È giunto il giorno in cui ricordiamo ai nostri cari che l’8 marzo non è la “festa della donna”. Ondate di sdegno per gli auguri rifiutati e polline giallo sprecato. L’apologia della celebrazione finisce interamente nell’immaginario della gravidanza.
4 marzo, Stazione di Napoli Centrale. Un uomo in fila per l’assistenza clienti chiacchiera con chi attende il medesimo supporto: «Se non si procrea, non ci sarà una prossima generazione. Non è che possiamo intervenire noi a un certo punto». La signora risponde: «Se non ci fosse stata sua madre, lei ora non sarebbe qua a pontificare». È un origliare confortante, ma lancia sul tavolo alcune considerazioni. La prima, di grazia, è il peso del mondo sulla testa delle Atlantə in età fertile. Un senso comune di patteggiamento biologico, dove la gravidanza è l’apice di un accordo ambo sessi concordato dalla civitas. L’amore, quando serve, è il suo confezionamento romantico-borghese. Infine, il neanche troppo velato declassamento delle ragioni di ciascunə a vantaggio delle vite future, che a ben vedere sembrerebbe proprio una modalità lungoterminista di intendere le relazioni sociali: lə nasciturə valgono più delle aspettative delle madri.
Ciò che accomuna chi nasce con i medesimi attributi è la scissione temporale tra il tempo presente e la prospettiva funzionale. Oggi che è la “festa della donna” diciamolo francamente che a tuttə è capitato di doversi imbattere in una giustificazione sancita, dimostrata scientificamente, argomentata come Verità: a problemi e quesiti di ordine affettivo, professionale o di salute (in un arco spaziale che va dalle prospettive di carriera all’ovaio policistico), la soluzione proposta è una gravidanza. Dove per risoluzione si sottende, velatamente, uno scombussolamento dei ritmi di vita, ovvero di otio e negotio, dunque fisici e relazionali. Il parlare con le amiche, spesso, si è trovato di fronte a questo genere di interrogativi sulla romantizzazione della gravidanza. Leggo di neo-mamme che invocano il diritto al sonno, includendolo nella tutela della salute cognitiva per le ripercussioni che la prolungata diminuzione delle ore di riposo comporta sui corpi. Elena Ferrante in “L’Amica Geniale” incorpora gli interrogativi in un dialogo tra Lenù e Dede a partire dalla visione di Lila: la privazione del cognome materno alla nascita dell’infante è l’irriconoscente smarcamento dal carico di lavoro sostenuto. Ripenso alla prima regista italiana Elvira Coda in Notari, a 150 anni dalla sua nascita, che rinunciò alla maternità della terza figlia (affidata in convento), inconciliabile con l’attività di produttrice, regista, sceneggiatrice e montatrice negli anni ’20 del Novecento.
All’evento del 7 marzo “L’Italia delle donne” con la ministra Roccella, la maternità straboccava da ogni intervento per “restituire la parola alle donne che ci hanno preceduto”; coloro che, dice, sono state impegnate “nella cura e nella crescita dei ragazzi”. Così tra un “donna-professione” a una più semplice declinazione al maschile, il presente scompare tra racconti intrisi di “storie”, appunto, passate (Alessandra Necci ne fa un vanto ricordando «una patriota del Risorgimento italiano citata dal premier Meloni […] all’epoca le quote rosa non esistevano», ma omettendone il nome). La rettrice dell’Università di Ferrara Laura Ramaciotti lancia l’aneddoto di essere stata osteggiata dai suoi stessi colleghi al momento della sua candidatura, dovendosi destreggiare tra chi manifestava difficoltà nell’esprimere preferenza per una donna a chi le ha rinfacciato di essere madre. Silvia Colombo (Fratelli d’Italia), consigliera del Comune di Treviglio, ha sostenuto che le persone incinte o malate dovrebbero fare un passo indietro dalla politica: «Nella vita ci sono delle priorità, se uno ricopre la carica di consigliere comunale al primo posto deve metterci la partecipazione. Poi nella vita capitano cose belle come la nascita di un figlio o cambiare lavoro o cose brutte come la malattia, allora forse bisogna riguardare le proprie priorità, a quel punto bisogna dimettersi». Oltre le sue dimissioni, la Giunta a guida Lega ha comunque respinto la mozione presentata dal PD sul collegamento da remoto perché «il consiglio comunale si fa in presenza».
La scelta dei temi è potere, come anche sessismo e molestie agli stadi iniziali del giornalismo: lo ha dimostrato l’inchiesta Espulse di IRPI Media, coinvolgendo 239 testimonianze dai Master italiani. Le figure che si ergono a paladine della femminilità in quanto portatrici di tacco 10, non ultima l’on. Santanché, perché non riempiono lo spazio mediatico per parlare della tangibilità dell’essere vaginomunitə? Depressione post-partum, aborto, endometriosi e violenze ostetriche sono temi meno meritevoli oppure possiamo dirci senza smanie che l’orgoglio è nello status sociale di privilegio? Il manifesto TERF diffuso la settimana scorsa presta il fianco a questi personaggi, non difende in alcun modo la causa di liberazione. L’essere sessualizzata come donna è il basso ventre del mondo, l’oscura demistificazione di consapevolezze e abitudini, ma la solidarietà nei confronti di chi è marginalizzato è un pilastro imprescindibile del femminismo.
Occhio a parlare di temi del genere sulle piattaforme di social media. È un attimo che i contenuti vengano silenziati, oscurati, minimizzati nelle visualizzazioni. L’espressione di sé, nella buona o nella cattiva sorte, fa la fine dei programmi Diversity Equity Inclusion (DEI): dismessi al primo cambio di baracca. Oggi che è l’8 marzo e non è una festa, l’entusiasmo non si genera da una quota. La gioia è nella marea di persone che prendono parte alle mobilitazioni, che incrociano le braccia e dissentono per aprire cerchi concentrici di inclusione. Da un’idea del Disability Pride, si organizza il servizio di supporto delle persone con disabilità per permettere loro di fruire del corteo. Proprio oggi che subiamo gli auguri per la “festa della donna” vorremmo che la decostruzione fosse il parlar chiaro, aprire le porte, casa per casa, e lasciar andare il rimpianto, la commiserazione, la relegazione a categoria protetta.
Sara C. Santoriello