Il Muro di Berlino, trent'anni dopo: macerie e ostalgie
Fonte: rarehistoricalphotos.com

Uno degli eventi più significativi del XX Secolo compie trent’anni, tra festeggiamenti e ostalgie: il 9 novembre del 1989, il Muro di Berlino si sgretolava sotto i colpi delle primavere democratiche nel Blocco Sovietico. A raderlo al suolo non furono tanto i martelli, i detonatori e le ruspe, quanto il desiderio profondo di cambiamento e apertura nell’allora mondo comunista. Il muro collassava, e si inneggiava alla libertà.

Quale libertà? La propensione umana verso di essa è tanto connaturata e intrinseca, quanto di utopistica concretizzazione. La libertà e l’oppressione, soprattutto, non si dividono mai con un taglio così netto che in ogni parte si abbia soltanto dell’una o dell’altra, per parafrasare Alessandro Manzoni, acuto osservatore storico oltre che uomo di lettere.

Delle macerie del Muro di Berlino è stata troppo spesso raccontata solo una parte della storia, quella dei vincitori, più rassicurante e, alla luce dell’oggi, meno significativa per la contemporaneità.

A Est e a Ovest del Muro di Berlino

All’anagrafe Antifaschistischer Schutzwall, “barriera di protezione anti-fascista”, più prosaicamente conosciuto come “Il Muro di Berlino” (in lingua tedesca Berliner Mauer), non è mai stato, fin dagli albori della sua costruzione, un semplice sistema di fortificazioni, lastre di metallo, cemento, bunker e armamenti militari. Emblema di un’epoca, quella della Guerra Fredda, che oggi appare lontana e irreale, e mito fondativo della contemporaneità post-ideologica, la definizione più appropriata e convincente è quella di confine tra due mondi incomunicabili.

Da una parte il Blocco Comunista-Orientale, dominato all’egemonia dell’Unione Sovietica, nella sua propaggine tedesco-orientale per l’esattezza, dall’altra un’exclave della Germania federale e del Blocco Liberale-Occidentale, guidato dagli Stati Uniti. La dicotomia che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento si condensava in un luogo particolarmente angusto e claustrofobico: una linea fortificata che attraversava e circondava Berlino rispettivamente per 45 e 170 Km.

Il Muro di Berlino ostalgie
Street Art all’East Side Gallery. Fonte: Dr Santa

Il Muro viene innalzato nel 1961 per ragion di stato, nel contesto del conflitto latente tra le due superpotenze: tamponare la vistosa emorragia di cittadini dall’Est all’Ovest, limitare lo spionaggio, controllare i confini più sensibili d’Europa. L’edificazione del complesso, rafforzato e ampliato nel corso degli anni, ha conosciuto immediatamente un’eco mediatica di risonanza internazionale, suscitando sentimenti di vivo sconcerto e avversità nell’opinione pubblica di qualsivoglia orientamento ideologico o appartenenza nazionale. Anziché difendere il Blocco Sovietico, ne ha compromesso la credibilità, ne ha distrutto l’immagine, ne ha mostrato le faglie e la fragilità.

L’esito, forse naturale, è stato il suo collasso, che ha rovinosamente trascinato con sé quanto restava del comunismo, ha chiuso un’epoca e lasciato orfana, e pentita, del proprio riferimento politico e culturale la sinistra marxista e non.

Le Macerie e l’Ostalgie

La narrazione che si è imposta della caduta del Muro che ha diviso la Germania e il mondo ha assunto i contorni epici dello scontro tra bene e male, sfociato nel trionfo definitivo della libertà: “il migliore dei mondi possibili” contro “l’impero del male”. Si tratta di una dicotomia forse rassicurante, ma sicuramente semplicistica, criminalizzante fino alla ridondanza e storicamente inaccurata, a uso e consumo mediatico-politico del reaganismo e delle destre liberiste. Del resto «le bugie dei vinti vengono smascherate, quelle dei vincitori diventano storia».

Per superare le semplificazioni grossolane e inservibili, si può provare ad avventurarsi in un’operazione di particolare utilità e interesse speculativo, evitando retoriche stucchevoli e stantie sul mondo libero e riunito. La dittatura pervasiva, la brutale polizia segreta (STASI), le vistose inefficienze economiche e le vittime della cosiddetta “striscia della morte” (133 decessi accertati, dal 1961 al 1989, mentre tentavano di attraversare le fortificazioni) sono fatti arcinoti e tragici. Ma quando si parla della caduta del Muro non si può ridurre il dibattito ai minimi termini, assurgendosi a tribunale della storia per assolvere o condannare.

Il bacio fraterno socialista tra il sovietico Brezhnev e l’ost-tedesco Honecker (AP Photo/Helmuth Lohmann/stf)

Se non è possibile provare nostalgia del Muro di Berlino in sé, sicuramente provare ostalgie è tutt’altro discorso. Il fortunato neologismoostalgie” (da “Ost”, “Est”, e “Nostalgie”, “nostalgia”) descrive infatti un sentimento di rimpianto e di mancanza riguardo ad alcuni valori perduti della società comunista, parecchio diffusa nell’ex Germania Democratica: i vari sondaggi condotti dagli istituti demoscopici indicano che tra i tedesco-orientali una percentuale che oscilla tra il 49% e il 69% ritiene che la DDR avesse più aspetti positivi che negativi, a cominciare dalla sicurezza e dalla coesione sociale (lavoro, welfare, sanità e istruzione erano garantiti a tutta la cittadinanza), fino al senso di appartenenza alla comunità.

Tracciare un bilancio dettagliato di luci e ombre del socialismo reale non solo è operazione assai più controversa di quanto il revisionismo anti-comunista voglia raccontare, ma al di là delle mistificazioni mette di fronte al fatto inequivocabile che il socialismo tedesco non fosse un monolite di negatività e repressioni, a immagine e somiglianza dei blocchi di cemento delle fortificazioni della vecchia DDR. La diffusione dell’ostalgie racconta le contraddizioni e la complessità del blocco comunista, che riflettono quelle del mondo scaturito dall’abbattimento del celeberrimo Berlin Mauer, ben lontano dagli esiti da “Fine della Storia” ipotizzati da Fukuyama.

I muri non separano libertà e oppressione

Non è un caso, infatti, che alle contrapposizioni della Guerra fredda (“l’Era del muro“, si potrebbe azzardare) sia seguita quasi immediatamente “l’Era dei muri“. L’Homo Berlinensis è dicotomia ancora irrisolta.

Il Muro di Berlino è crollato da Est, ma le sue macerie sono cadute a Ovest, con tutta la loro gravosa significanza wincklemanniana: la loro presenza è un monito, non tanto dei fallimenti del comunismo e del trionfo del capitalismo, quanto dell’ambiguità di ogni sistema ideologico.

Se si stigmatizza e si appiattisce il Blocco Orientale, folclorizzando il fenomeno dell’ostalgie, per onestà intellettuale anche il sistema liberal-democratico occidentale dovrebbe essere associato ai suoi muri: quello tra Stati Uniti e Messico, quello tra Ungheria e Serbia, quello tra Israele e Territori Palestinesi. Quelli che ancora si frappongono invalicabili tra i diversi strati sociali oppure tra i diversi popoli del mondo e la giustizia, il benessere, la libertà, troppo spesso resi con concetti vuoti ed esclusivi.

Il Muro di Berlino ostalgie
Scena tratta dal film Goodbye Lenin!

La presunzione di immacolata superiorità del sistema del Capitalocene, tanto rafforzata dai fatti dell’89, ha comportato una completa e incosciente auto-assoluzione e l’assopirsi del pensiero critico. Conseguentemente ha sterilizzato e silenziato le alternative a sé stesso e il dissenso, a cominciare dalle sinistre, precipitando l’Occidente nella voragine distorsiva del pensiero unico liberale e liberista e della globalizzazione incontrollata.

Il risultato sono l’onnipresenza asfissiante del profitto, le endemiche disuguaglianze economiche e la disgregazione del tessuto sociale, e in pericolo sono le stesse democrazie, sotto i colpi edipici del populismo e del sovranismo. Un processo inverso rispetto a quanto avveniva a Est (che garantiva diritti sociali a discapito dei diritti civili), ma gravido dalle stesse conseguenze.

Dunque un’altra forma di totalitarismo, quella del mercato liberal-capitalista, perché generatore di sofferenze, assimilativa e repressiva di ogni ideale a sé contrario. Esso si impone con la forza, e ha costruito muri anche più insidiosi, violenti e pervicaci del Muro di Berlino. Il ricordo dei trent’anni dall’apertura di quei varchi tra Est e Ovest porta con sé un lascito frainteso, scomodo ma prezioso: la libertà e l’oppressione non sono intrinseche e autoescludenti, e nessun muro, ideologico o materiale, può tenerle separate. La ricerca di una società a misura d’uomo non è finita.

Luigi Iannone

Luigi Iannone
Classe '93, salernitano, cittadino del mondo. Laureato in "Scienze Politiche e Relazioni Internazionali" e "Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica". Ateo, idealista e comunista convinto, da quando riesca a ricordare. Appassionato di politica e attualità, culture straniere, gastronomia, cinema, videogames, serie TV e musica. Curioso fino al midollo e quindi, naturalmente, tuttologo prestato alla scrittura.

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