Le contemporanee democrazie occidentali sono ormai attraversate da un profondo malessere che trova origine in due processi convergenti: l’asfissiante dipendenza dalla finanza e dai mercati globali e il sentimento di sfiducia che investe i cittadini in una situazione di crisi – economica, politica, sociale e culturale – dalla quale scaturisce una sorta di delegittimazione della classe politica tradizionale, nonché il desiderio di cercare rassicurazioni e pensare di trovarle nei nuovi leader populisti dell’estrema destra, abili nel mirare dritto ai sentimenti degli elettori.
La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America potrebbe trovare riscontro proprio nel malcontento generale statunitense ma soprattutto nella paura: del terrorismo, degli immigrati, del diverso, di Wall Street.
Proprio dai leader populisti europei, infatti, arrivano le attese congratulazioni al nuovo presidente statunitense. In primis, la leader del Front National, Marine Le Pen, che twitta così:
Tralasciando cosa comporterebbe la vittoria di Trump nel mondo da qui in avanti (su cui già è stato detto tutto e niente), preferirei rapportare questo evento a due argomenti chiave della nostra politica nazionale: l’Italicum e la riforma costituzionale, che già in un articolo precedente ho ritenuto strettamente correlati tra loro.
Prima però di effettuare un’analisi del genere è necessario dire qualcosa sul sistema partitico statunitense. Come molti sapranno, negli USA vige un consolidato bipolarismo, vale a dire un sistema politico basato sulla presenza di due distinti blocchi, in questo caso due partiti, che si contendono, ad ogni elezione, il potere: il Partito Democratico e il Partito Repubblicano. Di conseguenza, un elettore indeciso, il quale magari non possiede nemmeno una consolidata identità ideologica, è tenuto a votare il cosiddetto “meno peggio”, ovviamente stando al suo punto di vista. E, in una fase come quella descritta all’inizio di questo articolo, molti consensi intercettati da Trump sono nati grazie al clima di insicurezza generale che travolge i cittadini.
È chiaro che il sistema partitico di un paese è direttamente riconducibile al sistema elettorale dello stesso. Duverger affermava nella sua legge che quanto più un sistema elettorale sarà di tipo maggioritario, tanto più si tenderà a creare un sistema partitico bipolare.
A tal proposito, che tipo di sistema partitico ci darebbe l’Italicum? Attualmente in Italia abbiamo un sistema tripolare formato essenzialmente da centrosinistra, centrodestra e M5S. Tuttavia, la nuova legge elettorale voluta dal governo Renzi darebbe un premio di maggioranza equivalente al circa 55% dei seggi parlamentari a chi riuscirà a raggiungere più del 40% dei consenso, o in alternativa, a chi vincerà il ballottaggio tra le prime due liste del primo turno. Tuttavia, è proprio in quest’ultimo caso che si andrebbe incontro al cosiddetto paradosso di Condorcet, ossia una sorta di lotteria dove, in un ipotetico ballottaggio tra PD-M5S, gli elettori del centrodestra, insieme a quelli dei partiti più estremisti, potrebbero schierarsi a favore dei pentastellati, creando, di conseguenza, un sistema bipolare formato da centrosinistra e tutto ciò che è l’opposto politico. Quindi, in sostanza, come afferma Gorelli, l’Italicum «converte forzatamente in una competizione bipolare» il nostro sistema triangolare.
È lecito domandarsi, in vista del costante ribollire di movimenti e partiti populisti di destra in Europa, a cosa potrebbe andare incontro la nostra democrazia con un sistema elettorale come appunto l’Italicum, allegato tra l’altro ad una riforma costituzionale mirata a garantire governabilità e, quindi, un potenziamento dell’esecutivo.
Attraversiamo una fase in cui viene meno il contrasto ideologico destra-sinistra, ma cresce la rottura sociale tra popolo ed élite dominanti politiche, economiche, finanziare, molto spesso oggi identificate dai populisti in un’unica parola: “casta”. La politica, dunque, è diventata anti-politica, una retorica tesa alla denuncia continua di un complotto ai danni dei cittadini.
I leader populisti, in tale panorama, dilatano la propria forbice di consenso, grazie anche al fatto che la “democrazia dei partiti”, esistente fino a qualche decennio fa, si è rapidamente trasformata in quella che viene definita “democrazia del pubblico”, uno spazio in cui gli attori politici – e non solo – hanno l’opportunità di stabilire un contatto diretto con gli elettori senza il filtro dei mezzi di comunicazione di massa tradizionali, come radio e tv.
L’esempio italiano più lampante è sicuramente il partito di Grillo, ma restando nella dimensione dei populismi di destra, mi soffermerei sulla Lega Nord, nata con Bossi come partito rappresentante di una porzione di territorio nazionale – la Padania – e divenuta con Salvini espressione di un consenso nazionale più ampio.
Infatti, difendere il Nord dall’arretratezza e dalla lentezza di crescita del Sud si è trasformato in difendere la nazione dagli immigrati e dalle politiche asfissianti dell’Unione Europea, aumentando notevolmente i propri consensi su tutto il territorio nazionale.
Attualmente Salvini non sembra ancora proiettato a competere realmente con i cosiddetti “partiti mainstream”, ossia tradizionali, ma immaginare in futuro prossimo un ballottaggio tra un partito tradizionale e un partito populista che, cavalcando l’onda della crisi, dell’insicurezza e della paura, riesca a far presa sugli elettori – come è appunto riuscito in modo clamoroso Trump negli USA – non è poi così utopistico.
Lo stesso Bersani, che è dichiaratamente contrario alla riforma costituzionale su cui voteremo al referendum del prossimo 4 dicembre, ha scritto sulla propria pagina Facebook: «Il voto americano parla anche di noi. Nel mondo ripiega la globalizzazione. Si affacciano protezionismi e pensieri aggressivi verso le persone e le merci di fuori. […] Ovunque, anche in Europa, c’è una nuova destra in formazione. Non è una destra liberista, è una destra della protezione. […] – concludendo – Per dirla in bersanese: la mucca nel corridoio sta bussando alla porta».
In conclusione si evince che Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti d’America, ci offre, paradossalmente, l’opportunità di cambiare la storia: pretendere delle garanzie per preservare l’avvenire, che non riguarda Renzi o chicchessia, ma i diritti dei cittadini. Il potere, dunque, è davvero al popolo.
Andrea Palumbo