La guerra tra Russia e Ucraina sta cambiando la politica estera europea
Ministry of Defense of Ukraine, CC BY-SA 2.0 (Fonte immagine: Wikimedia Commons)

Il conflitto in corso tra Russia e Ucraina, come tutte le guerre, è foriero di conseguenze sulla scena politica internazionale e nello specifico riguardo alla politica estera dell’UE. Fino a poche settimane fa l’Unione Europea, e di riflesso gli stati europei, avevano subito gli accadimenti delle settimane precedenti in silenzio oppure accennando una flebile reazione diplomatica incarnata dall’attivismo del Presidente francese Emmanuel Macron. Il capo dell’Eliseo ha cercato per giorni di organizzare un incontro tra il garante della stabilità europea, il Presidente americano Joe Biden, e Vladimir Putin. I numerosi tentativi si sono risolti in un fallimento e il 24 febbraio la Russia ha invaso l’Ucraina.

La perentoria e violenta invasione russa, che ha mandato in fumo anche le più granitiche speranze che alla fine Putin si sarebbe convinto a desistere, hanno posto l’Unione Europea in una posizione davvero scomoda. Da un lato ha evidenziato la difficoltà dei Paesi di presentare una risposta unitaria, complice l’assenza di una politica estera comune, e dall’altro ha esplicitato tutte le falle dell’Europa come soggetto politico. Questo almeno fino a qualche giorno fa.

Dopo il primo giro di sanzioni, considerate dagli analisti poco efficaci perché lasciavano deliberatamente fuori il settore finanziario, a causa delle ricadute sulle economie europee, la reazione degli stati si è compattata con nuove misure che stanno provocando seri danni alla Russia e alla sua economia. Si stima che il PIL di Mosca possa calare addirittura del 7%.

Dopo due settimane di combattimenti, però, il conflitto è giunto a uno stallo. La gestione della crisi è politica ma manca quell’attore in grado di fungere da apripista per una de-escalation. Forse il momento non è ancora propizio, ma alcuni credono che questo Paese sarà extraeuropeo, forse Israele, mentre continuano i tentativi di Macron, che ha bisogno di una vittoria per ringalluzzire la campagna elettorale per le presidenziali.

Eppure, nonostante lo stallo, negli ultimi giorni qualcosa si sta muovendo. La Germania ha cambiato radicalmente approccio in politica estera, mentre Paesi storicamente neutrali hanno deciso di prendere una posizione contro la Russia, adottando anche sanzioni come nel caso della Svizzera. Nel frattempo alcuni leader europei sono tornati a parlare, dopo anni di silenzio sul tema, di difesa comune europea.

La strategia dell’Unione Europea: Germania si riarma, gli altri si attrezzano

Forse una delle conseguenze più eclatanti della guerra tra Russia e Ucraina – almeno dal punto di vista mediatico – è l’annuncio di Olaf Scholz circa la decisione di investire circa 100 miliardi di euro in spese militari. Ciò significa portare la spesa della Germania in ambito militare oltre il 2% del PIL, raggiungendo lo standard che la Nato chiedeva da tempo agli alleati di rispettare. Si tratta di un accadimento eccezionale, poiché dopo la Seconda guerra mondiale Berlino aveva sempre mantenuto un atteggiamento antimilitarista, neutrale e soprattutto riluttante a impiegare l’esercito per risolvere le controversie internazionali, comprese le missioni militari all’estero.

Oltre al riarmo, però, ci sono anche importanti segnali che qualcosa stia cambiando in Germania. La prima è sicuramente la volontà di rendersi meno dipendente dal gas russo. Il cancelliere federale ha chiarito che Berlino porrà un freno alla dipendenza energetica attraverso il ricorso al GNL (il gas naturale liquefatto) e riconsiderando il ricorso all’energia nucleare dopo la decisione di dismettere le centrali attualmente funzionanti. Su questo fronte sicuramente l’intervento più eclatante è stata la sospensione dell’autorizzazione del Nord Stream 2, la seconda conduttura del gasdotto omonimo che avrebbe collegato direttamente la Russia alla Germania.

La decisione di diminuire la dipendenza dal gas russo è una scelta profondamente politica. Per anni Angela Merkel ha promosso un avvicinamento della Russia all’Europa occidentale con l’obiettivo di creare un forte legame di interdipendenza che garantisse stabilità all’intero continente. La posizione morbida verso Mosca è stata, in sostanza, la costante del quindicennio di Merkel e nemmeno la crisi del 2014 in Crimea era riuscita a scalfirla.

Questo atteggiamentosi basa su una corrente di pensiero politico-strategico molto solida: è l’Ostpolitik di Willy Brandt, una politica estera mirante ad aprire le porte della Germania ai Paesi dell’Europa dell’Est. Nessuno credeva che una linea mantenuta per così tanto tempo sarebbe stata sospesa nel giro di qualche giorno. La guerra tra Russia e Ucraina è stato un vero e proprio punto di svolta.

Lo slancio tedesco verso un radicale cambiamento della propria politica estera non è stato un evento isolato. Paesi storicamente neutrali, come la Finlandia, la Svizzera e la Svezia hanno deciso di accantonare la propria storica posizione di equidistanza dalle controversie europee per abbracciare posizioni molto più compromettenti.

In Finlandia sono state raccolte in pochi giorni circa 50mila firme per dar luogo a un referendum per entrare nella Nato. Per anni, Helsinki aveva respinto qualsiasi suo coinvolgimento nell’Alleanza Atlantica ma il conflitto tra Russia e Ucraina, il militarismo di Mosca e le minacce di Putin hanno convinto la popolazione a mutare atteggiamento. Il momento della svolta è stato catturato da un sondaggio lanciato da Yleisradio Oy: il 53% degli intervistati sostiene l’entrata della Finlandia nella Nato. Fino a qualche anno fa quella percentuale si aggirava attorno al 30%. Ovviamente ciò non significa che la Finlandia entrerà sicuramente nell’alleanza militare capeggiata dagli Stati Uniti. E non è detto nemmeno che il referendum si terrà. Nel 2023 ci saranno le elezioni generali, e nel caso in cui il Parlamento non si confronterà circa questa proposta referendaria (ce ne sono altre 22 in coda), sarà necessaria un’altra consultazione.

Il fatto che in un Paese storicamente neutrale, la cui posizione di equidistanza dagli affari dei due blocchi fu formalizzata con un trattato stipulato con l’Unione Sovietica, sente la necessità di tutelarsi dal punto di vista della sicurezza internazionale è un evento significativo. Bisogna ricordare che Russia e Finlandia condividono un confine di 1340 km e per circa un secolo Helsinki è appartenuta all’Impero russo. Tra gli anni trenta e la fine della seconda guerra mondiale i due Paesi furono coinvolti in due guerre molto cruente che si conclusero con delle cessioni territoriali molto dure per Helsinki e una neutralità granitica.

Anche la Svezia, altro Paese storicamente neutrale, ha preso una posizione abbastanza netta contro la guerra tra Russia e Ucraina. Lunedì scorso, infatti, ha deciso l’invio di armi in Ucraina e i cittadini hanno iniziato ad accarezzare l’idea di entrare nella Nato. La Svizzera, invece, ha annunciato che farà un’eccezione alla storica politica della neutralità per imporre dure sanzioni contro Mosca. Il governo locale ha, infatti, disposto delle limitazioni a numerose banche russe e ha applicato sanzioni contro le persone di Vladimir Putin e di Sergei Lavrov.

Sul fronte orientale, sono da segnalare sicuramente le richieste di adesione all’Unione Europea da parte di Moldavia e Georgia, due Paesi che si sentono profondamente minacciati dal militarismo russo. La risposta di Putin non si è fatta attendere e si temono ritorsioni nel caso in cui queste domande abbiano seguito.

Guerra Russia Ucraina, verso una politica estera di difesa comune?

La guerra tra Russia e Ucraina può seriamente rappresentare una svolta per la politica estera dell’Unione Europea. Alla base di questo repentino cambiamento c’è la minaccia del militarismo russo, il quale potrebbe mettere nel mirino i propri vicini. Il timore è che dopo anni di quiescenza il governo di Mosca abbia deciso di intraprendere una politica territoriale aggressiva anche nei confronti dei Paesi europei. Alla base di questo ragionamento c’è, dunque, la paura. Ormai, anche coloro che si presentavano come più favorevoli al dialogo sono stati sconvolti da un’operazione militare che in molti, tra cancellerie europee ed esperti di relazioni internazionali, tendevano ad escludere.

Per anni i Paesi europei hanno cercato di costruire un rapporto cordiale con la Russia, cercando di risolvere eventuali controversie attraverso il dialogo, ignorando i pericolosi segnali provenienti da Siria, Cecenia e Crimea. Dopo anni l’Unione Europea, e il continente intero, si accorgono che «non vivono in un posto dove la guerra non è più impossibile», come ha scritto Anne Applebaum in un editoriale per l’Atlantic. Ecco perché alcuni leader, tra cui spicca il francese Macron, sono tornati a parlare di una difesa comune europea.

La decisione di tornare a investire sugli armamenti non passerà di certo inosservata alle istituzioni comunitarie. Il 13 e il 14 marzo, quando i ministri degli Esteri si incontreranno, l’argomento sarà sicuramente sul tavolo. La necessità è impellente, ma la questione è molto più complessa e implica un deciso e profondo cambio di mentalità.

Fondamentalmente ciò che manca è la capacità dei governi di raggiungere un accordo politico che non sia il classico e infruttuoso compromesso al ribasso. C’è poi il rapporto con Washington e la questione dell’autonomia strategica: l’UE dovrebbe essere capace di difendersi da sola senza mandare in frantumi il rapporto privilegiato con gli USA.

Infine ci sono gli ormai noti e inevitabili interessi divergenti. Basti pensare alla rivalità tra Italia e Francia in Libia e nel Mediterraneo. Quando si parla di politica estera gli stati europei non concordano su nulla (o quasi). Come impostare una difesa comune senza una politica estera unitaria? Il momento è sicuramente propizio per riaprire una discussione così importante. Resta da capire se questi segnali si tradurranno in una risposta unitaria oppure no.

Donatello D’Andrea

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