Muro di Berlino muri paura
Muro di Berlino. (AP Photo)

È un mondo diviso da muri, ormai. Nel trentennale della caduta del Muro di Berlino, avvenuta il 9 novembre del 1989, ci è utile riflettere su cosa sia cambiato in termini di barriere, muri e confini. La risposta? Dal 1989 a oggi, il numero di barriere poste a confine di uno Stato o di un territorio è quadruplicato e, nel 2019, di muri, recinzioni e di barriere in giro per il mondo se ne contano 70. È un dato di fatto: i muri nel mondo sono ancora tanti. Sicuramente troppi. Probabilmente inutili.

Vecchi muri

L’uomo ha da sempre visto il muro come qualcosa di necessario per difendersi dai possibili pericoli di un mondo vasto e variegato. Pensiamo alla Grande Muraglia cinese, voluta dall’imperatore cinese Qin Shi Huangdi nel 215 a.C. per difendere l’impero cinese dall’avanzata della tribù nomade dei Xiongnu. Con più di ottomila chilometri di lunghezza, la Grande Muraglia cinese è la più lunga serie di mura che sia mai stata costruita sul pianeta.
Un altro esempio è rappresentato dal Vallo di Adriano, un muro di pietra fatto costruire nel II secolo d.C. dall’imperatore Adriano per difendere i confini britannici dell’Impero romano dalla contigua zona della Caledonia (l’attuale Scozia), abitata da popoli celtici considerati bellicosi e, quindi, pericolosi.
In questa cronistoria di vecchi muri si giunge, infine, alla storia contemporanea con il già citato Muro di Berlino, che ha diviso la capitale tedesca dal 13 agosto 1961 al 9 novembre 1989. Anche in questo caso, il muro fungeva da deterrente contro una presunta minaccia: rimarcava il concetto di una comunità “dentro il muro” e, quindi, amica e innocua, contro una comunità “fuori dal muro”, nemica e pericolosa.
Questi tre muri oggi hanno perso la loro funzione divisoria e ciò che rimane in piedi è soltanto la loro forma esteriore, testimonianza di ciò che è stato e speranza affinché niente del genere venga più costruito. Purtroppo, però, per ogni muro che cede, uno nuovo comincia a innalzarsi, dividendo territori e, così, anche le persone, le loro culture e le loro vite.

Nuovi muri

Dal 2003, 730km di barriere dividono il territorio israeliano dal territorio palestinese in Cisgiordania. Lo Stato d’Israele dichiara di aver costruito la barriera per prevenire eventuali attacchi terroristici da parte dei palestinesi i quali, a loro volta, denunciano l’irregolarità di tale barriera, definendola come un tentativo di segregazione razziale. Il muro in questione non soltanto divide fisicamente le due culture, ma impedisce anche che una delle due viva in condizioni dignitose: gran parte delle ricchezze naturali palestinesi in Cisgiordania sono state inglobate nel territorio israeliano – dall’altra parte del muro – e sono dunque inaccessibili ai palestinesi.
Nel nuovo continente, invece, un muro discontinuo separa gli Stati Uniti dal Messico, per evitare che gruppi di persone lascino il Messico per entrare clandestinamente negli Stati Uniti. La costruzione del muro ha avuto inizio nel 1990, per volere dell’allora presidente George Bush senior. Da allora ci sono stati numerosi interventi di sviluppo del muro stesso. Donald Trump si è recentemente interessato alla questione e ha annunciato di voler fortificare la barriera per ostacolare il flusso di immigrati messicani. Anche l’Europa post 1989 ha i suoi nuovi muri: nel 2015, il presidente ungherese Orbán ha ordinato la costruzione di una barriera al confine con la Serbia, posta a protezione dei confini ungheresi contro gli immigrati provenienti dalla zona dei Balcani.
La barriera è lunga 175km ed esiste già un progetto per il suo ampliamento, al confine con la Croazia.

La paura del diverso

Ogni muro costruito per dividere ha nelle sue fondamenta un impasto di cemento e paura. È proprio lei, la paura, a creare tutto questo. La paura del diverso, declinata nelle sue mille forme, ha fatto in modo che ci chiudessimo sempre di più nei nostri confini, nelle nostre segrete, a difendere inviperiti anche l’unica radice malandata che ci rimane e che ci permetta di identificarci in un “noi” contrapposto a un “loro”. Questa paura è astutamente sfruttata dai movimenti nazionalisti e sovranisti i quali, con una buona dose di populismo, da tempo sbraitano affinché nuovi muri vengano creati per preservare l’identità originaria di una nazione. Il risultato però è che, a furia di volerci proteggere come fossimo il prezioso osso che un cane sotterra gelosamente sotto la terra, ci stiamo inaridendo. A furia di millantare e rivendicare un’identità che molto spesso non ci appartiene nemmeno – ma che ci occorre per sentirci parte di un qualcosa -, stiamo diventando, sempre più, privi di empatia e di umanità.

Siamo stati così tanto accecati dalla paura di perdere un’identità che non abbiamo mai conquistato, da aver chiuso la porta a chi forse è capace di migliorarci. Ed è ancora più assurdo, in un mondo alla portata di un click, in cui è possibile comunicare e contemporaneamente acquistare – senza alcun problema – prodotti provenienti da Asia, Africa o America, pensare di voler creare muri fisici perché a vincere è la paura di un vicino di casa e della sua cultura ‘diversa’.

Spesso si sente dire di come si abbia paura soltanto di ciò che non si conosce: conosciamo, allora. Abbattiamo le barriere e conosciamo. Concediamoci la meravigliosa opportunità di poter vedere l’alba oltre un muro che abbiamo costruito, per paura e frustrazione. E permettiamo alle persone di spostarsi liberamente in un mondo che non dovrebbe avere più porte e padroni. E poi, viaggiamo anche noi. Visitiamo, esploriamo, non segreghiamoci volutamente dentro ‘quattro mura’: usciamo.
La paura, quella sì, lasciamola a casa.

Anna Rita Orlando

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