Diritto alla morte: la questione del suicidio assistito
Credit: Associazione Luca Coscioni

L’arrivo del 2022 ha rappresentato per l’Austria la fine di un lungo percorso, che ha però portato a un nuovo inizio: il primo gennaio è entrata in vigore una legge che legalizza il suicidio assistito, già approvato nei Paesi Bassi, in Belgio, Spagna e Svizzera.

Suicidio assistito e eutanasia: quali differenze?

Il suicidio assistito non dev’essere confuso con l’eutanasia. Quest’ultima pratica viene definita come il “procurare intenzionalmente la morte di un individuo dalla qualità di vita permanentemente compromessa da una malattia“, e si suddivide in attiva e passiva, volontaria e involontaria. L’eutanasia attiva prevede l’intervento diretto del personale medico che somministra un farmaco al paziente o che in qualche modo accelera il percorso che lo porterà al decesso, mentre quella passiva prevede la rinuncia o l’astensione dalle cure e terapie di sostentamento vitale da parte del paziente stesso. L’eutanasia volontaria, come il termine suggerisce, avviene dietro richiesta esplicita della persona in grado di intendere e di volere, mentre quella involontaria è praticata senza che il paziente abbia espresso la sua volontà: ad esempio, nel caso in cui vengano spenti i macchinari che fino a quel momento l’hanno tenuto in vita. Il suicidio assistito, contrariamente all’eutanasia, consiste nella possibilità di somministrarsi autonomamente il farmaco necessario a porre fine alla propria esistenza.

Cosa prevede la nuova legge: a chi è rivolta, quale iter seguire

L’approvazione in Parlamento della legge sul suicidio assistito non è però un “liberi tutti“: l’applicazione è subordinata a determinate condizioni. Anzitutto il richiedente, che deve aver raggiunto la maggiore età, dev’essere un malato terminale o soffrire di una malattia incurabile debilitante. Ogni richiesta sarà esaminata da un medico che valuterà la diagnosi e l’effettiva capacità di intendere e di volere, e da un medico esperto di cure palliative. È inoltre previsto un lasso di tempo – almeno tre mesi, tranne per i malati terminali per cui è prevista una procedura d’urgenza dai tempi ridotti – tra la richiesta e l’approvazione, al fine di scongiurare decisioni impulsive. Allo scadere di questo periodo, la persona malata può reperire il “farmaco letale” nella farmacia – sino ad allora segreta – indicata dall’avvocato o dal notaio che riceve la notifica. Tutto questo non era possibile fino a qualche mese fa, quando il suicidio assistito era considerato reato e chiunque avesse aiutato una persona a morire veniva processato rischiando fino a cinque anni di carcere. Oggi, invece, la Corte Federale ha dichiarato la penalizzazione del suicidio assistito come una “violazione del diritto all’autodeterminazione“.

Credit: ilgiorno.it

La situazione in Italia

Nel nostro Paese ancora nessuna legge prevede la legalizzazione del suicidio assistito, nonostante se ne discuta da tempo. Solo qualche anno fa – era il 2017 – Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, si era dovuto rivolgere alla clinica svizzera Dignitas per poter fare ricorso a tale pratica, dichiarando sui social «Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore (…) Marco Cappato.» Quest’ultimo infatti aveva aiutato Dj Fabo a raggiungere la Svizzera e realizzare il suo ultimo desiderio, quello di porre fine alla sua vita dopo che in seguito ad un incidente stradale era rimasto cieco e tetraplegico. Rientrato in Italia, Cappato fu subito accusato di aiuto al suicidio e processato. Nel 2019 la storica pronuncia della Corte Costituzionale ha aperto alla non punibilità della condotta di Cappato, essendoci la piena capacità di intendere e di volere di Dj Fabo. Il calvario giudiziario termina con un’assoluzione ufficiale dall’accusa per “insussistenza del reato”.

È però il 2021 quando il testo base della legge sul suicidio assistito viene approvato in Commissione. Anche in questo caso, come per l’Austria, vengono esclusi coloro che non sono tenuti in vita da macchinari o terapie farmacologiche, e coloro che pur essendo capaci di intendere e di volere non hanno la possibilità di autosomministrarsi il farmaco letale non essendo consentita e legalizzata la somministrazione da parte di terzi. Anche per quanto riguarda l’iter non vi sono sostanziali differenze: è prevista una richiesta da parte della persona malata che il medico di base deve accogliere, inserendo il paziente in un percorso di cure palliative che lo stesso deve però rifiutare, al fine di potersi garantire l’accesso all’intervento del suicidio assistito. Sulla base di un rapporto del medico sulle condizioni di salute e sulle motivazioni che spingono il paziente ad avanzare tale richiesta, e solo dopo una visita di un delegato del Comitato per l’etica clinica territoriale, quest’ultimo potrà esprimere entro un mese la sua valutazione.

Credit: tgcom24.mediaset.it

La disapprovazione del Vaticano non tarda ad arrivare

In una Lettera Samaritanus bonus della Congregazione vaticana per la Dottrina della fede viene manifestata la totale avversione nei confronti di una simile legge. In merito si legge che «una persona che sceglie con piena libertà di togliersi la vita rompe la sua relazione con Dio e con gli altri. (…) Il suicidio assistito ne aumenta la gravità, in quanto rende partecipe un altro della propria disperazione, inducendolo a non (…) riconoscere il vero valore della vita. (…) Aiutare il suicida è un’indebita collaborazione a un atto illecito. Tali pratiche non sono mai un autentico aiuto al malato. (…) È per questo che l’eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta di chi li teorizza, di chi li decide e di chi li pratica. (…) Il cristiano deve offrire al malato l’aiuto indispensabile per uscire dalla sua disperazione. (…) I fattori che maggiormente determinano la domanda di eutanasia e suicidio assistito sono il dolore non gestito e la mancanza di speranza. (…) Per questo, la capacità di chi assiste una persona affetta da malattia cronica o nella fase terminale della vita, deve essere quella di (…) “consolare”, di essere com-presenza che apre alla speranza».

Il suicidio assistito è dunque un gesto privo di moralità? Per trovare la giusta risposta a questa domanda dovremmo forse porci un ulteriore quesito: ciò di cui una persona affetta da una malattia cronica ed invalidante ha bisogno è davvero una presenza in grado di “consolare ed infondere speranza”? E quale speranza potrebbe accompagnare le sue giornate?

La speranza di una vita migliore è spesso cancellata dall’esito di una diagnosi e viene meno giorno dopo giorno nel momento in cui l’unica direzione verso cui è possibile procedere è una condizione di dolore senza fine, di giornate trascorse nella paura di cadere e non avere più la forza di rialzarsi e reagire. La speranza viene meno quando il fondo del tunnel appare ormai privo anche solo di una flebile scintilla. Appare pertanto opportuno e doveroso sospendere i giudizi morali dinanzi al dolore altrui, e lasciare che a ciascuno venga riconosciuto il diritto di poter dignitosamente “vivere la propria morte”.

Aurora Molinari

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