Non basta avere un cane, un gatto o un criceto per dirsi animalisti, o forse sì? Probabilmente in molti professano, o credono di professare, la difesa degli animali semplicemente non uccidendo direttamente maiali e polli, allevando galline, o scegliendo, sulla base di un gusto personale o meramente estetico, l’animale verso cui proiettare le proprie attenzioni, talvolta per un insoddisfatto senso materno/paterno. Ciò che passa in ombra, dunque, è l’ideologia che soggiace alle presunte scelte di una categoria tanto vasta quanto confusa: gli animalisti. Spesso a chiudersi non è un occhio, ma entrambi, se a profilarsi sono situazioni in cui gli animali vivono nello sfruttamento e nell’abbandono, in particolare se in gioco c’è la comodità degli uomini. Contro una tale mascherata indifferenza, dunque, e allo specismo, si è erto negli ultimi anni un nuovo animalismo più radicale: l’Antispecismo.
Si tratta di un «movimento che si oppone allo Specismo, rifiutando l’idea della superiorità della specie umana sulle altre specie animali e sostenendo che l’appartenenza a una specie non giustifica la pratica di disporre della vita e della libertà di un essere di un’altra specie». L’idea di fondo è quella di considerare gli animali come esseri non umani. Per comprendere l’Antispecismo è necessario considerarlo in relazione al suo contrario: lo Specismo, ovvero della «convinzione secondo cui gli esseri umani sono superiori per status e valore agli altri animali, e pertanto devono godere di maggiori diritti». Se parlare di antropocentrismo ci porta solo nei limiti del Medioevo, all’universo aristotelico-tolemaico e alla conseguente rivoluzione scientifica messa in atto da Galileo, è bene, dunque, aggiornarsi sulla realtà circostante, spalancando gli occhi sullo sfruttamento e sulle diseguaglianze perpetrate dall’essere umano contro altre specie viventi.
Dalla sperimentazione agli allevamenti intensivi, dall’abbandono degli animali allo sfruttamento degli stessi per l’utile umano, senza contare la caccia e la pesca: sono solo alcuni degli ambiti più noti in cui agli animali non è assegnata alcuna dignità da parte dell’uomo, che troppo spesso viola superbamente ed egoisticamente la natura in generale. Quell’antropocentrismo, che credevamo scardinato da secoli, dunque, è tuttora vigente, ed è in queste premesse, e contro di esse, che affondano le coordinate dell’Antispecismo, un movimento che mira a promuovere l’uguaglianza tra uomo e animale, spesso violata nel percorso di civilizzazione. L’obiettivo non è solo culturale, ma anche politico. L’azione antispecista, infatti, mira alla costruzione di un nuovo modo di pensare e giudicare la realtà circostante, non senza trascurare la tutela politica animalista.
La storia è maestra, e alle grandi lezioni che ha dato è indubbiamente ascrivibile quella circa le discriminazioni, i soprusi, lo sfruttamento che hanno mosso le azioni dell’uomo contro ogni tipologia di forma di vita. Secondo gli antispecisti, la discriminazione che l’uomo ha attuato verso altri esseri umani, è la stessa che mette ogni giorno in campo contro il mondo animale. Ma la verità, come ha sostenuto Roberto Marchesini, è che «anche se l’uomo dovesse considerarsi non solo diverso ma addirittura superiore agli altri viventi, neppure in questo caso avrebbe il diritto di disprezzare e di schiavizzare le altre specie». La vera novità, in fondo, è solo nella parola “specismo”.
Il termine (speciesism, in inglese) è stato introdotto nel 1970 dallo psicologo inglese Richard D. Ryder in uno scritto privato pubblicato a Oxford nello stesso anno. Dopo un passato di sperimentatore sugli animali, ha iniziato negli anni una lotta contro lo sfruttamento animale, paragonando quest’ultimo al razzismo e individuando alla base di entrambi gli atteggiamenti una pari irrazionalità. Secondo lo studioso J.Zerzan, è dall’invenzione dell’agricoltura nel Neolitico che inizierebbe lo sfruttamento degli animali e la nascita del concetto di “specie”, al fine di riconoscere la propria diversità rispetto agli animali, considerati esseri inferiori e funzionali alla superiorità dell’uomo. A corroborare questa connessione sono stati filosofi, dottrine e religioni. Da Platone a Sant’Agostino, passando per Aristotele e Cartesio, in molti hanno guardato alla varietà faunistica come una risorsa su cui l’uomo, in quanto dotato di anima e coscienza, o intelligenza e libero arbitrio, potesse far valere la sua forza per il proprio utile. Parallelamente, però, sono esistiti casi in cui agli animali è stato tributato un occasionale o costante rispetto. Rientrano uomini come Leonardo Da Vinci, Giordano Bruno, San Francesco, Epicuro, che in vita hanno tenuto un regime alimentare vegetariano. In diverse culture esistono prescrizioni che vietano di mangiare alcune carni – come quella di maiale per i musulmani – e i cristiani dovrebbero astenersi dal consumare carne nei venerdì di Quaresima. Ciò che manca, tuttavia, è l’idea egualitaria tra essere umano e animale, che è alla base, per esempio, della religione induista, in cui vige una dieta vegetariana e un profondo rispetto per ogni forma di vita.
Sostenitori e promotori moderni dell’Antispecismo sono Peter Singer e Tom Regan, entrambi autori di testi in cui sono individuati alcuni dei principi che sono alla base dell’idea egualitaria tra uomo e animale. Peter Singer ha redatto nel 1975 un testo dal titolo “Liberazione animale”, considerato il manifesto del movimento animalista. In esso, il filosofo parte da un assunto fondamentale, ovvero include nella categoria degli esseri senzienti gli esseri umani e gli animali. Questi, al pari dei primi, possono provare gioia o dolore, e tale ragione potrebbe già bastare ad attuare una dispensazione da ogni forma di abuso contro gli animali. Al di là delle sensazioni, nemmeno la razionalità, presente o meno, può costituire un criterio sulla base del quale decretare la vita o la morte: «Un cavallo o un cane adulti sono senza paragone animali più razionali, e più comunicativi, di un bambino di un giorno, o di una settimana, o persino di un mese». Gli animali, inoltre, condividono con l’uomo il percorso evolutivo, la capacità di relazionarsi e adoperarsi per risolvere un problema. Ciò di cui l’Antispecismo si preoccupa, però, non è solo di raggiungere una certa uguaglianza tra uomini e animali, ma anche all’interno degli animali stessi. In altre parole gli antispecisti si battono contro le preferenze, per esempio di cani e gatti, a discapito di altri animali. Anche tale atteggiamento è rigettato in quanto specista.
La categoria dei bersagli dell’Antispecismo include, tuttavia, non solo il finto animalismo o lo specismo in senso stretto, ma il professare il pacifismo e il rispetto per le esigenze del singolo, umano e non, si scaglia contro l’anticapitalismo, come infatti ha sostenuto Adriano Fragano, fondatore della rivista Veganzetta. Accanto al nome dell’autore italiano, vi è quello della studiosa Melanie Joy. La filosofa vegana americana individua nel sessismo e nel razzismo le radici della mentalità carnista occidentale, ma ancor di più paragona l’uccisione degli animali alla lapidazione e agli omicidi, casi in cui, parimenti, un essere decide deliberatamente del destino altrui. Inoltre, Joy paragona il numero di animali morti negli allevamenti intensivi al numero di vittime delle guerre di tutta la storia dell’umanità, provando lo stesso ribrezzo. L’esito sperato, al di là delle posizioni individuali, è lo stesso: l’ecocentrismo, una realtà in cui l’uomo è un tassello, importante sicuramente, ma al pari di ogni altro elemento concorrente all’idea di natura.
Alessio Arvonio