«Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?». Questo era l’interrogativo di Nanni Moretti in “Ecce bombo” al telefono con l’amico Nicola. Ed è anche, più o meno, l’interrogativo che ha attraversato lo Stivale negli ultimi giorni dopo la notizia della presenza di una casa editrice di orientamento neofascista al Salone internazionale del Libro di Torino, l’appuntamento culturale più importante in Italia previsto dal 9 al 13 maggio. La casa editrice in questione è Altaforte, che dopo essersi esposta a polemiche accesissime, è stata esclusadalla kermesse. È interessante capire come ci siamo posti di fronte a una deriva culturale del genere e a che punto sia la questione del fascismo.
Il mondo della cultura italiana divisa tra “Mai accanto ai fascisti” e #ioVadoaTorino
Molti autori, intellettuali, storici hanno deciso di boicottare il Salone del Libro. Prima tessera del domino a cadere è stato lo scrittore Christian Raimo che si è dimesso dal ruolo di consulente editoriale del Salone perché, scrive in un post su Facebook, non vuole «la presenza di editori dichiaratamente fascisti o vicini al fascismo». A seguire annulla la propria presentazione il noto collettivo bolognese di scrittori Wu Ming, che in un duro comunicato sul blog Giap scrive: «Noi riteniamo che i fascisti vadano fermati e, metro dopo metro, ricacciati indietro».
In una reazione a catena, i “no” al Salone del libro si propagano come una eco: a rinunciare alla kermesse sono anche il fumettista Zerocalcare, il saggista Carlo Ginzburg (figlio di Leone e Natalia Ginzburg), gli storici dell’arte Salvatore Settis e Tomaso Montanari, e altri. Sceglie di non partecipare anche l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), ma l’aut aut vero e proprio è arrivato dal direttore del museo di Auschwitz Piotr Cywinski che pone un severo “o gli uni o gli altri”: come si può pretendere, d’altronde, che carnefice e vittima condividano gli stessi spazi?
C’è però una parte dell’intellettualità italiana che ha deciso di partecipare: sui social spopola l’hashtag #ioVadoaTorino, lanciato da Michela Murgia e poi ripreso da tantissime figure che hanno scelto di contrastare la presenza del braccio editoriale di CasaPound dall’interno, proprio in quello spazio che si sono ritrovati a condividere. E numerose sono le iniziative ideate per l’occasione: verrà intonata “Bella Ciao”, ci saranno conferenze sul valore dell’antifascismo, una unanime distribuzione di Costituzioni. Il fronte contrario all’ingerenza neofascista al Salone del Libro piuttosto che raggiungere una linea comune, ancora una volta si divide.
Altaforte a Torino e la normalizzazione del fascismo nel Terzo Millennio
Al centro della bufera mediatica c’è Francesco Polacchi: editore di Altaforte, casa editrice vicina a CasaPound, dichiaratosi fascista su vari mezzi di comunicazione negli ultimi giorni, coordinatore regionale di CasaPound per la Lombardia. Ha alle spalle diversi episodi per cui è passato alle cronache. Nel 2007, ad esempio, insieme ad altri camerati a Porto Rotondo in Sardegna, ha partecipato a un’aggressione di un gruppo di quattro ragazzi originari di Sassari. Nel 2008 invece fu fotografato in Piazza Navona alla guida di Blocco Studentesco armato di bastone mentre aggrediva i manifestanti antifascisti durante un corteo contro la riforma Gelmini. Nel 2017, per aver aggredito una delegazione antirazzista dentro Palazzo Marino viene rinviato a giudizio con l’accusa di lesioni. Insomma, un soggetto non proprio sconosciuto, specialmente alle forze dell’Ordine. E con Altaforte pubblicherà un libro-intervista a Matteo Salvini, che nel frattempo su Amazon diventa il più venduto nella sezione “Strutture e processi politici”.
Ma perché gli è stata aperta la porta del Salone del Libro? Allo scoppio delle polemiche e dopo le dimissioni di Christian Raimo, il comitato d’indirizzo del Salone ha pubblicato una nota su Facebook che fa appello all‘Articolo 21 della Costituzione:
«tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Qui però non si tratta di libertà di espressione ma della difesa della Costituzione italiana, del valore della democrazia e dell’antifascismo, che dovrebbero essere all’ordine del giorno.
Tardive e poco efficaci sono arrivate le risposte più strettamente istituzionali: il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino e la sindaca di Torino Chiara Appendino hanno inviato alla Procura della Repubblica un esposto nei confronti di Francesco Polacchi che ora è indagato per apologia di fascismo. Dopo una giornata di trattative e sollecitazioni, agli organizzatori è stato chiesto di rescindere il contratto con Altaforte, anche in vista della lezione di Halina Birenbaum, sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti. Ma serviva arrivare a questo caso mediatico per capire che esistono due leggi (legge 25 giugno 1993, n. 205, nota come Legge Mancino e legge 20 giugno 1952, n. 645, o Legge Scelba) e che sarebbe ora di applicarle? I fascisti del Terzo Millennio stanno, metro dopo metro, conquistando spazi pubblici e privati, politici e culturali. E giorno dopo giorno, spesso nell’indifferenza, spostiamo l’asticella della tolleranza. Quello del fascismo è un problema prima di tutto politico: le questioni legali e commerciali, come scrive lucidamente lo storico e giornalista Gennaro Carotenuto sul suo sito, sono secondarie.
«Con il fascismo non si può convivere perché la convivenza col fascismo è incompatibile con la democrazia, col pluralismo e con tutte quelle (altre) sensibilità da rispettare[…]»
E alla luce di questa spiacevole vicenda, la questione deve essere posta soprattutto in termini culturali: la legittimazione del fascismo, la sua normalizzazione, non avviene di colpo, ma passa attraverso spazi vuoti lasciati dalla legge, dalla politica, dalla cultura.
Arianna Saggio