Accumulare dati vuol dire accumulare capitale e potere: questo i proprietari delle piattaforme di social media lo sanno molto bene. Vi viene in mente un altro momento storico in cui farlo è stato così semplice come in questo periodo? A causa della quarantena per legge, i server dei social network rischiano di fondersi, ma le persone continuano ad aver bisogno di comunicare. Dice Mark Zuckerberg: «Per il momento non ci troviamo ancora di fronte a una massiccia epidemia contemporanea in tutto il mondo. Ma se ciò accadrà, dovremo assicurarci di essere all’altezza dal punto di vista delle infrastrutture».
I messaggi di stato, le reaction e le storie sono un racconto dell’isolamento che permette di sondare percezioni e umori diffusi tra la popolazione, e chi riesce ad accedere a queste informazioni ha una immensa capacità di contrattazione, soprattutto per convincere i governi ad allentare la regolamentazione del mercato e a chiudere un occhio sull’antitrust. La produzione inconsapevole di dati a livello globale (mai letta una policy, vero?) genera ricchezza per soggetti privati, a cui conviene mostrarsi solidali. I servizi più utilizzati sono Youtube, Twitter e il “conglomerato” Facebook-Instagram-Whatsapp appartenente al celebre CEO, che si sta dimostrando molto sensibile all’implementazione di misure per far fronte al Coronavirus. Se è vero che queste piattaforme funzionano grazie alla capacità delle persone di interagire tra loro, perché questa ricchezza non viene redistribuita?
La solidarietà digitale dei capitalisti delle piattaforme
Dal 10 marzo scorso, la Chan Zuckerberg Initiative sta finanziando l’acquisto di strumenti per diagnosticare il contagio e supportare il lavoro delle università, quadruplicando la capacità del sistema sanitario locale. Lo strumento IDSeq, sviluppato dalla società, è stato utilizzato in Cambogia per individuare il primo caso di contagio del Paese. La fondazione Bill e Melinda Gates, invece, immaginava di inviare direttamente a casa i kit per la diagnosi fai-da-te e di proporre ai cittadini la compilazione di un questionario online per la ricostruzione degli spostamenti e del quadro clinico. Entrambi gli aiuti, tuttavia, sono destinati esclusivamente ai cittadini statunitensi, nonostante i profitti generati attraverso le proprie piattaforme derivino da un mercato globale che, per esempio, nel caso di Facebook raggiunge il suo apice in India e non negli USA. Non risulta, ad oggi, alcuna offerta a sostegno dei clienti indiani.
Sul versante dell’informazione e della distribuzione, Facebook (in più Whatsapp con il progetto Facta) e Google hanno assunto un impegno nei confronti dei propri utenti per la corretta trasmissione delle notizie. Entrambe hanno deciso di oscurare gli annunci pubblicitari delle mascherine, soprattutto se derivanti da venditori scorretti che cercano di trarre profitto dalla paura delle persone, così come Amazon, eBay ed Etsy stanno imponendo limitazioni del prezzo. Google e Apple, inoltre, hanno bannato le app a tema Coronavirus dai canali ufficiali e dagli store.
Quando il NYT ha chiesto a Mark Zuckerberg se le operazioni di fact-checking saranno estese anche alle presidenziali del 2020, il CEO di Facebook ha risposto: «It’s hard to predict exactly how it plays out beyond that». Non si può predire con esattezza, ma di certo lo si può immaginare: niente tornerà come prima. Le aziende stanno sperimentando i vantaggi offerti dallo smart working e le attività prima considerate soltanto in un’ottica offline saranno proiettate prima sugli schermi di pc, tablet e smartphone e poi altrove, perché, se dei primi vi è certezza, tutto il resto non è che un vetro appannato.
Il ruolo dei Social Media al tempo del Coronavirus
Mezzo mondo sta sperimentando il distanziamento sociale come misura preventiva per evitare la diffusione del contagio. Il mogul del digitale Mark Zuckerberg ammette che i social network sono particolarmente importanti per le persone in isolamento. Il mese di marzo ci consegna una fotografia nitida del ruolo che i social media ricoprono in questa delicata fase storica causata dal Covid19. Le strade saranno anche deserte, ma le bacheche delle piattaforme pullulano di eventi. All’improvviso le persone hanno iniziato a cercare all’interno del mercato delle tecnologie digitali e delle app un prodotto gratis o a bassissimo costo che permettesse le comunicazioni a distanza con funzioni audio e video.
Tra le piattaforme esistenti, Skype permette di farlo già da molto tempo ma mostra soltanto 4 schermi contemporaneamente (con un max di 50 utenti collegati), Zoom offre soltanto 40 minuti gratuitamente, Hangouts di Google è veloce ma permette di riunire soltanto 10 persone per volta, HouseParty e Instagram mostrano un massimo di 8 schermi. Eppure in questo momento tutti – il pubblico, il privato, le famiglie, gli amici, le associazioni, le aziende – ne hanno bisogno. Allora ecco che Facebook si mette all’opera ed elabora una versione desktop di Messenger per facilitare le comunicazioni in videoconferenza. Farsi sfuggire questa occasione non sarebbe stato lungimirante.
Cosa ne è stato della Rai?
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte annuncia i suoi discorsi alla nazione sui social media Facebook e Instagram. L’attesa stessa è un evento mediatico: la cassa di risonanza, nell’intervallo tra il lancio dell’avviso da Palazzo Chigi e l’entrata in scena del Presidente del Consiglio, è un turbinio di meme ironici e post di riflessioni e ipotesi sulle prossime misure che il Governo varerà.
Da un lato, la praticità della diretta online che non necessita di mediazioni e di stravolgimenti del palinsesto, in aperta rinuncia alla televisione, primo media per utilizzo degli italiani, come strumento principale per la diffusione delle notizie e al servizio pubblico che a torto o ragione è fondato su forme di regolamentazione. Dall’altro lato, però, il tuffo in profondità nel mondo contemporaneo, che oscilla tra una notifica e l’altra, capace di connettersi in qualsiasi momento, di mettere in pausa e riascoltare, unito alla scelta di uno spazio pubblico virtuale come Facebook che, tuttavia, è una piattaforma di social media privata.
Allora, in fin dei conti, se è vero che i social network hanno scavalcato i media tradizionali per la capacità di diffondere con estrema rapidità delicate comunicazioni ufficiali alla nazione – una variopinta comunità di utenti sparsi in giro per il mondo, legati dal contratto sociale dell’accettazione dei termini di servizio – ciò che prima del #Coronavirus sembrava un argomento da caffè tra nerd potrebbe essere affrontato anche in altre sedi.
In sostanza, per quanto ancora questo servizio dovrà essere erogato da privati?
Sara C. Santoriello