi. Questo è quello che vuol far credere il governo di Hong Kong che, considerata la crescita elettorale dei promotori della democrazia (che rappresenta il 60% della popolazione ed esprimerebbe verosimilmente la maggioranza dei suffragi) soprattutto dopo l’approvazione della legge, hanno sentito il dovere di arrestare il processo elettivo per evitare una sconfitta. Essendo l’appuntamento con il voto non rinviato, ma esplicitamente cancellato, il Congresso Nazionale potrebbe decidere di formare un governo provvisorio formato da legislatori pro-Pechino. I 22 parlamentari democratici hanno dichiarato di opporsi al rinvio, poiché questo equivale a far saltare le basi giuridiche del territorio.
Non solo, le Forze dell’Ordine di Hong Kong hanno emesso un mandato d’arresto per sei attivisti pro-democrazia all’estero accusati di aver violato la nuova legge di sicurezza nazionale. Tra loro troviamo Nathan Law, uno dei promotori di Demosisto, Simon Cheng, ex dipendente del Consolato Britannico a Hong Kong scappato dalla regione nel 2019, Samuel Chu, Organizzatore Nazionale per MAZON, figlio di uno degli organizzatori del “movimento degli ombrelli”, e gli attivisti pro-indipendenza Ray Wong, Lau Hong e Wayne Chan.
Il governo della Regione autonoma sta cercando di cancellare quel poco di libertà rimasta alla popolazione, diventando un tutt’uno con la Cina continentale e il Partito Comunista Cinese. Gli attivisti e la popolazione non smetteranno di combattere perché meritano di autodeterminarsi ed essere liberi.
Gaia Russo