Il Bello o il Vero è la mostra, inaugurata a Napoli il 30 ottobre 2014, dedicata alla scultura napoletana della seconda metà dell’Ottocento e del primo Novecento. È a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento che sulla scena italiana si attua una svolta decisiva, data dalla Mostra Nazionale di Torino del 1880. In quell’occasione si erano venute imponendo due diverse tendenze, che da quel momento avrebbero delineato le principali direttive della scultura di fine secolo: da un lato il naturalismo estremo del “Proximus tuus” di Achille d’Orsi e dall’altro un nuovo indirizzo scultoreo, fra reminiscenze dell’antico e nuove esperienze veristiche, come idea del bello congiunto al vero, espresso da Francesco Jerace, il quale espose lavori coniugando il vero col bello o il reale con l’ideale. Dall’altra parte dunque il d’Orsi che attua invece il suo naturalismo integro, privo di bellezza ideale. Tanti furono gli artisti a porsi sulla scia tracciata dal d’Orsi, come Vincenzo Vela col suo “Vittime del lavoro“, oppure Carminati e Ripamonti. La seconda opera esposta a Torino dal d’Orsi, “A Posillipo“, servì sia ad attenuare le polemiche sorte intorno al “Proximus tuus”, che a porsi sulla strada del “Pescatore” di Vincenzo Gemito. La seconda tendenza, dunque, che si determinò in occasione della mostra torinese, fu quella volta all’attenzione per l’antico, che uguale interesse suscitava in pittura con temi tratti dal mondo classico latino o dalla letteratura moderna, elaborati attraverso un tono grandioso e congiunti al dettato veristico. Proprio Jerace in quella occasione presentò la “Victa”, un busto in marmo di grande bellezza, questo artista che pur partendo dal realismo guarda al classicismo, quello michelangiolesco.
La “Victa“, opera sorprendentemente nuova per il tempo, ha come soggetto la Polonia vinta ma non domata, dove le tracce di realismo si dissolvono nell’idealizzazione formale della scultura classica; si pensi alla “Venere di Milo” o allo sguardo contratto del “David” di Michelangelo. Chi al contrario continuò sulla strada del verismo, oltre al d’Orsi, furono Raffaele Belliazzi e Adriano Cecioni, che insistendo sul dettato che l’arte deve “sorprendere la natura” ama lo stile sintetico e n’è prova “La madre“, statua in gesso. L’anno 1880 con la Mostra di Torino rappresentò un spartiacque, poiché andò scemando il realismo più estremo, che aveva caratterizzato la precedente Esposizione Nazionale di Napoli determinando, così, nuovi orientamenti,. In occasione della mostra torinese Giovan Battista Amendola, presentò il suo “Autunno”, staccandosi così dal precedente naturalismo del “Caino e la sua donna“.
Chi più di tutti si mantenne coerente sulla strada del naturalismo integro fu il Belliazzi, in opere come “Il riposo“, o più ancora con il “Rigido marzo“, esposto alla Promotrice Napoletana del 1881, un’opera fortemente ispirata dal Proximus tuus Dorsiano: il soggetto è un contadino di ritorno dal lavoro nei campi, porta la vanga appesa alla spalla e sotto l’ascella un mazzo di rape, col cappello tirato giù come a volersi riparare dal vento freddo, che gli taglia la faccia, <<è così vivo che sembra quasi che cammini. Accanto ai già citati Jerace, d’Orsi e Belliazzi, l’ultimo quindicennio del secolo vede anche altri artisti degni di nota, come Filippo Cifariello, Luigi De Luca, Pasquale Duretti, Costantino Barbella, Raffaele Marino, Eduardo Rossi ed altri ancora rimasti nell’ombra di quell’oblio che caratterizzò proprio la scultura dell’Ottocento. A Napoli si procede sulla strada del verismo seppur mitigato, mentre in altre scuole regionali tornano di moda fatti e personaggi tratti dalla storia romana o dalla letteratura greca. Tale recupero caratterizzò un’artista non napoletano, ma attivo a Napoli, Emilio Franceschi, un fiorentino che già aveva lavorato al basamento ligneo per il “Salvator Rosa” di Achille d’Orsi nel 1871.
Tra le sue opere “archeologiche”, nella mostra il Bello o il Vero, ricordiamo “Ad bestias“, presentata all’Esposizione Nazionale di Roma insieme al “Fossor. Entrambi i lavori traggono spunto dall’episodica romana: l’Ad bestias, opera in gesso, è il vecchio destinato alle fiere da Caligola. Sulla scia del verismo napoletano si poneva Costantino Barbella, nella sua sintesi tra soggetto e materia, che alla stessa mostra romana presentò alcune opere in bronzo, come “Ragazzo che beve” (Su su), fedele all’orientamento intrapreso e a quell’idillio pastorale, delle figure provenienti dagli strati più popolari È un vero sentito in quanto tale, senza forzature anche fantasioso e sentimentale. Verso la fine dell’Ottocento artisti più giovani come Luigi De Luca sono interessati a tematiche edonistiche, estetizzanti: infatti frattanto a circolare le teorie decadenti sul dolore, impulso offerto dalla narrativa di Gabriele D’Annunzio.
“Ad muroenas” del De Luca anch’essa presente nella mostra il Bello o il vero, fu esposta alla Mostra Nazionale di Palermo del 1891-92, ed è una schiava romana gettata in pasto alle murene, ben modellata ma che suscita orrore per lo strazio patito dalla giovane donna da parte di queste murene che le avvolgo il volto, come se fossero capelli.
Siamo giunti ormai agli inizi del Novecento e l’orientamento del nuovo secolo vede sostanzialmente confermate le due linee che si erano venute delineando precedentemente: da un lato un realismo minuto con soggetti tratti dal quotidiano, ma senza significati sociali e dall’altro il filone simbolista.
Per info sul un novo percorso tematico, all’interno della mostra, dedicato a Giovanni Tizzano , si veda : http:// www.liberopensiero.eu/?p=36106
Per la mostra il Bello o il Vero : http:// www.ilbellooilvero.it/
Rossella Mercurio