La “rotta dei Balcani”, meno nota di quella del Mediterraneo è quella che passa da Turchia e Grecia attraverso la quale migranti, rifugiati e richiedenti asilo giungono in Macedonia, Serbia e Ungheria. È la rotta più percorsa dai profughi che cercano fortuna nell’Unione Europea e spesso si rivela per loro fatale: dai dati di Amnesty International emerge che i morti sono stati 21.000 solo nel 2014. Nel nuovo rapporto della nota associazione umanitaria si legge di violenze e abusi di potere da parte di criminali e della polizia di frontiera.
Per quanto riguarda Serbia e Macedonia, entrambe fuori dalla Comunità Europea, ma da essa delegate per l’accoglienza migranti in quanto confinanti con la frontiera marittima, il problema principale sono le pratiche illegali a cui spesso ricorrono. I migranti denunciano una detenzione, che a volte dura anche dei mesi, presso i Centri di accoglienza in cui ricevono scarsa alimentazione e igiene e nessuna salvaguardia legale. Alcuni di loro sono trattenuti illegalmente affinché testimonino contro i trafficanti subendo molto spesso abusi e torture.
L’Ungheria, paese dell’UE dalla retororica xenofoba, negli ultimi mesi ha intensificato le sue politiche anti-immigrazione. A marzo il Governo ungherese ha approvato una legge che consente il blocco alla frontiera di profughi privi di documenti e la costruzione di una barriera per impedire l’accesso ai migranti provenienti dalla Serbia, modificata ieri intensificandone gli effetti. La norma voluta dalla destra di Orban prevede ora l’espulsione immediata dei richiedenti asilo in Ungheria e la costruzione di una barriera di filo spinato per evitarne i flussi.
L’Ungheria, nel 2014, ha concesso l’asilo soltanto a 240 dei richiedenti, la Macedonia a 10 e la Serbia a 1. Numeri troppo bassi. Amnesty International chiede pertanto a questi tre stati delle politiche di maggiore tolleranza e all’Unione Europea minore pressione sugli stati di frontiera. Solo con una maggiore solidarietà è possibile fronteggiare la crisi migranti.
Vincenzo Nicoletti