Il 26 settembre 2014, quarantatré studenti della Escuela Normal Rural “Raul Isidro Burgos” di Ayotzinapa, in Messico, furono sequestrati dalla polizia e scomparsi poco dopo. Di loro non si ha traccia da più di un anno e la verità fornita dalle autorità ufficiali non è più la principale via di investigazione.
Gli studenti volevano partecipare ad una manifestazione a Città del Messico, ma arrivati ad Iguala vennero attaccati dalle autorità locali dopo aver occupato un bus.
Questa storia di protesta come si collega al narcotraffico e ai cartelli della droga, business onnipotente nel sud del Messico?
Secondo la linea di investigazione dell’ex procuratore generale Jesùs Murillo Karam, gli studenti furono confusi con un gruppo di narcotrafficanti della zona e bruciati da un gruppo rivale nella discarica di Colula. La “verità storica”, come definita da Karam, però, non è più la principale pista delle indagini, si è infatti scoperto che essa si basava su testimonianze estorte con la tortura, e l’investigazione è per questo passata al sottosegretario dei diritti umani della Procura Generale della Repubblica, Arely Gomez.
La verità ufficiale non è mai stata accettata dai genitori dei ragazzi che credono che la vicenda dei propri figli sia legata, invece, agli episodi di sparizione forzata già verificatisi in tutta la nazione che contano spesso sull’appoggio delle autorità locali. Per questo, il 26 dicembre scorso, in una Città del Messico semideserta, si è tenuto un nuovo corteo organizzato dagli stessi e a cui hanno partecipato migliaia di persone per esprimere la loro voglia di verità non solo riguardo agli studenti di Ayotzinapa, ma a tutti i desaparecidos messicani, che si contano essere circa 26.000.
Il Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI) della Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) ha dimostrato in un’inchiesta l’inesistenza, secondo immagini satellitari, di un incendio nella discarica di Cocula la notte del 26 settembre, quando secondo la versione ufficiale della Procura, i corpi sarebbero stati incendiati dalla delinquenza locale. Cynthia Rodrìguez, giornalista della rivista messicana Proceso, sostiene che la vicenda degli studenti si intrecci con il presunto coinvolgimento della moglie del sindaco di Iguala, Marìa de los Angeles Pineda, accusata di avere dei legami con il cartello dei Guerreros Unidos e che è sospettata di aver ordinato alla polizia municipale l’arresto degli studenti per consegnarli ai narcotrafficanti. Il bus che infatti era stato occupato dai ragazzi apparteneva ad una delle compagnie di linea, Costa Line o Estrella Roja, del Sud e probabilmente conteneva eroina. Il narcotraffico infatti, successivamente all’inasprimento dei controlli marini, ha optato per il collegamento via terra dei traffici illeciti verso gli USA, maggiore importatore, di beni leciti e non, del Messico.
Gli Stati Uniti recentemente hanno riconosciuto che spesso i fondi stanziati per la guerra alle droghe finiscono nelle mani di strutture di polizia inaffidabili che provocano un’inondazione di armi nel paese ed è per questo che il Dipartimento di Stato ha deciso di decurtare 5 milioni di dollari previsti per il 2016. Si conta che dal 2008, l’anno dell’inizio dell’operazione, il Congresso statunitense abbia stanziato circa 2300 milioni di dollari e da anni SOA Watch, ONG statunitense, lotta per la chiusura della School of the Americas, scuola militare situata in Georgia, che ha addestrato migliaia di militari e dittatori latinoamericani.
La strage di Iguala, inoltre, si inscrive in quello che è una specie di “clima del terrore” instauratosi nelle regioni più a sud del Messico, come il citato Stato del Guerrero o di Morelos, principali crocevia del narcotraffico e in cui le organizzazioni criminali a capo dei cartelli della droga hanno da tempo attuato una politica di repressione sociale verso qualsiasi organizzazione che cerca di denunciare le attività illecite di quei luoghi. Sono molti, infatti, i movimenti di insegnanti e studenti che fanno sentire la propria voce e che molto spesso sono sottoposti a sparizione forzata. La protesta di questi movimenti si è largamente diffusa ed è sostenuta da media alternativi e indipendenti, nonostante il Messico sia centocinquantaduesimo nella classifica Mondiale della libertà di stampa e l’89% dei crimini contro i giornalisti restino impuniti; ed è in questo clima del terrore che si inserisce l’assassinio di Gisela Moto, sindaco per sole 24 ore di Temixco, nello stato di Morelos. La politica è stata freddata insieme ad altre due persone, poche ore dopo il suo giuramento, non a caso il suo slogan in campagna elettorale era stato “Ripulire la città dai narcos”.
Sabrina Carnemolla