Per i cittadini del mondo occidentale capitalistico, andare al supermercato è un atto che implica l’abitudine di avere a portata di mano tutto ciò di cui abbiamo voglia o bisogno. Si tende tuttavia a dimenticare che non tutti i prodotti che consumiamo sono uguali dal punto di vista ambientale e che alcuni hanno un impatto molto maggiore di altri, perché ad esempio vengono importati da Paesi lontani o perché la loro produzione intensiva porta allo sconvolgimento di interi ecosistemi. La deforestazione tropicale ne è un esempio.
Non a caso, da qualche anno si parla anche di climatariani, persone che basano la propria dieta solo su cibi prodotti in modo sostenibile. Per la stessa ragione, si fa sempre più intenso il dibattito sulle etichette climatiche, uno strumento pensato per informare i consumatori circa l’impatto ambientale dei prodotti che acquistano. L’idea di base è che se le persone conoscessero le conseguenze ambientali delle loro scelte, probabilmente acquisterebbero prodotti meno impattanti sull’ambiente. Tuttavia non sarebbe giusto far ricadere la responsabilità solo sulle scelte di acquisto dei singoli cittadini, perché la sostenibilità è un tema politico, non solo economico.
Va in questo senso la denuncia del nuovo report del WWF, secondo cui nel 2017 l’Unione Europea, subito dopo la Cina, è stata il secondo maggiore importatore di «deforestazione incorporata nei prodotti». Con il termine «deforestazione» si intende la distruzione o il ridimensionamento di boschi e foreste per favorire lo sviluppo di attività umane, come per esempio la coltivazione o l’allevamento. Il fenomeno coinvolge circa 13 milioni di ettari di foreste ogni anno, con conseguenze gravi per il clima: da una parte infatti è responsabile di emissioni di gas serra, dall’altra è una minaccia per tutte le specie viventi che nelle foreste tropicali trovano il proprio ecosistema.
I prodotti maggiormente responsabili della deforestazione tropicale sono beni di largo consumo come soia, olio di palma e carne bovina, oltre a prodotti in legno provenienti da piantagioni, cacao e caffè. Per la loro produzione, insieme alle foreste, vengono distrutti anche altri ecosistemi come le praterie, le savane e le zone umide al fine di soddisfare una domanda crescente. Nel periodo tra il 2005 e il 2017, l’Unione Europea è stata responsabile per la deforestazione tropicale e la conversione di 203.000 ettari di terreni e foreste naturali, che hanno portato allʼemissione di 116 milioni di tonnellate di CO2. In percentuale, l’UE ha causato il 16% della deforestazione connessa al commercio internazionale, superando India (9%), Stati Uniti (7%) e Giappone (5%).
Le foreste ricoprono quasi un terzo della superficie terrestre totale, ospitano più della metà delle specie esistenti in tutto il mondo, svolgono un’azione fondamentale nell’assorbimento dell’anidride carbonica e sono dei punti di riferimento per numerose comunità locali. La deforestazione è una minaccia reale perché aumenta il rischio di distruggere questi benefici: le emissioni di carbonio aumentano, mentre le foreste vengono distrutte e incendiate per garantire risorse a sistemi alimentari che diventano sempre più insostenibili.
In assenza di un’azione collettiva decisa, la deforestazione continuerà ad aumentare: attualmente il WWF individua 24 «fronti di deforestazione», aree dell’America Latina, dell’Africa subsahariana, del Sud-est asiatico e dell’Oceania dove il fenomeno della deforestazione è particolarmente presente. Quasi la metà della foresta che si trova in queste aree è stata rimodulata o trasformata, diventando così più incline agli incendi.
A contribuire all’aumento della deforestazione non è solo la necessità di adibire nuove aree all’agricoltura e alle piantagioni intensive: anche la creazione di strade e infrastrutture, così come le attività estrattive rappresentano una forte minaccia per gli ecosistemi, perché rendono queste aree più appetibili da un punto di vista economico e speculativo, moltiplicando così il rischio di creare nuova deforestazione.
Qualche soluzione, forse, c’è già. Per ridurre l’impronta ecologica dell’Unione Europea, il WWF invita a pensare a una proposta di legge che impedisca a qualunque prodotto riconducibile alla trasformazione degli ecosistemi di entrare nei mercati dell’Unione Europea. In questo modo la politica metterebbe un argine alle logiche di espansione economica, poco attente alla tutela degli ecosistemi: bannando i prodotti direttamente o indirettamente responsabili della deforestazione, si comincerebbe a circoscrivere il fenomeno. Resta da vedere se le istituzioni europee accoglieranno la proposta.
Valeriano Musiu