Le promesse del presidente del Messico Enrique Peña Nieto di rafforzare le misure di sicurezza per proteggere i giornalisti e il loro prezioso lavoro d’inchiesta non sono servite a chiudere il sipario sui preoccupanti e sempre più frequenti assassinii di membri della stampa per mano dei narcos.

Pochi giorni fa l’Università Iberoamericana di Città del Messico  ha rilasciato un comunicato in cui denunciava il silenzio delle autorità rispetto non solo all’aggressione e all’intimidazione di numerosi giornalisti, ma persino sui mancati provvedimenti per i loro assassinii. Secondo il dipartimento di Comunicazione dell’Università e il suo programma PRENDE (tradotto Programma Stampa e Democrazia), vi sarebbe una mancanza di volontà totale da parte degli organi politici di chiarire quali siano le reali cause e ragioni di questa feroce violenza nei confronti dei giornalisti; il silenzio istituzionale avrebbe portato secondo il PRENDE a un aumento esponenziale degli omicidi per mano dei narcos e, data l’impunità degli assassini, il loro perpetuarsi e perfino normalizzarsi per le strade della città.

Sono approssimativamente 126 i giornalisti morti assassinati in Messico tra il 2000 e il 2017. Omicidi di cui lo Stato messicano ha riconosciuto l’effettività solo quest’anno, in seguito alla morte di uno dei giornalisti d’inchiesta più attivi e conosciuti nella lotta contro il narcotraffico: Javier Valdez.

Javier Valdez era un referente prezioso per la comprensione del narcotraffico nella regione di Sinaloa. Fondatore  insieme ai colleghi e amici Ismael Bojórquez e Alejandro Sicairos del giornale RioDoce, all’interno del quale curava un editoriale settimanale sulla forza culturale del narcotraffico nella regione, ai fini di sottolineare come la società, più che il Governo, fossero responsabili del potere dilagante del narcotraffico nella regione di Sinaloa.

I contatti di Valdez nel mondo del narcotraffico erano numerosissimi, così come sono state numerose e continue le sue inchieste sul cartello di Sinaloa; era in particolare il suo lavoro attento nel maneggiare le testimonianze delle vittime del narcotraffico, evitando di compromettere la loro sicurezza, che lo resero apprezzato e stimato da tutti i suoi colleghi. Il suo assassinio avvenuto in pieno giorno per la strada, a pochi passi dalla sede del RioDoce, ha portato migliaia di giornalisti e cittadini a protestare per le strade di tutto il Paese, compresa Città del Messico e le capitali di Jalisco, Veracruz, Quintana Roo e Guerrero.

Valdez è solo l’ultimo nome che si aggiunge a una lista sin troppo lunga di giornalisti assassinati da diversi cartelli dei narcos. Il motivo di tutta questa violenza e soprattutto del silenzio istituzionale sembra essere evidente: tutti i giornalisti assassinati avevano esercitato la loro libertà d’espressione nel modo che ritenevano più corretto: cercando di difendere il loro Paese dalla criminalità organizzata dei narcos, raccontando le loro storie, i loro legami con la politica, la loro forte influenza sociale, i loro brutali assassini, eccetera.

Si potrebbe citare quanto scoperto dalla giornalista Miroslava Breach, che aveva fatto luce sul dislocamento di migliaia di contadini della sierra Tarahumara, obbligati a piantare papavero da oppio prima dell’arrivo dei vari cartelli e successivamente cacciati dalla loro terra; o si potrebbe parlare della coraggiosa denuncia sempre della Breach dei rapporti dei più grandi partiti del Messico, il PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale) di sinistra e il PAN (Azione Nazionale) di destra, che avevano incluso nelle loro liste elettorali membri dei vari cartelli narcos come candidati sindaci di paesi, città e provincie.

L’UE si unisce al coro di sdegno internazionale e richiede l’apertura immediata di un’indagine sulla morte di tutti questi giornalisti, per cui non è ancora stato rintracciato nessun colpevole, nemmeno tra gli esecutori materiali dei delitti. La portavoce dell’UE ha ribadito che tutte queste morti irrisolte farebbero del Messico uno dei Paesi più pericolosi al mondo per l’esercizio della professione giornalistica.

Il governo federale in risposta alle preoccupazioni internazionali avrebbe ribadito più volte che gli abusi e i delitti perpetuati contro i giornalisti non rappresenterebbero un attacco alla libertà d’espressione, dunque non “meriterebbero” l’attenzione del governo federale, ma andrebbero lasciati alle indagini della polizia. Di tutti i casi di giornalisti assassinati dal 2000 ad oggi, solo otto sono stati investigati dai federali, e solo uno è stato risolto.

La crisi della libertà d’espressione in Messico, attualmente situato tra l’Afghanistan e la Somalia per quanto concerne la libertà d’espressione dei mass media, è da considerarsi gravissima non solo per l’assassinio rimasto impunito di tutti questi giornalisti, ma anche per il 98% degli omicidi in generale ad opera dei narcos che resta impunito. La delinquenza, la corruzione e l’indifferenza colpiscono tutti i settori della pubblica amministrazione; il fatto di lasciare impuniti delitti che colpiscono al cuore la libertà di stampa è solo a detta di molti il primo passo per distruggere la democrazia del Paese.

Sara Bortolati

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