Prendete due ragazzini, due fratelli, dategli un pallone e fateli scendere in strada, nella Napoli degli anni ’80. Risultato? Quasi sicuramente quei due fratelli diventeranno calciatori professionisti. Inizieranno dal Napoli per poi provare a diventarne una bandiera o, eventualmente, spiccare il volo verso altre mete. È quello che è accaduto ai fratelli Cannavaro, napoletani doc, eccellenti simboli del calcio partenopeo.
La carriera di Fabio iniziò proprio a Napoli, a casa sua, all’ombra del Vesuvio, ma è stato altrove che è diventato Capitan Cannavaro. A Parma, giovanissimo (dal ’95 al 2002) ha vinto Coppa Uefa, Coppa Italia e Supercoppa italiana. Meno fortunata l’esperienza all’Inter, dal 2002 al 2004, ma decisamente positiva quella alla Juventus, la prima (2004-2006). La seconda (2009-2010) arrivò in un momento difficile tanto per lui quanto per la squadra. Al netto di tutte le controversie che coinvolsero i Bianconeri, Cannavaro a Torino si consacrò definitivamente come l’eccezionale difensore centrale che riuscì a consegnare la propria Nazionale alla storia, portandola al successo della Coppa del Mondo nel 2006. Roccioso, agile, eccezionale nelle marcature nonostante l’altezza piuttosto limitante per un difensore centrale (appena 176 cm). Se si dovesse descrivere Fabio Cannavaro in una frase, quella sarebbe la telecronaca dell’intervento da cui fece partire il contropiede per il gol di Del Piero nella Semifinale di Dortmund del Mondiale 2006. Tempismo, grinta, tecnica: Cannavaro è stato il prototipo del capitano vecchio stampo, con il numero 5 dietro le spalle e la fascia cucita sul braccio. Furono queste caratteristiche a condurlo alla vittoria del Pallone d’Oro nel 2006, doverosissimo riconoscimento di un Mondiale strepitoso. Decise di abbandonare la Juventus dopo lo scandalo Calciopoli per approdare a Madrid, sponda Real, e portare la propria carriera sulle vette più elevate. In maglia blanca 118 presenze tra campionati e coppe e una sola rete, in Supercoppa di Spagna, nel 2007, nell’edizione persa contro il Siviglia. Il Madrid la vinse, in ogni caso, l’anno successivo a scapito del Valencia.
Attualmente Fabio allena il Guangzhou Evergrade, coadiuvato dal fratello Paolo, più giovane di lui di otto anni. Il percorso di quest’ultimo è stato alquanto diverso rispetto a quello del campione del mondo ex Juventus. Paolo a Napoli ci è stato una vita, dal ’95 al ’99 e poi dal 2006 al 2014. Nel mezzo Parma (’99-2001 e 2002-2006) e Verona. In maglia azzurra, quella partenopea, sia chiaro, è diventato un simbolo. Quello dell’attaccamento al territorio, della rinascita e della successiva conquista di grandi traguardi. Dalla Serie B alla Champions League, Paolo c’è stato, sempre. Ciò che lo ha portato a lasciare la sua Napoli è stato un mero fattore di necessità. Gli Azzurri si stavano avviando verso vette troppo importanti per un giocatore che ormai si avvicinava ai 34 anni. Nonostante ciò, la sua carriera è stata chiusa in maniera dignitosissima a Sassuolo, dove è stato, con Acerbi, il perno di una difesa che ha dato grandi soddisfazioni ai tifosi neroverdi. Resta il rimpianto di una Nazionale che non ha mai puntato su di lui, neanche lontanamente, a differenza di Fabio che detiene il record di presenze con la maglia dell’Italia: 136!
Vincenzo Marotta