Napoli, si sa, grazie alla sua contraddittoria energia, è stata madre di un’infinità di grandi artisti in qualsiasi campo del sapere, dalla letteratura alla pittura, dalla scultura alla musica. Eppure, il meglio della sua arte si manifesta sul palcoscenico: perché i napoletani sono così, rendono il malessere una tragedia, un litigio un teatrino, la miseria una commedia, finché la città non diventa un teatro a cielo aperto. Napoli ha prodotto un patrimonio inestimabile di immagini, una scrittura di straordinaria incisività, oscillando sempre tra una colorata fantasia e una sferzante ironia, un caleidoscopio di emozioni e sentimenti, di situazioni verosimili ed impossibili, riuscendo sempre ad dissezionare con occhio artistico la cruda realtà regalandoci una preziosa sociologia, che si manifesta in antica saggezza e semplice euforia.

Il cinema napoletano nasce già forgiato nelle sue radici da questi caratteri esuberanti, ed arriva ai giorni d’oggi con le stesse caratteristiche. Già nell’anteguerra si racconta che Giuseppe Barattolo (pioniere del cinema, fondatore nel 1913 della Caesar Film) interruppe un giorno un giovane sceneggiatore che gli stava leggendo da qualche minuto una sua sceneggiatura chiedendogli: “ ‘Nu mumento. Nella vostra storia ce stà nu guaglione che mmore all’ospedale, na madre che chiagne, nu guappo acciso?”. Il ragazzo scuote il capo un po’ sdegnato e Barattolo interruppe la seduta di lettura: “Allora nun m’interessa”. Già all’epoca era evidente la ricchezza dei contenuti e la vastità dei temi, che poi saranno magistralmente messi in scena dai grandi interpreti.

Napoli: la prima Cinecittà ai tempi del cinema muto

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Elvira e Nicola Notari

Napoli, agli esordi del cinematografo, appariva spesso in vittoriosa concorrenza con Torino e Roma,quando agli inizi del Novecento si attrezzò di pionieristici studi cinematografici (tra cui ricordiamo quello di Roberto Troncone, un fotografo che fu uno dei primi ad acquistare una macchina da presa Lumière, e che assieme ai fratelli Guglielmo e Vincenzo diede vita alla Fratelli Troncone & C., prima manifattura cinematografica fondata a Napoli, a villetta con sede e teatri di posa in via Solimena nel quartiere Vomero), teatri di posa e vide nascere le prime dive del cinema, tra cui ricordiamo Francesca Bertini e Lyda Borelli.

Ma è durante gli anni ’20 che il cinema partenopeo sbaraglia definitivamente la concorrenza: ad una crisi economica cui si affiancava anche una povertà di iniziativa e di inventiva, la Dora Film dei Notari (formata da Nicola in veste di produttore, sua moglie Elvira come soggettista ed il figlio Eduardo in veste di attore) continua a lavorare senza sosta, continuando a riempire le sale cinematografiche degli emigrati in America con i successi di A santa notte e È piccerella, le cui didascalie imitanti il dialetto erano accompagnate da sferzanti rintocchi di pianoforte.

L’avvento del sonoro e Napoli come sfondo scenografico

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Francesca Bertini

Nel 1928 Mussolini inaugura l’Istituto internazionale del Cinema Educatore affermando la superiorità del cinema rispetto alla stampa: si inaugurano i nuovi stabilimenti della Cines e viene varata la legge n .918 del 1931 in cui per la prima volta uno stato europeo impegna capitali a fondo perduto a favore di un’industria dello spettacolo. In quegli stessi anni nel cinema si registra l’avvento del sonoro, rendendo necessario l’utilizzo di strutture attrezzate alla produzione di film non più volti al risparmio, ma sovvenzionati dagli introiti statali. Il governo fascista favorisce la centralizzazione del settore nella capitale, a Roma. Gli studi partenopei perdono terreno, ma non la città: Napoli resta un must nell’immaginario cinematografico, e se sono più rare le riprese sul territorio, non mancano affatto riproduzioni in studio del vulcano e del mare su cui si specchia, in cui si cimentano produttori come Gustavo Lombardo, Peppino Amato o Raffaele Colamonici.

I temi con cui viene ripresa la “napoletanità” sono essenzialmente tre: film direttamente trasposti dal teatro dialettale, che proprio in quegli anni vede protagonisti la Compagnia del “Teatro Umoristico I De Filippo” (formata dai fratelli Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, il cui esordio sul set avvenne con la commedia Tre uomini in frak di Mario Bonnard nel 1932, quando Eduardo venne scritturato assieme al fratello Peppino da Giuseppe Amato che li aveva visti recitare al Teatro Kursaal di Napoli); film di ricostruzione storico-letteraria e commedie popolari di vita napoletana contemporanea.

…e poi arrivò Totò

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Antonio De Curtis in arte Totò

“Totò non può essere circoscritto da alcuna definizione: Totò è la natura che si disarticola, è un punto esclamativo che apre e chiude il discorso nella grafia spagnola, è un fuoco d’artificio, una fanfara, un “movimento” che solca lo spazio come una lingua di fuoco”. (Pasquale Iaccio – Totò autore e sperimentatore nel cinema italiano del dopoguerra)

Totò, nome d’arte di Antonio De Curtis, è una figura troppo prepotente e vivace per il cinema degli esordi, che non lascia spazio al suo rapporto col reale e alla sua fisicità. Scritturato da Gustavo Lombardo nel 1937 che lo fa debuttare con Fermo con le mani!, Totò resta una figura secondaria, una comparsa di poca rilevanza nel cinema degli anni ’30. Totò era il portavoce di un cinema irruente ed aggressivo, che scioglie nella beffa la cupezza della morte e della miseria, una continua caricatura degli aspetti deteriori di quella società piccolo-borghese che era stata schiacciata dalla guerra. Era un cinema fatto di maschere e marionette, di piccoli sketch rubati all’antico teatro napoletano, che a una varietà di linguaggio -spesso scadente nel nosense– accompagnava una fisionomia sbilenca, un viso eccessivamente spigoluto, che ben si prestava alla messa in scena farsesca e caricaturale. Totò metteva in scena un personaggio testardo, volgare e ipocrita che rivendicava la soddisfazione dei suoi istinti primari quali il cibo, il sesso e la ricchezza.

Totò trova il suo spazio perfetto nei film del dopoguerra, insieme ad una Anna Magnani più bella che mai, nel periodo del cinema neorealista che gli permette di scampare a quei copioni che sono sempre stati troppo stretti alle sue interpretazioni, consentendo l’innescarsi di quella macchinetta frenetica e caotica il cui operato è giunto fino a noi. Sono di quegli anni Totò cerca casa, Totò al giro d’Italia, Il principe di Capri, e il celeberrimo Napoli milionaria, diretto da Eduardo De Filippo.

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Sophia Loren

Sophia Loren: la più bella delle dive

Sono gli anni di Anna Magnani, Valentina Cortese ed Alida Valli, oltre alle “maggiorate” che si fanno spazio anche nel cinema oltreoceano oscurando le dive hollywoodiane: e tra grandi nomi come Claudia Cardinale, Lucia Bosè e Virna Lisi, il primato tra queste è ancora una volta partenopeo. Sophia Loren, grazie alla sua verve vernacolare e popolana e ad un fisico più che mai imponente, è diventata una delle attrici più celebri del cinema mondiale. Diretta sapientemente da Vittorio De Sica -romano di origine, ma napoletano di adozione- vince il suo primo Oscar come migliore attrice per La ciociara, a cui si affiancano i successi di Ieri, oggi, domani e Matrimonio all’italiana, che nel 1999, le hanno conferito un posto dalll’American Film Institute tra le venticinque più grandi star della storia del cinema.

Il successo dei film “canoro-sentimentali” o “lacrimevoli-partenopei”

In quegli anni si fa spazio anche una corrente di film a basso costo che si prefiggeva il compito di soddisfare i bisogni di un pubblico che sentiva la necessità di ritrovarsi col proprio dialetto e di appassionarsi a storie tanto commuoventi quanto prevedibili. Un filone di cortometraggi alla buona che però sfociano in un film che si colloca ben due spanne sopra gli altri: Carosello Napoletano di Ettore Giannini (1953) fonde tutte le componenti del cinema partenopeo, riuscendo a mescolare lo spirito “alto” e quello “basso” della città  in uno spettacolo in cui canto, recitazione e danza si fondono in una storia reale che sa di fantasia, in un continuo oscillare tra sacro e profano che può essere preso come manifesto del cinema napoletano.

I nuovi comici: Massimo Troisi

Se Totò si faceva carico di un cinema che sfondava con violenza qualsiasi schema precostituito, i nuovi comici rientrano in una

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Massimo Troisi

categoria più contenuta di ironia benevola, portatori di una nuova sensibilità. E tra questi primeggia l’attore post-eduardiano Massimo Troisi, che con i suoi film Ricomincio da Tre (1981) e Scusate il ritardo (1982) fa breccia nel cuore degli spettatori con il suo straparlare alternato ai silenzi d’imbarazzo, con la sua comicità estremamente naturale e le situazioni più buffe che farsesche, per un riso bonario e divertito più che di beffa e scherno.

Il cinema internazionale

E mentre il cinema degli anni ’80 va lentamente internazionalizzandosi, lasciando sempre meno spazio alle rappresentazioni popolari, mentre Cinecittà viene sostituita da Hollywood e dall’industria americana, tornano a fare capolino come brevi oasi di successo film quali Il Camorrista (1986) di Giuseppe Tornatore, I vesuviani (1997) di  Mario Martone, Pappi Corsicato, Antonio Capuano, Stefano Incerti, Antonietta De Lillo.

Su un cinema sempre più riverso sul politically correct, l’esuberanza partenopea rivive, ritrova le sue origini e le modernizza nell’estremismo, nell’imprevedibilità dello stile. È il caso di Giuseppe Gaudino (Giro di lune tra terra e mare), Vincenzo Terrcciano (Ribelli per caso) e infine Paolo Sorrentino, che con la stretta collaborazione di Toni Servillo, raggiunge le antiche vette di splendore, portando a casa un Oscar per miglior film straniero nel 2013 con La grande bellezza, e riproponendo il successo al festival di Cannes 2015 con Youth – La giovinezza.

Camilla Ruffo

Bibliografia

Valerio Caprara – Napoli Productions, Ulisse, n. 233
Pasquale Iaccio – Totò autore e sperimentatore nel cinema italiano del dopoguerra

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