La violenza contro le donne è un elemento costante nella dinamica dei conflitti: ogni guerra ha usato i corpi delle donne come strumenti per sancire, o ribadire, il proprio potere sul territorio e su chi vive su di esso. Lo stupro viene utilizzato sistematicamente dai gruppi armati come strumento per terrorizzare e punire il popolo civile.
Amnesty International – attraverso il suo lavoro nelle zone di guerra – ha testimoniato come nelle zone di conflitto aumentino le violazioni del diritto internazionale umanitario e ovviamente a esserne più colpite sono le fasce più deboli: donne, bambine, bambini, persone disabili e persone anziane. Soprattutto le donne diventano le vittime favorite: lo stupro di massa, durante le guerre, è un’arma utilizzata per intimidire la popolazione tutta, in modo tale da diminuirne la capacità di reazione.
In questi casi lo stupro diventa il simbolo della conquista militare e presenta anche delle peculiarità: in seguito a una violenza sessuale la donna può contrarre malattie veneree o restare incinta, e nelle zone di guerra è difficile ( se non impossibile, talvolta) riuscire ad accedere a cure mediche o praticare un aborto in sicurezza. E qui c’è un ulteriore problema, cioè quello della stigmatizzazione della vittima che, non potendo abortire, sarà costretta a partorire il figlio del nemico e potrebbe essere allontanata dalla famiglia. E gli esempi sono molteplici, guardando alla storia più recente: negli anni ’90 in in El Salvador, Guatemala, Liberia, Kuwait, ma anche in Afghanistan, in Somalia, in Palestina, in Libano, Haiti, Sudan, Zambia, a Timor, arrivando alle atrocità commesse nel corso dei conflitti che hanno interessato l’area balcanica.
Molto importante è stata la Risoluzione 780 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che ha indagato sui crimini commessi durante le guerre in Jugoslavia, soprattutto durante la guerra di Bosnia ed Erzegovina. Il lavoro della Commissione ha portato all’attenzione come i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il genocidio siano collegati strutturalmente alle violenze contro le donne: la Commissione ha indagato sugli stupri e sulle violenze sessuali perpetrati sulla popolazione civile raccogliendo la testimonianza di più di 200 donne rifugiate in Croazia, Slovenia e Austria. Grazie a questo lavoro è emerso che le violenze sessuali venivano compiute durante il conflitto e anche dopo il conflitto, come puro intrattenimento per i soldati.
Il tema dello stupro di guerra è oggi, purtroppo, un tema attuale: dopo le violenze nei conflitti del passato, in Ucraina le violenze sessuali stanno diventando preoccupanti. La Corte Penale internazionale annovera lo stupro come crimine di guerra, ma in questa situazione specifica bisogna ricordare come né Mosca né Kiev hanno aderito alla giurisdizione.
Già alla fine del 2020 Amnesty International denunciava un aumento dei casi di violenza sulle donne nelle zone di Donetsk e Luhansk: questo territorio era ed è caratterizzato dalla presenza di separatisti russi, e tra il 2017 e il 2018 è stato travolto da una crisi economica che ha provocato un aumento dei casi di violenza sessuale e di violenza domestica. Le continue tensioni tra filoucraini e filorussi ha fatto aumentare le tensioni economiche e sociali che si sono tradotte in violenze consumate tra le mura di casa ma anche fuori, da parte dei militari. La situazione adesso pare precipitare sempre più e il governo ucraino ha già chiesto aiuto alla NATO.
Anche le femministe russe sono intervenute chiedendo al Governo di fermarsi: il loro messaggio, accompagnato dagli hashtag #FeministAntiWarResistance e #FeministsAgainstWar, è chiaro: «Guerra significa violenza, povertà, sfollamenti forzati, vite spezzate, insicurezza e mancanza di futuro. È inconciliabile con i valori e gli obiettivi essenziali del movimento femminista. La guerra esacerba la disuguaglianza di genere e ritarda di molti anni le conquiste per i diritti umani. La guerra porta con sé non solo la violenza delle bombe e dei proiettili, ma anche la violenza sessuale: come dimostra la storia, durante la guerra il rischio di essere violentata aumenta più volte per qualsiasi donna. Per questi e molti altri motivi, le femministe russe e coloro che condividono i valori femministi devono prendere una posizione forte contro questa guerra scatenata dalla leadership del nostro Paese.».
La violenza sulle donne transgender ucraine respinte alla frontiera
Un ulteriore problema emerso dal conflitto tra Russia e Ucraina riguarda le donne transgender: donne che vengono respinte alla frontiera perché sui documenti risultano ancora uomini e devono quindi combattere. Lo stabilisce la legge marziale, che vieta agli uomini tra i 18 e i 60 anni di lasciare il Paese perché devono combattere per difenderlo dai russi. Quasi il 90 % delle donne transessuali non ha potuto lasciare il paese a causa dei documenti che riportano ancora il deadname maschile (il nome originario e precedente alla transizione) e il genere biologico di nascita.
Olena Shevchenko, che difende i diritti umani ed è a capo di Insight – una delle poche associazioni LGBTQ+ presenti in Ucraina – ha denunciato i trattamenti contro le persone transgender: spesso vengono respinte pur avendo documenti assolutamente validi, vengono picchiate e torturate.
Una situazione enorme e straordinaria di cui molti stanno approfittando per continuare a usare comportamenti transfobici.
Valentina Cimino