Con la metafora del tubo che perde, “leaky pipeline“, si fa riferimento all’immagine del progressivo abbandono delle carriere scientifiche da parte delle donne, le quali pur avendo avviato, e spesso concluso, percorsi di studio all’interno di corsi di laurea scientifico-tecnologici (meglio conosciuti come STEM), al termine degli stessi non riescono ad occupare posizioni lavorative rilevanti.
Diverse sono state le ipotesi formulate nel corso degli anni al fine di individuare le ragioni alla base del gender gap: la maggiore attenzione posta dai docenti uomini, maggioranza nelle istituzioni universitarie, esclusivamente agli studenti maschi; la necessità di formare persone che posseggano un’attitudine al ragionamento analitico e sistematico, competenza che tradizionalmente si ritiene maschile; la durata dei ritmi lavorativi, che sembrerebbero eccessiva per una donna.
Le diverse opportunità
In un’intervista all’Agi, la docente di Fisica nucleare presso l’Università degli Studi di Milano Alessandra Guglielmetti ha cercato di fornire una risposta al perché nel mondo scientifico non ci siano donne ai vertici e sia forte il fenomeno del gender gap. Sostiene che «fra gli iscritti alla facoltà di fisica le donne non arrivano al 50%. In compenso i loro risultati, in termini di punteggi e di tempi di completamento degli studi, sono spesso migliori e ci sono tantissimi test che dimostrano che le donne e gli uomini hanno sì caratteristiche diverse, ma complementari e che non c’è nessuna evidenza di maggiori o minori capacità nelle materie scientifiche legate al genere».
E che se in Italia solo 3 tra i 71 docenti ordinari sono donne, la ragione ha a che fare con gli impegni familiari: «Non solo come madri, ma anche come figlie, perché spesso l’assistenza degli anziani ricade su di loro. Il nostro mestiere richiede una grande disponibilità anche a viaggiare all’estero e anche per lunghi periodi, per convegni e lavoro di sperimentazione in laboratori internazionali: questo per molte diventa un ostacolo» – ma anche che si tratta di un problema – «che viene dall’educazione. Gli stereotipi di genere creano opportunità diverse per maschi e femmine, fin da bambini. Questo varia moltissimo fra paese e paese, e spesso, all’interno di uno stesso paese, anche fra una grande città e la provincia o fra regioni diverse».
Oggi solo poco più del 30% delle donne opera nel campo dell’Intelligenza artificiale, il 14% è invece coinvolto nel cloud computing (tecnologia informatica che elabora e archivia dati in rete), nella scienza, nell’ingegneria e nella matematica. Lo stesso Mario Draghi, al termine di una visita effettuata presso i laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) del Gran Sasso, ha affermato che soltanto 1 ragazza su 5 oggi sceglie di dedicarsi allo studio delle discipline STEM.
Il fenomeno del gender gap nel mondo scientifico è stato al centro di uno studio effettuato da un gruppo di scienziati dell’Università dell’Illinois negli Stati Uniti, da cui è emerso che la responsabilità della graduale riduzione del numero di donne operanti in ambito scientifico e tecnologico sia da attribuire alla stereotipizzazione di genere e alla costruzione di un’ideologia discriminatoria, secondo cui il talento non appartiene alle donne, nonostante esse rappresentino il 35% delle persone laureate tra i 25 e i 34 anni d’età. La sottorappresentazione femminile colpisce le ragazze fin dall’infanzia, attraverso l’attuazione di un processo di svalutazione del loro interesse e delle loro competenze in ambito scientifico e matematico, comunemente identificate come abilità prettamente maschili.
Mind the STEM Gap
Il fenomeno è dilagante anche fra gli stessi addetti ai lavori, i quali si concedono il lusso di estremizzare la propria posizione, reclamando il diritto a non lasciare alle donne la possibilità di prendersi ciò che vogliono. Ne è una testimonianza il discorso pronunciato da Alessandro Strumia, fisico dell’Università di Pisa, che nel corso di una presentazione tenutasi durante il convegno “High Energy Theory and Gender” al CERN di Ginevra ha dichiarato: «La fisica è stata inventata e costruita dagli uomini, non si entra per invito», insinuando che le colleghe donne scavalchino i colleghi maschi nel raggiungimento di determinate posizioni lavorative. Un’ingiustizia di cui lui stesso è stato vittima quando l’INFN lo ha esonerato dall’assunzione, optando piuttosto per due ricercatrici e da cui non sembrano esonerati nemmeno gli studenti maschi delle Università italiane, dove a beneficiare delle borse di studio in materie scientifiche sono, appunto, le studentesse. Dichiarazioni che gli sono costate la sospensione immediata dall’INFN e alle quali ha prontamente replicato il CERN prendendo le distanze e definendosi un ambiente lavorativo intento a promuovere «l’uguaglianza a tutti i livelli».
Ma le dichiarazioni di Strumia e le conseguenti azioni messe in atto dall’INGN e dal CERN, pur risalendo al 2019, non hanno appianato il fenomeno del gender gap, che ancora oggi è al centro di numerosi dibattiti politico-sociali. Presa coscienza della necessità di fornire al pubblico gli strumenti per comprendere e superare la contraddizione uomo-donna, da un’idea di Diana Bracco de Silva, imprenditrice, presidente e AD, la Fondazione Bracco ha ideato il Manifesto “Mind the STEM Gap“, di cui sono state proposte tre versioni: il manifesto delle ragazze (e dei ragazzi); il manifesto in famiglia; il manifesto a scuola.
Al progetto è stato inoltre dedicato un apposito sito web, al quale è possibile accedere liberamente, aderire attraverso una firma e visualizzare le proposte da cui partire per la formazione di un ambiente lavorativo inclusivo: impegnarsi nel riconoscimento, nella comprensione e nella messa in discussione degli stereotipi di genere; modificare il proprio linguaggio; alimentare nei propri figli e nelle proprie figlie, nonché nei propri studenti e nelle proprie studentesse, il sentimento della fiducia in sé. Da luglio a ottobre 2022 il Manifesto è stato proiettato nel Giardino Giancarlo De Carlo della Triennale di Milano con un’esperienza interattiva dal nome Mind the STEM Gap – A Roblox Jukebox, che coinvolgeva sia bambini che bambine, dai 10 anni in su, e permetteva loro di dedicarsi a giochi di diverso livello, a ciascuno dei quali era attribuito un sapere scientifico, dalla fisica all’astronomia.
L’educazione per contrastare la stereotipizzazione
È necessario ripartire da un’educazione di genere e da una maggiore comprensione dei limiti che impongono alla società di strutturarsi patriarcalmente e di permettere il reiterarsi di fenomeni discriminatori quali il gender gap. Il percorso, tuttavia, deve essere accompagnato dall’attuazione di soluzioni che incentivino il mondo scientifico ad accogliere figure femminili e che al contempo spingano bambine, bambini, giovani ragazze e giovani ragazzi a non classificare le proprie competenze, a non coltivare l’idea che esista un talento femminile e un talento maschile, un ambiente nel quale poter entrare ed un ambiente nel quale l’ingresso ha a che fare con la propria natura biologica. Le competenze si acquisiscono con il tempo, ma perché esse possano formarsi è necessario che ciascun individuo sia consapevole di avere innumerevoli possibilità e non opportunità circoscritte al proprio sesso.
Arianna Lombardozzi